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Riciclaggio conto corrente: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato sottoposto agli arresti domiciliari per riciclaggio. L’uomo aveva ricevuto sul proprio conto corrente denaro proveniente da truffe informatiche. La Corte ha confermato che mettere a disposizione il proprio conto per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro integra il reato di riciclaggio conto corrente e non la meno grave ricettazione. Sono stati respinti anche i motivi relativi all’incompetenza territoriale e alla mancanza di esigenze cautelari, ritenute sussistenti data la serialità delle condotte.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riciclaggio su Conto Corrente: Quando il Semplice Transito di Denaro Diventa Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35044 del 2024, torna su un tema di grande attualità: la distinzione tra ricettazione e riciclaggio conto corrente. La pronuncia chiarisce che mettere a disposizione il proprio conto bancario per far transitare somme di provenienza illecita, con lo scopo di ostacolarne la tracciabilità, configura il più grave reato di riciclaggio. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Dalla Truffa Informatica all’Accusa di Riciclaggio

Il caso nasce da un’ordinanza del Tribunale di Salerno che aveva rigettato l’istanza di riesame contro una misura cautelare degli arresti domiciliari. L’indagato era accusato di aver commesso una serie di episodi di riciclaggio, ricevendo sul proprio conto corrente somme di denaro provenienti da truffe informatiche perpetrate ai danni di terzi.

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Incompetenza territoriale: si sosteneva che la competenza dovesse radicarsi presso il tribunale del luogo in cui era stato commesso il reato principale (la truffa informatica), per effetto della connessione tra i reati.
2. Erronea qualificazione giuridica: si affermava che la condotta dovesse essere inquadrata come ricettazione e non come riciclaggio, in quanto l’indagato si era limitato a ricevere il denaro senza compiere ulteriori operazioni di occultamento.
3. Insussistenza delle esigenze cautelari: si evidenziava l’occasionalità e la risalenza nel tempo dei fatti, oltre alla successiva assunzione dell’indagato come operatore socio-sanitario, elementi che avrebbero reso la misura non più attuale né necessaria.

La Questione della Competenza Territoriale

Il primo motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La difesa sosteneva l’applicazione della cosiddetta vis attractiva, secondo cui il giudice competente per il reato più grave (la frode informatica) avrebbe dovuto giudicare anche il reato connesso di riciclaggio. Tuttavia, la Cassazione ha smontato questa tesi evidenziando un errore nella premessa: dall’esame degli atti, non risultava contestato all’indagato un concorso nel reato di frode. Poiché i reati erano stati contestati a persone diverse e senza un legame di concorso diretto, il principio della connessione non poteva operare, rendendo corretta la competenza del Tribunale di Salerno.

Il Cuore della Difesa: Riciclaggio Conto Corrente o Semplice Ricettazione?

Il punto centrale della sentenza riguarda la corretta qualificazione del fatto. La difesa ha sostenuto che il semplice accredito di denaro illecito su un conto, senza ulteriori attività di trasformazione o trasferimento, integrerebbe al massimo il reato di ricettazione.

La Corte di Cassazione ha respinto con forza questa interpretazione, definendola generica e ripetitiva. La motivazione del Tribunale del riesame, confermata dalla Suprema Corte, ha chiarito la differenza fondamentale tra le due fattispecie. Nel caso di specie, l’incasso del denaro non era il fine dell’operazione, ma solo il mezzo per ‘pulire’ il provento delle truffe e consentirne il successivo passaggio al destinatario finale. La condotta dell’indagato non era quindi mossa dal fine di profitto tipico della ricettazione, ma dal fine di occultamento e di schermo della destinazione finale del denaro.

La Corte ha ribadito un principio consolidato: “integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro… consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari“. L’atto di fornire il proprio conto è, di per sé, un’operazione idonea a ostacolare la tracciabilità dei flussi finanziari illeciti.

Le Esigenze Cautelari e la Pericolosità Sociale

Anche il terzo motivo, relativo alla mancanza di esigenze cautelari, è stato ritenuto infondato. Il Tribunale aveva adeguatamente motivato la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, basandosi su elementi concreti: il rilevante numero di condotte (ben 26 episodi), l’entità degli importi e la contiguità dell’indagato con ambienti criminali organizzati. La Cassazione ha sottolineato che la molteplicità dei fatti contestati è un indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, che giustifica la misura cautelare anche se i fatti sono risalenti nel tempo. La tesi difensiva basata su una vecchia e isolata sentenza è stata superata da un consolidato orientamento giurisprudenziale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza e genericità dei motivi. In primo luogo, le argomentazioni della difesa erano mere ripetizioni di quelle già presentate e respinte in sede di riesame, senza un reale confronto critico con la motivazione del provvedimento impugnato.

Nel merito, la Corte ha confermato la correttezza giuridica delle decisioni dei giudici precedenti. La distinzione tra ricettazione e riciclaggio conto corrente si gioca sull’elemento finalistico: nella ricettazione, il fine è il profitto derivante dal bene illecito; nel riciclaggio, il fine è quello di nascondere l’origine criminale del bene. La messa a disposizione del proprio conto è una condotta funzionale proprio a quest’ultimo scopo, interrompendo il legame diretto tra la vittima della truffa e il beneficiario finale del denaro.

Infine, la valutazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari è stata ritenuta logica e conforme alla legge, poiché fondata sulla serialità delle condotte, indice di una concreta pericolosità sociale.

Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio: chi presta il proprio conto corrente per far transitare denaro proveniente da reati, anche senza compiere complesse operazioni finanziarie, commette il grave delitto di riciclaggio. Questa decisione serve da monito sulla gravità di tali condotte, spesso percepite erroneamente come di lieve entità. La Corte sottolinea che l’azione di interporsi come ‘schermo’ nel flusso di denaro illecito è l’essenza stessa del riciclaggio, con conseguenze penali significativamente più severe rispetto alla ricettazione. L’indagato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

Mettere a disposizione il proprio conto corrente per far transitare denaro proveniente da una truffa è riciclaggio o ricettazione?
Secondo la Corte, integra il delitto di riciclaggio. L’azione non ha come fine ultimo l’incasso del denaro per un profitto personale (come nella ricettazione), ma serve come mezzo per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro e facilitarne il passaggio al destinatario finale, occultandone l’origine.

Perché la Corte ha rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale?
La Corte l’ha rigettata perché la difesa si basava sulla premessa errata che l’imputato fosse accusato in concorso con l’ideatore delle truffe per uno specifico capo d’imputazione. Poiché tale concorso non era contestato negli atti, non si poteva applicare il principio della ‘vis attractiva’ che avrebbe spostato la competenza nel luogo del reato principale (la truffa).

La molteplicità dei fatti contestati può giustificare una misura cautelare anche se sono risalenti nel tempo?
Sì. La Corte ha affermato che un numero rilevante di condotte illecite (in questo caso, 26 episodi) può essere considerato indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, giustificando la necessità di una misura cautelare per il concreto pericolo di reiterazione del reato, indipendentemente dall’attualità e dal tempo trascorso dai fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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