Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7962 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7962 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato ad Altofonte il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/06/2023 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udito l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, il quale, dopo la discussione, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 05/06/2023, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del 02/12/2021 del Tribunale di Lodi di condanna di NOME COGNOME alla pena di quattro anni di reclusione ed C 8.000,00 di multa per il reato di riciclaggio di un’autovettura proveniente dal delitto di furto ai danni di NOME COGNOME, alla quale erano state apposte le targhe (anteriore e posteriore) di un’altra autovettura, intestata alla moglie del COGNOME NOME COGNOME.
Avverso l’indicata sentenza del 05/06/2023 della Corte d’appello di Milano, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione in ordine all’attribuzione a sé del reato, e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l conseguente nullità della sentenza impugnata per inosservanza dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
Dopo avere esposto alcuni principi in tema di sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione del provvedimento impugnato e, in particolare, in tema di motivazione apparente, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel denunciato vizio motivazionale e, in particolare, in quello di motivazione apparente, con riguardo alla riconducibilità all’imputato della sostituzione delle targhe dell’autovettura rubata con quelle dell’autovettura intestata alla moglie, vizio che si riverbererebbe anche sulla motivazione della sentenza impugnata in ordine alla prova dell’elemento psicologico della consapevolezza, in capo allo stesso imputato, della provenienza delittuosa dell’autovettura riciclata, atteso che la Corte d’appello di Milano ha tratto la prova di tale consapevolezza proprio dalla sostituzione delle targhe.
Il ricorrente rappresenta che il Tribunale di Lodi avrebbe affermato la sua responsabilità per il reato ascrittogli sulla base della testimonianza di NOME COGNOME, limitandosi, tuttavia, a riassumere il contenuto di tale testimonianza, senza compiere alcuna «valutazione critica» dello stesso contenuto, e che la Corte d’appello di Milano, senza esaminare i motivi di appello, avrebbe meramente affermato che «non vi sono alternative nel ritenere che l’autore della sostituzione delle targhe sia l’imputato» (così il ricorso), omettendo, così di «dar conto dei criteri adottati nel valutare le prove sulla base delle quali ha confermato la decisione del Tribunale», così rendendo una pronuncia priva di motivazione o, comunque, sorretta da una motivazione meramente apparente.
Dopo avere esposto che i due fatti della disponibilità in capo all’imputato dell’autovettura con le targhe sostituite e la sostituzione delle stesse targhe «non sono legati da una evidente inferenza fattuale e logica», il ricorrente ribadisce che la Corte d’appello di Milano ha omesso di indicare da quale elemento avrebbe ricavato quel quid pluris idoneo a indicare che la condotta, consistita nell’alterazione o manipolazione del bene, sia riconducibile all’imputato – che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (è citata: Sez. 2, n. 41740 del 30/09/2015, Cariati, Rv. 265097-01), è necessario perché sia configurabile la fattispecie incriminatrice dell’art. 648-bis cod. pen.
L’affermazione della Corte d’appello di Milano secondo cui «on vi sono alternative al ritenere che l’autore dell’applicazione delle targh dell’autoveicolo della moglie a quella di illecita provenienza, fosse stato l’imputato»
costituirebbe, sempre secondo il ricorrente, «una sorta di scorciatoia probatoria che si risolve di fatto nella elusione dell’obbligo motivazionale».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per inosservanza degli artt. 416, comma 1, 415-bis e 521, comma 1, cod. proc. pen.
Il ricorrente premette in fatto che: a) inizialmente, egli era stato citato direttamente a giudizio per rispondere, in concorso con la moglie NOME COGNOME, del reato di ricettazione dell’autoveicolo di provenienza furtiva; b) il giudice competente per il giudizio aveva ritenuto la sussistenza del reato di riciclaggio dello stesso autoveicolo sicché, poiché tale reato è tra quelli per i quali è prevista l’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 521-bis cod. proc. pen., aveva trasmesso gli atti al pubblico ministero; c) questi aveva riformulato l’imputazione, a carico del COGNOME, come riciclaggio, contestando allo stesso COGNOME di avere apposto sull’autovettura di provenienza furtiva le targhe, anteriore e posteriore, dell’autovettura intestata alla moglie, così da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della stessa autovettura, e aveva presentato al giudice per le indagini preliminari la pedissequa richiesta di rinvio a giudizio; d) tale richiesta non veniva preceduta dalla rinnovazione dell’avviso previsto dall’art. 415-bis cod. proc. pen.; e) egli aveva perciò eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio in sede di udienza preliminare ma il giudice di tale udienza, con ordinanza del 12/05/2021, aveva rigettato l’eccezione.
Ciò premesso in fatto, il ricorrente, nell’asserire di condividere il principio, affermato dalla Corte di cassazione e richiamato anche dalla Corte d’appello di Milano, secondo cui, nel caso di regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, a seguito di ordinanza ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen., non è dovuta la rinnovazione dell’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., se, rispetto alla fase procedimentale anteriore alla regressione, non sia intervenuto un quid novi in relazione al quale l’imputato avrebbe diritto di calibrare diversamente l’esercizio del diritto di difesa (Sez. 5, n. 48888 del 07/11/2022, COGNOME, Rv. 283872-01), sostiene però che la stessa Corte d’appello non ne avrebbe fatto buon governo, atteso che, nel caso di specie, il suddetto quid novi si doveva ritenere sussistente.
Il ricorrente rappresenta in proposito che, nel caso di specie, non vi era stata una mera diversa definizione giuridica ma il fatto enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio era radicalmente mutato rispetto alla contestazione iniziale, con l’inserimento di fatti storici del tutto nuovi che non erano enunciati nell’imputazione originaria, quali la sostituzione delle targhe da parte dell’imputato e il suo fine di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’autovettura. Del resto, anche sul piano generale, il reato di riciclaggio si
distingue da quello di ricettazione con riguardo sia all’elemento materiale sia all’elemento psicologico.
Il ricorrente deduce quindi che, a fronte del suddetto mutamento del fatto, egli avrebbe avuto il diritto di calibrare diversamente l’esercizio del proprio diritto di difesa, in particolare, chiedendo al pubblico ministero il compimento di atti d’indagine diretti non tanto ad accertare la provenienza delittuosa dell’autovettura quanto a identificare le persone che erano coinvolte nella sostituzione delle targhe della stessa, «anche al fine di acquisire elementi per escludere anche una ipotesi concorsuale». Egli, invece, non aveva avuto la possibilità di avvalersi delle facoltà previste dall’art. 415-bis cod. proc. pen. con riguardo al fatto storico, a lui successivamente contestato, della sostituzione delle targhe anteriore e posteriore dell’autovettura provento di furto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In ordine logico, deve essere scrutinato per primo il secondo motivo di ricorso.
Esso non è fondato.
La Corte di cassazione ha affermato il principio secondo cui, nel caso di regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, a seguito di ordinanza ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen., non è dovuta la rinnovazione dell’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., se, rispetto alla fas procedinnentale anteriore alla regressione, non sia intervenuto un quid novi in relazione al quale l’imputato avrebbe diritto di calibrare diversamente l’esercizio del diritto di difesa (Sez. 5, n. 48888 del 07/11/2022, COGNOME, Rv. 283872-01; Sez. 5, n. 7292 del 15/12/2014, dep. 2015, Messina, Rv. 262317-01).
Si deve altresì rammentare che, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, con riguardo alla natura della nullità che consegue all’omesso avviso della conclusione delle indagini preliminari, sussistono due orientamenti, i quali inquadrano tale nullità, rispettivamente: tra le nullità “generali a regime intermedio”, che va quindi eccepita o rilevata d’ufficio prima della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 5, n. 21875 del 20/03/2014, Di Giovanni, Rv. 262821-01); tra le nullità “relative”, che va quindi eccepita entro il termine di cui all’art. 491 cod. proc. pen., subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (Sez. 5, n. 44825 del 14/05/2014, COGNOME, Rv. 262104-01).
Richiamati tali principi, si deve osservare che, nel caso di specie, dall’esame degli atti – doveroso quando sia dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto – risulta che il ricorrente eccepì la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, per non essere stato rinnovato l’avviso di
cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., in sede di udienza preliminare, ma ha poi omesso di coltivare tale eccezione nel giudizio di primo grado, nel corso del quale la stessa eccezione non è stata riproposta, con la conseguente sanatoria dell’eventuale nullità della richiesta di rinvio a giudizio, ai sensi dell’art. 180 cod proc. pen.
Anche il secondo motivo non è fondato.
