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Riciclaggio beni culturali: la sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore contro il sequestro di un dipinto di valore. La sentenza conferma che una serie di trasferimenti di proprietà, volti a ostacolare l’identificazione della provenienza illecita del bene, configura il reato di riciclaggio beni culturali. L’opera era stata oggetto di illecita esportazione grazie a un certificato di libera circolazione ottenuto fraudolentemente, costituendo così il ‘reato presupposto’ per il successivo riciclaggio.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riciclaggio beni culturali: quando l’arte finisce sotto sequestro

Il mondo dell’arte, con i suoi ingenti valori economici, può diventare teatro di complesse vicende giudiziarie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di riciclaggio beni culturali, confermando il sequestro preventivo di un prezioso dipinto. La decisione chiarisce come anche semplici passaggi di proprietà possano configurare un reato, se finalizzati a nascondere l’origine illecita di un’opera d’arte.

I fatti: un dipinto di valore e un’esportazione sospetta

La vicenda ha origine dal sequestro di un dipinto a olio su tela, disposto dal GIP del Tribunale di Genova. Il proprietario, un imprenditore, si era opposto alla misura, ma sia il GIP che il Tribunale del Riesame avevano confermato il sequestro. Secondo l’accusa, il bene culturale proveniva da un reato: la sua esportazione era stata possibile solo grazie a un certificato di libera circolazione ottenuto in modo fraudolento, attraverso false dichiarazioni sul valore e sulla provenienza, e persino tramite la corruzione di un funzionario pubblico.

L’imprenditore, che aveva acquistato il quadro tramite una sua società, era stato accusato di riciclaggio e autoriciclaggio. L’ipotesi degli inquirenti era che avesse impiegato il bene di provenienza illecita in attività economiche, ostacolando l’identificazione della sua origine delittuosa.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi su diversi motivi:

1. Insussistenza del reato presupposto: La difesa sosteneva che non si potesse configurare il reato di illecita esportazione né quello di falso ideologico.
2. Mancanza di motivazione: Si contestava la logica del provvedimento, poiché il rilascio del certificato è frutto di una valutazione autonoma di una commissione tecnica, non solo delle dichiarazioni del privato.
3. Estraneità al reato presupposto: L’imprenditore lamentava il mantenimento del sequestro nonostante fosse stato escluso un suo concorso nel reato di illecita esportazione.
4. Insussistenza del riciclaggio: Si argomentava che i semplici passaggi di proprietà non sono idonei a ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, che era rimasto materialmente immutato. Inoltre, si evidenziava la massima trasparenza del ricorrente, che aveva riportato l’opera in Italia in due occasioni per delle esposizioni.
5. Difetto di giurisdizione: Si eccepiva la mancanza di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana.

La decisione della Corte sul riciclaggio beni culturali

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi manifestamente infondati. I giudici hanno confermato la solidità dell’impianto accusatorio e la correttezza della decisione del Tribunale del Riesame.

La sussistenza del ‘fumus’ del reato

La Corte ha ribadito che il giudice penale ha il potere di valutare la legittimità di un atto amministrativo (in questo caso, il certificato di libera circolazione) quando questo costituisce il presupposto di un reato. Essendo emerso che il certificato era stato ottenuto illecitamente, la provenienza delittuosa del bene era sufficientemente provata ai fini della misura cautelare (fumus boni iuris). Anche se l’imprenditore non aveva partecipato al reato presupposto (l’illecita esportazione), il sequestro era legittimo perché disposto anche in relazione al reato di riciclaggio, a lui contestato.

La configurabilità del riciclaggio di beni culturali

Il punto cruciale della sentenza riguarda la definizione di riciclaggio. La Cassazione ha ricordato che questo reato si configura non solo con la trasformazione materiale del bene, ma con qualsiasi operazione idonea a ostacolare l’identificazione della sua provenienza illecita. Nel caso di specie, i trasferimenti fittizi del dipinto, avvenuti in tre anni tra tre diverse società riconducibili agli indagati, sono stati considerati operazioni finalizzate proprio a ‘ripulire’ l’opera, rendendo più difficile risalire alla sua circolazione originaria illegale.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione ampia e consolidata del reato di riciclaggio (art. 648 bis c.p.). Il legislatore intende punire un vasto spettro di condotte che mirano a neutralizzare o intralciare l’accertamento dell’origine illecita dei proventi. Non è necessario che il bene venga trasformato; è sufficiente compiere operazioni su di esso per renderne opaca la provenienza. Il Tribunale del Riesame aveva adeguatamente motivato che la serie di trasferimenti di proprietà, sebbene non avesse alterato il dipinto, aveva avuto l’effetto di far perdere le tracce della sua circolazione originaria. La Corte ha anche ritenuto infondata la questione sulla giurisdizione, affermando che è sufficiente che anche solo un frammento dell’azione criminosa si sia svolto in Italia per radicare la competenza del giudice italiano.

Le conclusioni

Questa sentenza offre importanti spunti sul tema del riciclaggio beni culturali. In primo luogo, conferma che il giudice penale può sindacare la legittimità di atti amministrativi che sono presupposto del reato. In secondo luogo, e più significativamente, ribadisce che il riciclaggio è un reato a ‘forma libera’: qualsiasi operazione, anche puramente giuridica come un passaggio di proprietà, può integrarlo se ha lo scopo e l’effetto di rendere difficile l’identificazione dell’origine illecita del bene. Un monito per tutti gli operatori del mercato dell’arte a prestare la massima attenzione alla provenienza e alla legittimità della circolazione delle opere.

Il semplice trasferimento di proprietà di un’opera d’arte può costituire riciclaggio?
Sì. Secondo la sentenza, anche operazioni che non modificano materialmente il bene, come una serie di trasferimenti fittizi di proprietà tra diverse società, possono configurare il reato di riciclaggio se sono idonee a ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa del bene.

Un giudice penale può valutare la validità di un certificato amministrativo, come quello di libera circolazione?
Sì, il giudice penale può valutare la legittimità degli atti amministrativi che costituiscono il presupposto di un reato. Tale valutazione è preclusa solo qualora sul tema sia già intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo.

Per essere accusati di riciclaggio è necessario aver partecipato al reato che ha generato il bene illecito?
No. La sentenza chiarisce che il reato di riciclaggio è autonomo rispetto al reato presupposto. È possibile essere perseguiti per riciclaggio anche se si è estranei al delitto originario (in questo caso, l’illecita esportazione), purché si compiano operazioni sul bene di provenienza illecita al fine di occultarne l’origine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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