Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30546 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30546 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME, nato a Lamezia Terme il DATA_NASCITA NOME COGNOME, nato a Lamezia Terme il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/10/2023 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, il quale ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16/10/2023, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del 14/12/2022 del G.i.p. del Tribunale di Brescia, emessa in esito a giudizio abbreviato: a) confermava la condanna di NOME COGNOME alla pena di 4 anni di reclusione ed C 4.000,00 di multa per i reati, unificati da vincolo della continuazione, di riciclaggio di due autovetture (punti I e II dell’unic capo d’imputazione); b) riqualificato come ricettazione (anziché come riciclaggio) il fatto a lui attribuito di cui al punto II del capo d’imputazione, ed esclusa
recidiva, rideterminava in 2 anni di reclusione ed C 1.000,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per tale reato di ricettazione.
Avverso tale sentenza del 16/10/2023 della Corte d’appello di Brescia, hanno proposto ricorsi per cassazione, con due distinti atti redatti dal medesimo difensore, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione dell’art. 648-bis cod. pen. e dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione «rispetto ai motivi di appello e rispetto all richiesta di qualifica del fatto nei termini dell’art. 648 c.p.», con rigua all’affermazione di responsabilità e alla qualificazione giuridica dei fatti.
Nel richiamare diverse pronunce della Corte di cassazione in tema di riciciaggio, il ricorrente lamenta che l’affermazione della sua responsabilità sarebbe stata erroneamente basata sul mero possesso – e, in particolare, sul trasporto (presso la concessionaria di automobili RAGIONE_SOCIALE) – delle due autovetture recanti i numeri di telaio alterati e le targhe sostituite, senza che foss emersa alcuna prova che fosse stato lui a compiere tali operazioni di manipolazione delle stesse autovetture, così come gli era stato contestato nel capo d’imputazione, nel quale, sottolinea il ricorrente, non vi sarebbe stata alcuna menzione di un suo concorso morale con gli autori materiali della manipolazione ipotizzato dalla Corte d’appello di Brescia.
Il ricorrente deduce poi che l’ipotizzato aiuto che egli avrebbe dato, dopo la stessa manipolazione, agli autori di essa per disfarsi delle due autovetture potrebbe integrare i diversi reati di ricettazione o di favoreggiamento reale (e non di riciclaggio) e lamenta che la Corte d’appello di Brescia avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine alla richiesta, che era stata avanzata nel proprio atto di appello, di riqualificazione del fatto come ricettazione.
Si deduce ancora che non sarebbe «possobile affermare che tra il COGNOME e gli esecutori (ignoti della condotta di riciclaggio) vi sia stato un accor preventivo tale da rafforzare il proposito criminoso degli autori della violazione dell’art. 648 bis c.p.» e si lamenta l’illogicità della motivazione «ove si afferma che furono due le auto contraffatte rispetto a targhe austriache, paese nel quale il COGNOME opera».
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione dell’art. 99 cod. pen e la mancanza o l’apparenza o l’illogicità della motivazione con riguardo alla conferma dell’applicazione della recidiva (reiterata).
Nel richiamare diverse pronunce della Corte di cassazione su tale tema, il COGNOME lamenta che non sarebbero stati specificati i propri precedenti né «perché da essi dovrebbe derivarsi una maggiore pericolosità dei reo», nonché la
valorizzazione, da parte della Corte d’appello di Brescia, della commissione di reati dopo l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, «elemento non rientrante nella valutazione della recidiva ex art. 99 c.p.».
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. con riguardo alla conferma del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Brescia, ai fini di tale conferma, avrebbe valorizzato la gravità del fatto senza tenere conto che la scelta del rito abbreviato avrebbe dovuto indurre a concedere il beneficio «al fine di mitigare il severo trattamento sanzionatorio».
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente, in via subordinata, chiede che venga applicata la circostanza attenuante di cui al quarto comma dell’art. 648-bis cod. pen., «mancando l’esatta indicazione della natura aggravata dei furti», e rappresenta l’illogicità della motivazione «facendo leva sul valore delle autovetture che non consente di affermare la ricorrenza delle attenuanti».
