Ricettazione supporti duplicati: La Cassazione sulla prova della consapevolezza
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di ricettazione supporti duplicati, fornendo importanti chiarimenti sui criteri di prova della consapevolezza della provenienza illecita dei beni. La decisione ribadisce principi consolidati in materia, sottolineando come la valutazione delle prove sia di competenza esclusiva dei giudici di merito e come il ricorso in Cassazione non possa trasformarsi in un terzo grado di giudizio.
Il Caso: Dalla Condanna in Appello al Ricorso per Cassazione
Un individuo veniva condannato dalla Corte d’Appello per il reato di ricettazione, previsto dall’art. 648 c.p., per aver detenuto numerosi CD e DVD abusivamente duplicati. La Corte territoriale aveva riformato la sentenza di primo grado, dichiarando prescritto un altro capo d’imputazione e riqualificando i fatti come ricettazione di lieve entità, rideterminando la pena in sei mesi di reclusione e 200 euro di multa.
L’imputato, non soddisfatto della decisione, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. In particolare, sosteneva che la Corte d’Appello non avesse verificato la natura delle opere presenti sui supporti informatici e, soprattutto, non avesse escluso la possibilità che fosse stato lui stesso a produrre il materiale, condotta che, a suo dire, avrebbe dovuto essere inquadrata nel diverso reato previsto dalla legge sul diritto d’autore.
I motivi della Cassazione: la ricettazione supporti duplicati e la valutazione della prova
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi proposti non rientranti nel numerus clausus delle censure ammesse in sede di legittimità. I giudici hanno chiarito che le doglianze dell’imputato investivano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, attività riservate esclusivamente al giudice di merito.
Le motivazioni
La Cassazione ha evidenziato come la motivazione della Corte d’Appello fosse congrua, esauriente e logicamente corretta. I giudici di secondo grado avevano correttamente ritenuto provata la responsabilità dell’imputato sulla base di una serie di elementi precisi e circostanziati. Nello specifico, la consapevolezza della provenienza delittuosa dei supporti era stata desunta:
1. Dalle caratteristiche della merce: i supporti erano dotati di copertine palesemente fotocopiate, un chiaro indice della loro non autenticità.
2. Dalla mancanza di giustificazione: l’imputato non aveva fornito alcuna spiegazione plausibile riguardo all’acquisto o al possesso di tale materiale.
3. Dalle circostanze del ritrovamento: l’uomo era stato sorpreso dalle forze dell’ordine mentre deteneva i molteplici supporti davanti a una bancarella allestita per la loro vendita.
La Corte ha inoltre specificato che non vi era alcun elemento probatorio a sostegno della tesi difensiva dell'”autoproduzione”. Al contrario, l’assenza dell’imputato durante il processo ha contribuito a non fornire alcun elemento utile a suffragare questa versione alternativa dei fatti.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un importante principio in materia di ricettazione supporti duplicati: la prova della conoscenza della provenienza illecita del bene può essere raggiunta anche attraverso prove logiche e indiziarie. Elementi come l’aspetto esteriore del prodotto (copertine false), l’assenza di una giustificazione per il possesso e il contesto (vendita su una bancarella) costituiscono, nel loro complesso, un quadro probatorio sufficiente a fondare una condanna. La decisione sottolinea, ancora una volta, la netta distinzione tra il giudizio di merito, incentrato sulla ricostruzione dei fatti, e il giudizio di legittimità della Cassazione, limitato al controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione.
In un caso di ricettazione di supporti duplicati, come si prova che l’imputato conosceva la loro provenienza illecita?
La conoscenza della provenienza illecita può essere dedotta da elementi di fatto, come le caratteristiche della merce (es. copertine fotocopiate), la mancanza di una valida giustificazione per il possesso e le circostanze del ritrovamento (es. su una bancarella predisposta per la vendita).
L’imputato può difendersi sostenendo di essere stato lui stesso a duplicare i supporti?
Sì, ma questa affermazione deve essere supportata da elementi di prova. In questo caso, la Corte ha ritenuto che non vi fosse alcun conforto probatorio a sostegno di tale tesi, anche a causa dell’assenza dell’imputato al processo, che non ha fornito elementi a sua discolpa.
Quali sono i limiti del ricorso in Cassazione?
Il ricorso in Cassazione non può vertere su una nuova valutazione delle prove o sulla ricostruzione dei fatti. È limitato a un elenco tassativo (numerus clausus
) di censure, come la violazione di legge o vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23752 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23752 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 27/08/1981
avverso la sentenza del 13/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale il giudice territoriale ha riformato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 09/03/20 dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di cui al capo perché estinto per prescrizione e, riqualificati i fatti di cui al capo b) ai sensi dell’art. 64 4, cod. pen., rideterminava la pena in mesi sei di reclusione ed euro 200,00 di multa.
Con un primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazi all’art. 648 cod. pen., per aver la Corte territoriale ritenuto provata la penale responsabili ricorrente, non avendo la Corte verificato la tipologia di opere presenti sui supporti informat non avendo escluso l’autoproduzione del materiale che avrebbe integrato il reato di cui all’ar 171 ter I. 633 del 1941.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 09/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente