Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9917 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9917 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile:
INVITALIA RAGIONE_SOCIALE PER L’ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI E LO SVILUPPO D’RAGIONE_SOCIALE
ci
COGNOME NOME
NOME nato a AVEZZANO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME
nato a AVEZZANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto che la Corte di Cassazione annulli la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile ricorrente, che ha chiesto che la Suprema Corte annulli la sentenza della Corte di Appello di
L’Aquila e rinvii al giudice civile competente per valore in grado di appello;
lette le conclusioni RAGIONE_SOCIALE AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME, che hanno chiesto l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 maggio 2023 la Corte di appello di L’Aquila, riqualificata l’originaria imputazione di riciclaggio continuato (artt. 81 e 648-bis cod. pen.) – reato per il quale NOME COGNOME era stato condannato in primo grado – in quella di concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (artt. 110 e 640-bis cod. pen.), dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato estinto per prescrizione, revocando le statuizioni civili e la confisca.
La Corte territoriale confermava la condanna di NOME COGNOME per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 d. Igs. 10 marzo 200, n. 74)
Ha proposto ricorso la parte civile RAGIONE_SOCIALE chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per carenza e/o illogicità della motivazione e violazione di legge, in ragione di due motivi, là dove la Corte di appello ha riqualificato il fatto ascritto ad NOME COGNOME nel reato di truff aggravata in concorso, rilevando conseguentemente la prescrizione.
2.1. Mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione.
La Corte di appello, con una scarna motivazione, non ha scardinato l’impianto logico della prima decisione, venendo meno all’onere di una motivazione rafforzata.
La sentenza, per motivare la riqualificazione del fatto dal reato di truffa aggravata a quello di riciclaggio, ha rinviato per relationem alle argomentazioni proposte dall’imputato; tuttavia, mentre la difesa sosteneva che COGNOME aveva fornito a COGNOME un contributo morale alla realizzazione della truffa, la Corte territoriale ha affermato che la monetizzazione RAGIONE_SOCIALE assegni consegnati da COGNOME a COGNOME aveva comportato un contributo materiale al perfezionamento della truffa in danno di RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Violazione e/o erronea applicazione di legge e contraddittorietà della motivazione con riferimento agli artt. 110-640-bis e 648-bis cod. pen.
L’arco temporale in cui si colloca l’azione di monetizzazione è incompatibile con qualsivoglia forma di concorso perché successiva al momento di
consumazione della truffa, già realizzata da COGNOME in tutti i suoi elementi costitutivi.
La consequenzialità RAGIONE_SOCIALE eventi rende logico il meccanismo di riciclaggio descritto nella sentenza di primo grado, in quanto nel marzo 2011 COGNOME riceveva il denaro da RAGIONE_SOCIALE e nell’aprile 2011 parte di tali somme convergevano in tre assegni intestati a COGNOME, il quale, il mese seguente, li girava a COGNOME per la monetizzazione e la successiva restituzione a COGNOME.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, il difensore della parte civile e quelli di NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, premesso che lo stesso ha riguardato unicamente la pronuncia nei confronti di NOME COGNOME e non già la posizione di NOME COGNOME, condannato anche in appello per un reato tributario.
Va in primo luogo ricordato che l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, è ammissibile anche quando – come nel caso di specie – non contenga l’espressa indicazione che l’atto è proposto ai soli effetti civili (Sez. U, n. 6509 de 20/12/2012, dep. 2013, Colucci, Rv. 254130) e che, nei confronti della sentenza di primo grado che dichiari l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammessa l’impugnazione della parte civile che lamenti l’erronea applicazione della prescrizione (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953).
Detti princìpi sono pertinenti applicabili anche nel caso in esame, considerato che l’imputato COGNOME è stato condannato in primo grado per il reato di riciclaggio e al conseguente risarcimento del danno in favore della parte civile ricorrente, con statuizione riformata in appello a seguito della riqualificazione nel reato di concorso in truffa aggravata, estinto per prescrizione già prima della sentenza di primo grado, circostanza che ha comportato la
revoca delle statuizioni civili: è evidente, dunque, l’interesse della parte civile all’annullamento, agli effetti della responsabilità civile, della sentenza qui impugnata.