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a due motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione «rispetto ai motivi di appello» e l’erronea applicazione dell’art. 648-bis cod. pen. e dell’art. 192 cod. proc. pen., con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di ricettazione.
Il ricorrente deduce che l’unica sua condotta provata sarebbe costituita dall’essersi intestato l’autovettura di provenienza furtiva, il che, in mancanza di prova che egli «sia entrato in contatto con la stessa auto o abbia avuto il possesso – anche momentaneo – della detta autovettura», non potrebbe integrare il reato di ricettazione ma, al più, quello di favoreggiamento reale.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. con riguardo alla conferma del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
NOME lamenta che la Corte d’appello di Brescia, ai fini di tale conferma, avrebbe valorizzato la gravità del fatto senza tenere conto che la scelta del rito abbreviato avrebbe dovuto indurre a concedere il beneficio «al fine di mitigare il severo trattamento sanzionatorio».
Secondo il ricorrente, anche gli elementi della sua assoluzione (da parte del G.i.p. del Tribunale di Brescia) dal reato di cui punto I del capo d’imputazione, della riqualificazione in ricettazione del fatto di cui al punto TI dello stesso cap d’imputazione, dell’esclusione della recidiva e della lontananza temporale dei propri precedenti penali avrebbero dovuto indurre a concedere il suddetto beneficio.
Lo stesso, inoltre, non avrebbe potuto essere negato «per l’esistenza di precedenti specifici che, però, non sono stati tenuti in considerazione per l’applicazione della recidiva che è stata esclusa».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Si deve premettere che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, si configura il delitto di riciclaggio anche nell’ipotesi di mera sostituzione della tar di un autoveicolo proveniente da furto, in quanto si tratta di una condotta univocamente diretta a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’autovettura (Sez. 2, n. 56391 dei 23/11/2017, Quattrocchi, Rv. 271553-01).
Più in generale, la manomissione di elementi identificativi di un veicolo (targa, numero di telaio, numeri di identificazione di parti meccaniche) integra il delitto di riciclaggio, perché ostacola l’accertamento della provenienza del bene (Sez. 2, n. 30842 del 03/04/2013, Giordano, Rv. 257059-01).
Ciò premesso, sempre secondo la Corte di cassazione, peraltro, in tema di riciclaggio, la mera detenzione di un bene, alterato in modo da ostacolare l’identificazione dell’illecita provenienza, non è sufficiente per l’affermazione d penale responsabilità, in assenza di elementi idonei a ricondurre la condotta di alterazione o manipolazione al detentore, quanto meno a titolo di concorso (Sez. 2, n. 29002 del 09/10/2020, Morelli, Rv. 279703-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva ritenuto la sussistenza del reato di riciclaggio a carico del detentore di un motociclo con targa posticcia applicata sopra quella originaria, in assenza di accertamento della partecipazione di quest’ultimo, anche a titolo di concorso, all’apposizione della seconda targa; Sez. 2, n. 41740 del 30/09/2015, COGNOME, Rv. 265097-01, con la quale la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna della proprietaria del veicolo – condotto da un terzo al momento del controllo – la cui targa, documento di circolazione e numero di telaio erano stati abusivamente associati all’autovettura rubata, non avendo l’imputata allegato alcun elemento tale da far ritenere che la sua vettura fosse stata, anche solo di fatto, ceduta a terzi).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Brescia non si è limitata a evidenziare come le due autovetture di provenienza furtiva fossero state detenute dal COGNOME – il quale le aveva condotte presso la concessionaria RAGIONE_SOCIALE ma ha altresì valorizzato gli elementi: a) della condotta che era stata tenuta dal Chirurribolo nei confronti di NOME COGNOME, socio di RAGIONE_SOCIALE, sia prima della consegna delle due autovetture da parte dello stesso COGNOME al COGNOME, sia dopo che questi aveva rappresentato all’imputato l’alterazione dei telai dei due
automezzi e la provenienza furtiva di essi; b) della vaghezza delle spiegazioni che erano state date dal COGNOME al COGNOME in ordine alla disponibilità di un’unica copia delle chiavi di accensione dell’autovettura di cui al punto I del capo d’imputazione; c) che le autovetture che il COGNOME aveva proposto al COGNOME perché questi le rivendesse ai clienti della sua concessionaria, oltre a essere due, erano state sottoposte a un’identica attività di riciclaggio, consisti nell’alterazione del numero di telaio e nella sostituzione delle targhe originarie con targhe austriache, sicché il circuito di provenienza delle due autovetture si doveva ritenere il medesimo, atteso anche che le modalità con le quali era stato alterato il telaio si dovevano ritenere dimostrative di come l’operazione fosse «riconducibile alle medesime mani»; d) l’apposizione alle due autovetture di targhe austriache originali, il che, posto che l’imputato importava autovetture proprio dall’Austria e dalla Germania, spiegando il possesso, da parte sua, di targhe di autovetture austriache, si doveva ritenere collocare le condotte di manipolazione dei due mezzi «sempre in prossimità della persona del COGNOME»; e) il breve lasso temporale tra la sottrazione delle due autovetture e l’accertata detenzione delle stesse in capo all’imputato.
Sulla base di tali elementi – e non, perciò, della mera detenzione delle due autovetture – la Corte d’appello di Brescia ha ritenuto che l’attività d manipolazione di esse si dovesse ricondurre al COGNOME. Ciò quantomeno a titolo di concorso morale, per avere l’imputato almeno previamente assicurato agli autori materiali della stessa manipolazione la possibilità di collocare i due automezzi sul mercato tramite i canali di vendita che il Chirun -ibolo aveva aperti.
Tale motivazione del concorso dell’imputato nella manipolazione delle due autovetture si deve ritenere priva di contraddizioni e di manifeste illogicità – olt che in linea con i ricordati orientamenti della Corte di cassazione – e, in quanto perciò idonea a fondare l’affermazione di responsabilità per il reato di riciclaggio, si deve ritenere implicitamente pienamente idonea anche a escludere la diversa qualificazione dei fatti come ricettazione.
Né l’avere ipotizzato un concorso meramente morale dell’imputato si può ritenere suscettibile di integrare una (peraltro non dedotta) violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, atteso che ciò non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, né può provocare menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneità rispetto all’originaria contestazione (Sez. 2, n. 12207 del 17/03/2015, Abruzzese, Rv. 263017-01. Successivamente, tra le tante: Sez. 2, n. 15928 del 25/03/2022, COGNOME, e Sez. 5, n. 4876 del 02/12/2021, COGNOME, entrambe non massimate).
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Quanto all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782-01). In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.
In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di u potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 26346401).
Più diffusamente, la stessa Corte di cessazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tr fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, Rv. 270419-01).
Nel caso di specie, le conformi sentenze dei giudici di merito hanno applicato la recidiva reiterata ritenendo che i reati di riciclaggio sub iudice, posti in relazione con le plurime precedenti condanne che erano state riportate dall’imputato, fossero dimostrativi della pervicacia criminosa del COGNOME, il quale aveva reiteratamente proseguito nel violare la legge penale senza che le precedenti condanne (e neppure l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno) avessero conseguito un effetto né rieducativo né monitorio.
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza cli legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un discrezionale giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non
contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini ‘dell’esclusione dell attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli al disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Brescia ha confermato il diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivi e prevalenti, a tale fine, gli elementi della gravità dei fatti e dei precedenti penali dell’imputat
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
Diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, peraltro, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non si può fondare sulla scelta di definire il processo nelle forme del rito abbreviato, la quale implica ex lege il riconoscimento di una predeterminata riduzione della pena, poiché, in caso contrario, la stessa circostanza comporterebbe due distinte conseguenze favorevoli all’imputato (Sez. 3, n. 46463 del :11/09/2019, COGNOME, Rv. 27727101; Sez. 2, n. 24312 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 260012-01; Sez. 4, n. 6220 del 19/12/2008, dep. 2009, Lanza, Rv. 242861-01).
