Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6210 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6210 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato in Jugoslavia il 22/08/1979
avverso la sentenza del 02/02/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; sentito il difensore, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Treviso, emessa il 2 febbraio 2023, che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione al reato di riciclaggio di cui al capo 1, commesso sostituendo la targa ed il numero di telaio di una autovettura di provenienza illecita, abbinandovi documenti di circolazione donati e utilizzando per la sua vendita all’estero una falsa procura notarile con uso di falso sigillo, in modo da ostacolarne l’identificazione.
I connessi reati di truffa e falso sono stati dichiarati prescritti dal giudice di primo grado.
Ricorre per cassazione COGNOME deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ed, in particolare, rispetto alla conoscenza da parte dell’imputato della provenienza delittuosa dell’automobile da lui venduta in Kosovo.
La Corte non avrebbe adeguatamente tenuto conto della versione difensiva, corroborata da alcune emergenze probatorie, secondo cui il ricorrente si era recato
a Napoli in compagnia dell’originario coimputato COGNOME poi assolto, accompagnando costui ad acquistare l’automobile e venendo da questi incaricato della sua vendita all’estero.
Il viaggio a Napoli era stato riscontrato dall’esame delle celle telefoniche, come pure il contatto del COGNOME con un certo COGNOME titolare di una autofficina, che gli aveva procurato l’autovettura.
Non sarebbe stata riscontrata la versione offerta dalla coimputata NOMECOGNOME poi assolta, intesa a sostenere che il viaggio a Napoli del ricorrente e del COGNOME (coniuge della NOME), fosse avvenuto per altra causale, quale la commercializzazione di materiale legnoso.
Sicché, ad avviso del ricorrente, la Corte non avrebbe apprezzato la contraddizione insita nella assoluzione dei coimputati da parte del primo giudice, i quali, al contrario del ricorrente, avevano contatti a Napoli e da quella città proveniva il certificato di proprietà poi falsificato che aveva accompagnato il mezzo.
La Corte, inoltre, avrebbe erroneamente ritenuto che l’imputato avesse avuto consapevolezza della falsità dei documenti a corredo dell’autovettura, non tenendo conto che non era rilevante che la procura a vendere fosse stata rilasciata al ricorrente non dal Sanson ma da altro soggetto (COGNOME, posto che quest’ultimo era stato tra i proprietari dell’automobile e la procura non era stata utilizzata per la vendita dell’automobile;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, essendosi egli limitato a trasferire l’auto all’estero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e, comunque, manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata con argomenti che ineriscono al merito del giudizio e che solo parzialmente danno
conto della completa motivazione della sentenza impugnata, conforme a quella di primo grado in più punti richiamata.
In primo luogo, si sorvola del tutto sulla decisiva circostanza che la versione offerta dalla coimputata NOME – secondo la quale il ricorrente si era procurato la vettura autonomamente ed aveva all’uopo chiesto un prestito per il suo acquisto ai coniugi originari coimputati – è stata riscontrata dal riconoscimento di debito prodotto agli atti e firmato dal ricorrente, che aveva inutilmente negato la sottoscrizione di quel decisivo documento poi accertata attraverso apposita perizia grafologica.
In secondo luogo, si sorvola sulle contraddizioni rilevate nel racconto dell’imputato, in particolare sul fatto che questi aveva dichiarato in un primo tempo di avere utilizzato la procura a vendere l’automobile rilasciatagli da soggetto che non era il Sanson, per poi negare l’importante circostanza (cfr. fg. 15 della sentenza di primo grado richiamata da quella impugnata).
Tale procura era falsa sia perché redatta da notaio non esistente sia perché munita di sigillo notarile non autentico, sicché è stato ritenuto altamente rilevante che di essa l’imputato si sia servito come inizialmente da lui stesso dichiarato.
Il ricorso sorvola anche sulle inverosimiglianze della versione difensiva a proposito della antieconomicità dell’affare, della risoluzione del Sanson di vendere l’autovettura subito dopo averla acquistata, per di più all’estero dove l’imputato l’avrebbe trasportata con documenti falsi in suo possesso (fg. 7 della sentenza impugnata), della esperienza nel Gashi nello specifico settore della vendita di auto. E’ l’insieme di questi dati – in parte obliterati nel ricorso – che rende la motivazione della Corte in punto di responsabilità esente da vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede, con superamento di ogni altra obiezione difensiva.
2. In ordine al secondo motivo, la Corte di appello ha giustificato il diniego delle circostanze attenuanti generiche richiamando i plurimi precedenti penali del ricorrente, le gravi modalità della condotta e l’intensità del dolo (fg. 14 della sentenza impugnata).
Si è fatto espresso riferimento, quindi, ad alcuni parametri di cui all’art. 133 cod. pen., dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle
Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende. Così deciso, il 29.01.2025.