Si deve premettere che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, ricevuto un ciclomotore o altro veicolo di provenienza delittuosa – per il quale è necessaria, ai fini della circolazione, la dotazione della targa indicata dall’art. 97 del d.lgs. 3 aprile 1992, n. 285, che identifica l’intestatario del certificato di circolazione – vi apponga una targa di sua proprietà poiché, così facendo, ostacola l’accertamento della provenienza delittuosa del mezzo, che appare nella legittima disponibilità dell’agente (Sez. 2, n. 39702 del 17/05/2018, Gallo, Rv. 273899-01).
Ciò premesso, secondo la stessa Corte di cassazione, peraltro, in tema di riciclaggio, la mera detenzione di un bene, alterato in modo da ostacolare l’identificazione dell’illecita provenienza, non è sufficiente per l’affermazione di penale responsabilità, in assenza di elementi idonei a ricondurre la condotta di alterazione o manipolazione al detentore, quanto meno a titolo di concorso (Sez. 2, n. 29002 del 09/10/2020, Morelli, Rv. 279703-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva ritenuto la sussistenza del reato di riciclaggio a carico del detentore di un motociclo con targa posticcia applicata sopra quella originaria, in assenza di accertamento della partecipazione di quest’ultimo, anche a titolo di concorso, all’apposizione della seconda targa).
In senso analogo, secondo Sez. 2, n. 41740 del 30/09/2015, Cariati, cit., in tema di riciclaggio, la mera detenzione del bene di illecita provenienza, alterato in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza stessa, non è sufficiente per l’affermazione di penale responsabilità, in assenza di elementi idonei a ricondurre la condotta di alterazione o manipolazione al detentore, quanto meno a titolo di concorso (nella specie, la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna della proprietaria del veicolo – condotto da un terzo al momento del controllo – la cui targa, documento di circolazione e numero di telaio erano stati abusivamente associati all’autovettura rubata, non avendo l’imputata allegato alcun elemento tale da far ritenere che la sua vettura fosse stata, anche solo di fatto, ceduta a terzi).
Nel caso in esame, le conformi sentenze dei giudici di merito non hanno evidenziato soltanto come l’autovettura di provenienza furtiva fosse detenuta dal COGNOME il quale, come risultava dalla testimonianza di NOME COGNOME, gli aveva chiesto di venderla e l’aveva parcheggiata nello spazio antistante la concessionaria
RAGIONE_SOCIALE presso la quale lavorava il COGNOME – ma anche come le targhe che erano state apposte alla stessa autovettura appartenessero a un’autovettura della moglie del COGNOME, «persona assolutamente contigua con l’imputato» (pag. 3 della sentenza di primo grado»), la quale, peraltro, come avevano riferito i t stimoni della polizia giudiziaria, aveva negato la propria responsabilità, indirizzando i Carabinieri al marito.
Tali elementi hanno indotto la Corte d’appello di Milano a ritenere che l’apposizione, sull’autovettura rubata, delle targhe dell’autovettura della moglie dell’imputato – e non di altri soggetti, ciò che avrebbe reso logicamente ipotizzabile che il COGNOME potesse avere ricevuto l’autovettura di provenienza furtiva quando la manipolazione della stessa, mediante l’apposizione di altre targhe, era già avvenuta – fosse stata operata dallo stesso imputato.
Tale motivazione della riconducibilità all’imputato della sostituzione delle targhe dell’autovettura rubata si deve ritenere, ad avviso del Collegio, esistente e non meramente apparente, oltre che priva di contraddizioni e illogicità manifeste, sicché essa si sottrae alle censure del ricorrente.
Quanto, infine, all’affermazione della Corte d’appello di Milano, contestata dal ricorrente, secondo cui «on vi sono alternative al ritenere, né la Difesa ne ha offerte, che l’autore dell’applicazione delle targhe dell’autoveicolo della moglie a quella di illecita provenienza, fosse stato l’imputato», essa deve essere letta, evidentemente, alla luce dell’anzidetta motivazione e nell’ovvio significato che discende dalla regola di giudizio che è compendiata nella formula del «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, comma 1, cod. proc. pen.), la quale impone di pronunciare condanna quando l’acquisito dato probatorio lasci fuori soltanto eventualità alternative remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010, Giampà, Rv. 247449-01); come ha appunto inteso affermare, con la frase sopra citata, la Corte d’appello di Milano.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 09/01/2024.