1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Il principio dell’onere della prova ha natura trasversale e si applica a tutte le parti del processo, anche all’imputato che alleghi fatti estintivi o modificativi del pretesa punitiva esercitata con l’azione penale e che non risultino già acquisiti al processo.
Acclarata la provenienza delittuosa del bene riciclato, è quindi onere dell’imputato, anche in virtù del principio, già noto nell’ambito del processo civile, della “vicinanza della prova”, dimostrare che il suddetto bene proviene da un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni (Sez. 2, n. 29516 del 11/05/2023, COGNOME, non massimata).
Costituisce, del resto, un principio da tempo affermato dalla Corte di cassazione quello secondo cui la prova della sussistenza di una circostanza attenuante incombe sull’imputato, con la conseguenza che, in difetto di elementi di valutazione, adempie all’obbligo di motivazione il giudice che, nella sentenza, escluda l’attenuante invocata in considerazione dell’assenza di prova dei presupposti della stessa (Sez. 4, n. 110 del 22/01/1974, Varriale, Rv. 126674-01; Sez. 4, n. 1904 del 15/11/1973, dep. 1974, Randazza, Rv. 126510NUMERO_DOCUMENTO01).
Prova che, nel caso di specie, non risulta essere stata fornita dall’imputato, come si deve ritenere sarebbe stato tanto più necessario alla luce del fatto che il delitto presupposto di furto di autovetture risulta, nella pressoché totalità dei casi aggravato (dalla violenza sulle cose o dall’esposizione alla pubblica fede o da entrambe tali circostanze aggravanti) e, perciò, punito con una pena che non è inferiore nel massimo a cinque anni.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Le conformi sentenze dei giudici di merito hanno appurato, con un accertamento in fatto che, in quanto non presenta contraddizioni né illogicità, non è sindacabile in questa sede, come il NOME avesse acquistato la proprietà dell’autovettura di provenienza delittuosa di cui al punto TI del capo d’imputazione, curandone la reimmatricolazione presso la Motorizzazione civile di Catanzaro, per poi affidare la stessa autovettura al COGNOME perché la vendesse.
Tale acquisto, compiuto nella consapevolezza della provenienza furtiva dell’autovettura e anche del fatto che essa era stata riciclata (dal COGNOME), integra il reato di ricettazione, per la sussistenza del quale, peraltro contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, non è necessario che l’agente instauri una relazione fisica con il bene.
2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Richiamati i principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di attenuanti generiche che si sono rammentati al punto 1.3., si deve rilevare che, nel caso di specie, la Corte d’appello di Brescia ha confermato il diniego di tali circostanze attenuanti ritenendo decisivi e prevalenti, a tale fine, gli elementi della gravità de fatto e dei precedenti penali dell’imputato, così legittimamente disattendendo il rilievo di altri elementi, tra i quali anche quelli, dedotti dal COGNOME, della assoluzione dal reato di cui al punto I del capo d’imputazione, della riqualificazione
in ricettazione del fatto di cui al punto II dello stesso capo d’imputazione, dell’esclusione della recidiva e della lontananza temporale dei suddetti precedenti.
Sempre al punto 1.3., si è detto come l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non si possa fondare sulla scelta di definire il processo nelle forme del rito abbreviato.
Infine, contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, l’esistenza di precedenti penali specifici può rilevare ai fini del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e dei benefici di legge anche quando il giudice, sulla base di una valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio e della personalità dell’imputato, abbia escluso che la reiterazione delle condotte denoti la presenza di uno spessore criminologico tale da giustificare l’applicazione della recidiva (Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444-0:1; Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, COGNOME, Rv. 260460-01).
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/05/2024.