Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25000 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25000 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 03/01/1989 COGNOME nato il 09/08/1995
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso del G.COGNOME e il rigetto del ricorso del BUNA.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Forlì, ha rideterminato la pena nei confronti di NOME in anni uno, mesi undici di reclusione ed euro 3.200,00 di multa e nei confronti di NOME in anni uno di reclusione ed euro 1.500 di multa, in relazione a plurime ipotesi di cessione continuata di sostanza stupefacente, qualificati i fatti ai sensi dell’art.73, comma 5 dPR 309/90.
La Corte di appello di Bologna confermava la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto la tardività della richiesta di messa alla prova avanzata nel corso del dibattimento di primo grado dalla difesa del BUNA sul presupposto che, pur essendo stata riconosciuta la diversa qualificazione dei fatti, le condotte contestate erano le stesse di cui alla pronuncia di condanna, di talchè la richiesta avrebbe dovuto essere proposta in limine litis non potendosi applicare la giurisprudenza, di maggiore favore (sez.6, n.16669 del 26/10/2022, PG/Gonzales Rv.284610) la quale riconosceva la possibilità di una richiesta tardiva solo in ipotesi di accertamento dei fatti in modo difforme rispetto alla imputazione.
Quanto alla posizione COGNOME NOME confermava la responsabilità del prevenuto in relazione alle cessioni eseguite in favore di COGNOME NOME in quanto le stesse trovavano fondamento nelle dichiarazioni testimoniali dello stesso cliente rifornito e del fatto che le modalità di pagamento dello stupefacente e la sistematica attività di cessione da parte dell’imputato trovavano riscontro in analoghi episodi criminosi in relazione ai quali il ricorrente era stato tratto in arresto.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa di entrambi gli imputati in persona dell’avv.to NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME viene avanzato un unico motivo di ricorso con il quale si assume violazione di legge in relazione agli artt.168 bis cod. pen., 464 bis e 464 ter cod. proc. pen. nella parte in cui il giudice distrettuale aveva disatteso la doglianza concernente la mancata ammissione del ricorrente all’istituto della messa alla prova con sospensione del procedimento in quanto, contrariamente a quanto sostenuto in motivazione, i giudici di primo grado avevano ritenuto di qualificare i fatti ai sensi dell’art.73 comma 5 dPR 309/90 e che i fatti successivamente accertati in capo al prevenuto era quantitativamente e qualitativamente diversi da quelli indicati in imputazione laddove la diversa qualificazione degli stessi era dipesa dal sostanziale ridimensionamento degli addebiti di responsabilità, evenienza che si era palesata solo al termine dell’istruttoria dibattimentale.
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Nell’interesse di NOME si deduce violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento all’affermazione di responsabilità, sia pure a titolo concorsuale con CASTIGLIONE, in relazione al reato di cui al capo 6) concernente la cessione di cocaina in favore di COGNOME in quanto dagli atti processuali risultava che il COGNOME non cedeva direttamente al DALL’AURI ma riforniva di stupefacente il proprio datore di lavoro il quale, successivamente, aveva ceduto parte della sostanza al DALL’AURI, con la conseguenza che non risultava affatto dimostrata l’intenzione del ricorrente di cedere sostanza stupefacente al DALL’AURI, le cui dichiarazioni risultavano ipotetiche e dubitative e non potevano fondare l’affermazione di responsabilità dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile dal momento che i motivi di ricorso sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non risultano scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e si presentano altresì privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congru riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione). Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità, risolvendosi la censura in una alternativa ricostruzione in fatto della vicenda processuale, preclusa dinanzi al giudice di legittimità. Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
4. Fondato è invece il motivo di ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE il quale, in sede di discussione all’esito dell’istruttoria dibattimentale dinanzi al Tribunale di Forlì aveva chiesto di beneficiare dell’istituto della messa alla prova, già richiesto dinanzi al giudice della udienza preliminare, sul presupposto che la eventuale riqualificazione dei fatti reato sotto il paradigma dell’art.73 comma 5 dPR 309/90, previa pronuncia assolutoria per una serie di reati concernenti la cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, coerentemente agli esiti
dell’istruttoria dibattimentale, avrebbe consentito l’accesso all’istituto, istituto che non sarebbe stato possibile richiedere entro i termini previsti dalla legge ostandovi la sussunzione dei fatti ai sensi dell’art.73, comma 1 dPR 309/90.
La censura coglie nel senso in quanto non è dato comprendere dalla motivazione della sentenza impugnata le ragioni del rigetto della relativa richiesta in relazione alla giurisprudenza richiamata anche dalla difesa (sez.6, n.16669 del 26/10/2022, PG C/Gonzales, Rv.284610; sez.3, n.8982 del 5/12/2019, Bahir, Rv.278402). Invero il Collegio ribadisce il condivisibile principio, recentemente affermato, secondo cui il riconoscimento della diversa qualificazione giuridica del fatto in dibattimento non legittima l’imputato a proporre tardivamente la richiesta di messa alla prova, in quanto l’inesatta contestazione del reato non preclude l’accesso al rito speciale, giacché la messa alla prova ben può essere avanzata deducendosi l’erronea qualificazione giuridica del fatto (Sez. 6, n. 19673 del 8/4/2021, Amico, Rv. 281161) ma, nella specie non solo il ricorrente aveva richiesto di essere ammesso alla messa alla prova in sede di udienza preliminare, ma aveva altresì riproposto la relativa istanza in sede di discussione dinanzi al giudice di primo grado, il quale non si è limitato a qualificare giuridicamente alcuni dei fatti contestati al BUNA, ma lo ha anche assolto da una serie di ulteriori contestazioni che erano state ritenute preclusive al beneficio.
5.1. La motivazione della sentenza impugnata è pertanto illogica laddove riconosce che i fatti “originariamente contestati erano cessioni di sostanza stupefacente del tipo cocaina in maniera più diffusa ed estesa di quanto è stato ritenuto in sentenza”, e ha poi escluso il beneficio in quanto la riqualificazione in fatti di lieve entità non “snatura la sostanza degli atti illeciti commessi” (sentenza impugnata pag.3), senza peraltro esaminare la questione, sollevata dalla difesa nella impugnazione in appello, se la diversa qualificazione da parte del giudice di primo grado sia intervenuta con riferimento ai medesimi fatti di cui alla contestazione, ovvero su fatti quantitativamente e qualitativamente diversi e cioè concernenti sostanze stupefacenti diverse da quelle contestate, ovvero su imputazioni che, in sentenza, avevano subito una radicale trasformazione, anche sotto il profilo quantitativo (numero delle cessioni, destinatari delle stesse, quantitativi ceduti), così da giustificare la richiesta tardiva di messa alla prova conformemente alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 131 del 2019).
Sul punto la sentenza impugnata risulta priva di motivazione e deve trovare annullamento con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE limitatamente
=
alla
LL,1
questione concernente la messa alla prova e rinvia, per nuovo giudizi , a al sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile il ricorso
COGNOME e condanna il predetto ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente