Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8330 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8330 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Pescia il DATA_NASCITA avverso la l’ordinanza del Tribunale di Genova in data 3/11/2023 udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica dell’AVV_NOTAIO con la quale ha ripercorso i motivi di impugnazione
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME impugna l’ordinanza in data 3/11/2023 con la quale il Tribunale del riesame di Genova ha rigettato l’appello avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Genova del 27/9/2023, che aveva respinto l’istanza di dissequestro avanzata dal ricorrente in relazione ad un dipinto olio su tela, oggetto di sequestro preventivo ex art. 321, comma 1, c.p.p.
Il Tribunale del riesame, ritenuta l’infondatezza dei rilievi difensivi con i quali contestava la configurabilità, in termini di fumus, dei reati di cui agli artt. 518 undecies e 483 c.p., e cioè il delitto di illecita esportazione del dipinto evidenziando come il certificato di libera circolazione del bene rilasciato ai correi COGNOME e COGNOME, fosse ideologicamente falso, ha ritenuto sussistente anche il fumus del reato di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter c.p., consistito nell’ave impiegato in attività economiche imprenditoriali o speculative il bene di provenienza illecita in modo da ostacolare l’identificazione della sua provenienza delittuosa.
Il collegio cautelare precisava che l’assenza di elementi dimostrativi del concorso di COGNOME NOME nella commissione del delitto presupposto, se escludeva l’ipotesi di autoriciclaggio, non impediva di configurare il delitto di riciclagg ovvero quello di ricettazione essendo pacifico che egli aveva acquistato, tramite la RAGIONE_SOCIALE della quale era legale rappresentante, il dpinto di provenienza illecita.
Il Tribunale reputava altresì infondata la censura difensiva con la quale si eccepiva il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria poiché, osservava, delitto era stato commesso in Italia e comunque le disposizioni di cui all’art. 518 bis e segg. c.p., si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero in danno del patrimonio artistico nazionale.
2.Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione COGNOME NOME articolando i seguenti motivi:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 174 d.lgs. 42/04 (oggi art. 518 undecies c.p.), ovvero dei delitti di cui agli artt. 479, 483 c.p. non potendo ipotizzarsi, rispett all’attestato di libera circolazione, documento per sua natura inidoneo a provare la verità dell’attribuzione, il delitto di falso.
Evidenzia che nonostante l’asserita falsità, il RAGIONE_SOCIALE non ha provveduto ad annullare in autotutela l’atto, segno che le dichiarazioni in esso contenute sono corrette.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la carenza di motivazione in merito alla eccepita irrilevanza causale, già in astratto, delle condotte di cui all’art. 17 d.lgs. 42/04, contestato a capo a) sul processo decisionale dell’amministrazione ai fini del rilascio dell’attestato. Deduce che, nell’ambito della procedura per i rilascio del documento, il privato è solo chiamato ad indicare il valore venale del bene, mentre il rilascio dell’attestato costituisce l’esito di un processo decisionale autonomo rimesso ad una commissione tecnica che si rifà a parametri oggettivi e che, nel caso concreto, è stato svolto.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta il vizio di violazione di legge avendo il Tribunale mantenuto il sequestro anche in relazione al delitto di cui all’art 174 d.lgs. 42/2004, pur avendo escluso che COGNOME avesse concorso nel delitto presupposto.
2.4. Con il quarto motivo si eccepiscono vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dei delitti di riciclaggio ed autoriciclaggi siccome correlata agli intervenuti passaggi di proprietà del dipinto, ritenuti dal Tribunale operazioni volte ad ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa del bene. Rileva il ricorrente che la circolazione del dipinto non è soggetta a forme di trascrizione, né ad obblighi di registrazione pertanto i cambi di proprietà non sono idonei, di per sé, ad intralciare l’identificazione dell provenienza del bene, così come nessuna modifica risulta apportata al bene che è rimasto immutato. L’ordinanza, in maniera contraddittoria, avrebbe motivato sul dolo avendo la difesa dimostrato che esso era incompatibile con la l’atteggiamento di massima trasparenza tenuto dall’ indagato il quale per due volte ha fatto rientrare il dipinto in Italia per esporlo a Genova.
2.5. Con il quinto motivo si reitera l’eccezione sul difetto di giurisdizion dell’autorità giudiziaria italiana.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è basato su motivi manifestamente infondati e va dichiarato inammissibile.
Va innanzi tutto ricordato che in tema di provvedimenti cautelari reali il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge ex art. 325 c.p.p. e che tale vizio ricomprende, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli ‘errores in iudicando’ o ‘in procedendo’, sia quei vizi dell motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692; Sez. 2, n.18952 del 14/03/2017, Rv. 269656). Nello specificare tale presupposto si è chiarito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013, Rv. 254893).
Deve pertanto essere escluso che a fronte della approfondita valutazione degli elementi fattuali che hanno caratterizzato la vicenda della circolazione del dipinto in assenza dell’attestato di libera circolazione (ovvero utilizzando un attestato ideologicamente falso perché relativo ad un dipinto di minor valore), possano trovare ingresso le censure con le quali si ripropongono vizi di contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del fungus dei reati di cui agli artt. 174 d.lgs. 42/2004, 479 e 483 c.p.
2. Ricorre, infatti, nel caso concreto un’ampia considerazione degli elementi allegati dalla difesa, una compiuta valutazione delle fattispecie contestate in relazione ai presupposti legittimanti il sequestro richiesto, che sono stati ritenuti sussistenti con motivazione del tutto logica ed argomentata anche considerando le doglianze difensive in questa sede riprodotte.
2.1.11 Tribunale dopo avere delineato i contorni fattuali della vicenda, e sinteticamente ricostruito il quadro normativo di riferimento, ha spiegato che la condotta degli indagati rientrava nella fattispecie di cui all’art. 518 undecies c.p. dovendosi in proposito incidentalmente osservare che sussiste continuità normativa tra l’abrogato delitto di cui all’art. 174 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e quello attualmente previsto dall’art. 518 undecies c.p., introdotto dalla legge 9 marzo 2022, n. 22, che punisce chiunque trasferisca all’estero RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, indipendentemente dal fatto che i predetti RAGIONE_SOCIALE siano stati oggetto di una formale dichiarazione di interesse culturale.
Nella specie il Tribunale del riesame ha infatti evidenziato che l’attestato di libera circolazione del dipinto sequestrato, era stato ottenuto dagli allora proprietari del bene ( COGNOME e COGNOME) a seguito della commissione di una serie di condotte illecite consistite nell’aver reso false dichiarazioni sul valore venale del bene e sulla provenienza del dipinto e nell’aver corrotto la funzionaria dell’Ufficio Soprintendenza di Pisa circostanza quest’ultima che, come perpiscuamente osservato dal Tribunale, consentiva di mettere in sicurezza tutta l’operazione (cfr. pagg. 9 e segg. del provvedimento impugnato).
In ragione di tali falsità il Tribunale del riesame correttamente ha ritenuto illegittimo l’atto amministrativo rivenendo il fUmus del delitto di cui all’art. 518 undecies c.p., a carico di COGNOME e COGNOME, non essendo precluso, in assoluto, al giudice penale di valutare la legittimità degli atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito, poichè come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, tale valutazione è preclusa qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale
preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penal che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (Sez. 3, n. 44077 del 18/07/2014,Rv. 260612; Sez. 6, n. 17991 del 20/03/2018, Rv. 272890).
3.Manifestamente infondato è il motivo n. 3 con cui si contesta che il Tribunale ha disposto la confisca del bene ai sensi dell’art. 174 d.lgs. 42/2004, pur ammettendo che COGNOME fosse estraneo a detto reato. Il ricorrente non considera che il sequestro è stato disposto ( anche) in relazione al delitto di riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p., contestato a COGNOME, del quale sono stati delineati contorni in termini precisi e circostanziati.
4. Infondato anche il quarto motivo con il quale si censura la motivazione in punto di ritenuta sussistenza del fumus del delitto di riciclaggio.
La giurisprudenza, dopo aver riconosciuto che la condotta del delitto di riciclaggio è identica a quella del delitto di ricettazione e ogni profilo differenziatore tra fattispecie, poste innegabilmente a tutela di un medesimo interesse, viene ad essere costituito dal dolo specifico, ha affermato che la condotta di cui all’art. 648 bis c.p., si riferisce al compimento di specifiche operazioni di sostituzione e trasferimento, nonché a quelle che ostacolino l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, RAGIONE_SOCIALE ed altre utilità, senza che sia richiesta “la finalizzazione della condotta del reo al rientro del bene ripulito nella disponibilità dell’autore de reato presupposto” (cfr. Sez. 2, n. 7224/99, Rv. 213847; Sez. 2, n. 1857 del 16/11/2016, Rv.269316).
Va rimarcato che a seguito della modifica normativa introdotta con l’art. 23 L. 55/1990 è stato ampliato il novero delle condotte di ripulitura concretamente sanzionabili, fino ad includervi tutte le operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, bene o altra utilità (Sez. 2, Sentenza n. 17771 del 11/04/2014, Rv. 259581 –
La fattispecie si caratterizza come reato a forma libera comprensivo non solo di comportamenti che alterano gli elementi caratteristici e identificativi del bene proveniente da delitto, ma di ogni altra azione che sia in grado di impedire la riconducibilità del bene al delitto. La seconda parte dell’art. 648 bis cod. pen. recita infatti “ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”, così che appare chiaro che attraverso la nuova formulazione della norma il legislatore ha inteso perseguire un ampio spettro di condotte inclusivo di tutte quelle attività dirette a neutralizzare a o comunque ad intralciare l’accertamento dell’ origine illecita dei proventi ricavati da attività delittuose ( Sez. 2, n. 47088 del 14/10/2003, Rv. 227731; Sez. 2, n. 2818 del 12/01/2006, Rv. 232869; Sez. 6, n. 16980 del 18/12/2007, Rv. 239844; Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, Rv. 271530).
Con la disposizione di cui all’articolo 648 bis c.p., il legislatore ha volut reprimere sia le attività che si esplicano sul bene trasformandolo o modificandolo parzialmente, sia quelle altre che, senza incidere sulla cosa ovvero senza alterarne i dati esteriori, sono comunque di ostacolo per la ricerca della sua provenienza delittuosa. Ciò premesso, rileva il Collegio che il Tribunale ha adeguatamente motivato le ragioni della ricorrenza del fumus del reato di riciclaggio avendo riguardo alle condotte di trasferimento fittizio del dipinto, nel giro di tre anni, a tre società diverse tutte riconducibili sotto il profilo soggett agli indagati, quali operazioni idonee ad ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa del bene trattandosi di attività che seppure non hanno comportato una trasformazione materiale del dipinto, consentivano di far perdere le tracce della sua originaria illecita circolazione.
Quanto all’elemento soggettivo del reato il Tribunale ha escluso che COGNOME versasse in buona fede avuto riguardo al fatto che il padre dell’indagato era direttamente coinvolto (insieme a COGNOME e COGNOME ) nella vicenda dell’acquisto del dipinto, e che erano rimaste indimostrate le modalità di acquisizione del bene da parte della società da lui rappresentata ed il pagamento del prezzo.
Manifestamente infondato anche il quinto motivo con il quale si contesta la giurisdizione italiana per essere state le condotte di riciclaggio commesse a l’estero.
Va ricordato che in tema di riciclaggio commesso in parte all’estero, sussiste la giurisdizione italiana nel caso in cui il delitto sia realizzato con condott frazionate e progressive tenute da soggetti distinti, quando anche solo un frammento dell’azione posta in essere da alcuni dei correi, intesa in senso naturalistico, si sia svolta nel territorio dello Stato.
Nel caso di specie il Tribunale ha correttamente osservato che parte della condotta di cui all’art. 648 bis c.p., è stata sicuramente commessa in Italia pertanto deve ritenersi sussistente la giurisdizione italiana.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma, 2/2/2024