3. La riqualificazione del fatto commesso da NOME COGNOME operata dalla Corte di appello è stata spiegata con una motivazione di tre righe, nella sostanza apparente: secondo la sentenza appare “innegabile come il predetto, attraverso la monetizzazione RAGIONE_SOCIALE assegni consegnati dal COGNOME al COGNOME, abbia, di fatto, concorso al perfezionamento della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in concorso con il COGNOME” (pag. 6).
La monetizzazione RAGIONE_SOCIALE assegni, però, fu una condotta chiaramente successiva alla consumazione della truffa, come emerge dalla ricostruzione del fatto da parte del primo giudice: NOME COGNOME, ricevuta la prima parte del contributo fraudolentemente ottenuto da RAGIONE_SOCIALE, “emetteva tre assegni bancari, di valore pari a 4.500,00 euro ciascuno, intestati a COGNOME NOME per pagare fatture aventi ad oggetto operazioni oggettivamente inesistenti e dare parvenza di effettività alla loro emissione; il COGNOME girava tutti e tre gli assegni a COGNOME NOME, con cui però non aveva rapporti che potessero giustificare la girata di questi assegni; il COGNOME, soggetto vicino a COGNOME NOME e suo ‘socio’ nell’attività per cui erano state concesse le agevolazioni, si recava all’ufficio delle Poste Italiane e riscuoteva i tre assegni in contanti” (pag. 22).
Va evidenziato che detta ricostruzione non era stata contestata neppure nell’appello proposto da COGNOME, ove si era fatto leva sulla parte della sentenza di primo grado che evocava rapporti di conoscenza e stretta collaborazione fra COGNOME e COGNOME, “anche con specifico riferimento al progetto per cui RAGIONE_SOCIALE“, e si era sostenuto che “la presunta ‘messa a disposizione’ per le citate finalità illecite (cambio dei tre assegni) costituisce senza dubbio una condotta idonea ad influenzare o rafforzare nell’autore del reato principale la decisione di delinquere” (pag. 12).
La difesa, dunque, aveva ipotizzato un previo accordo fra COGNOME e COGNOME e un contributo agevolativo e rafforzativo del proposito criminoso fornito dal secondo al primo, evidentemente escluso dal Tribunale, sul quale, tuttavia, la sentenza impugnata nulla ha argomentato, affermando soltanto che la monetizzazione del denaro sarebbe stata di per sé prova del concorso nel reato presupposto di truffa, ostativo ex lege alla integrazione del reato di riciclaggio («Fuori dei casi di concorso nel reato…»).
L’apodittica motivazione ha obliterato che, in tema di riciclaggio e autoriciclaggio, la lecita vestizione delle somme, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, derivando da una
successiva condotta di impiego, sostituzione o trasferimento, costituisce il risultato empirico dell’attività delittuosa ed è proprio in forza di tale variegat condotta che le risorse di provenienza delittuosa, pur essendo legate da un nesso di derivazione causale con il delitto presupposto, assumono una diversa veste giuridica naturalistica, in quanto dotate, a seguito dell’operata trasformazione, di una loro autonoma individualità sia per causa che per effetto (così, da ultimo, Sez. 2, n. 1309 del 07/12/2023, dep. 2024, COGNOME, nonché Sez. 2, n. 6024 del 09/01/2024, Albanese, non massimate).
5. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che l’art. 573, comma 1bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (secondo il quale, «uando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile»), si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili propost relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione.
La nuova disposizione, dunque, non è applicabile nel caso di specie; pertanto la sentenza impugnata va annullata ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. ai fini dell’accertamento della responsabilità civile, fermi restando gli effetti penali, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civil competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso il 15/02/2024.