Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3136 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3136 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nateta COGNOME il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 14/11/2022 della CORTE di APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
Il difensore AVV_NOTAIO insisteva per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Ancona confermava la condanna di NOME COGNOME per l condotte contestate previa riqualificazione delle condotte di inizialmente qualificat furto in ricettazione; confermava anche responsabilità per le condotte di utilizzo ill due carte bancomat.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deducev
2.1. violazione di legge (art. 195 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione: u probatorio essenziale, ovvero quello della identificazione dell’orario dei prelievi, stato acquisito attraverso la testimonianza del NOME COGNOMECOGNOME che avrebbe riferito
narrato dagli offesi, in violazione dell’articolo 195 del codice di rito; sarebbe stato, inve necessario effettuare degli accertamenti che dessero conto oggettivamente di quali fossero gli orari di consumazione degli illeciti prelievi.
2.1.1. Il motivo non supera la soglia di ammissibilità.
Il ricorrente, da un lato, denuncia omissioni del compendio probatorio che i giudici di entrambi i gradi di merito hanno ritenuto irrilevanti ritenendo i dati disponibili suffic per sostenere la decisione di condanna (ci si riferisce alla identificazione della ricorren come autrice dei prelievi, ritenuta certa grazie alla visione dei fotogrammi delle riprese delle telecamere acquisite all’udienza del 17 dicembre 2019: pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata). Dall’altro, non si confronta con la condivisa e consolidata giurisprudenza secondo cui non viola il divieto di testimonianza indiretta previsto dall’art. 195, comma 4, cod. proc. pen. la deposizione di ufficiale o agente di polizia giudiziaria che riferisca non in merito a dichiarazioni di terzi, ma sulle attività di indagine svolte da ausiliari di po giudiziaria nello stesso contesto investigativo (tra le altre: sez. 6, n. 53174 del 27/09/2018 Capitaneo, Rv. 274614 – 01). Nel caso in esame il teste di polizia giudiziaria, come rilevato dalla Corte di appello riferiva, legittimamente, in ordine al metodo seguito per l svolgimento delle indagini, nonché al loto risultato, riferendo che era stato chiesto agl istituti di credito di fornire i filmati dei prelievi, relativi ai giorni ed agli orari in persone offese che avevano verificato gli ammanchi (pag. 6 della sentenza impugnata).
La motivazione della sentenza impugnata, sul punto, non si presta ad alcuna censura.
2.2. Violazione di legge (art. 648 cod. pen., art. 521 cod. proc. pen.) e vizio d motivazione in ordine alla qualificazione delle condotte, inizialmente qualificate come “furto”, in “ricettazione”; si deduceva che l’operazione avrebbe leso le prerogative difensive e non avrebbe tenuto conto del fatto che il lasso di tempo tra il furto e l’ipotetico util da parte della ricorrente delle carte trafugate era di circa un’ora, lasso temporal compatibile con il concorso nel furto contestato.
2.2.1. Si tratta di doglianza manifestamente infondata in quanto la difesa ha potuto confrontarsi con la nuova qualifica, sia perché invitata dalla Corte di appello a contraddire (pag. 7 della sentenza impugnata), sia perché sul punto ha avuto la possibilità di proporre ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep.2020, Petittoni, Rv. 278093 -0Sez. 6, n. 10093 del 14/02/2012, Vinci, Rv. 251961).
A ciò si aggiunge che l’operazione contestata si risolve nella semplice assegnazione alla condotta descritta nei capi di imputazione di una diversa veste giuridica, non essendo stata, in alcun modo, interpolata la originaria contestazione, dato che la ricezione della carta provento di furto è implicita nella condotta descritta ed inizialmente qualificat come furto.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla identificazione dell ricorrente: il COGNOME si sarebbe limitato a riferire delle attività di indagine compiu altri carabinieri, che avrebbero effettuato il riconoscimento, che sarebbe stato compiuto visionando esclusivamente le immagini relative ai prelievi presso le poste di Fabriano. Il riconoscimento sarebbe stato effettuato, peraltro, in modo approssimativo, poiché sarebbe stato necessario un più attento scrutinio, idoneo a consentire di verificare la compatibilità delle fattezze somatiche della ricorrente con quelle della persona ritratta ne fotogrammi estrapolati dai filmati delle telecamere di videosorveglianza.
2.3.1. Il motivo non supera la soglia di ammissibilità in quanto si risolve nella richiest di rivalutare la capacità dimostrativa delle prove, invocando una diversa valutazione dì merito esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimità (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965).
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello confermava la identificazione della ricorrente come l’autrice dei prelievi effettuati il 4 ed il 24 agosto 2017, ritenuto c nonostante la non eccelsa qualità delle immagini (pagg. 6 e 7 dell sentenza impugnata).
Si deduce, inoltre, in modo manifestamente infondato, il difetto di prova in ordine alla identificazione dell’autore dei prelievi effettuati il 4 agosto 2017 con la carta rubat NOME COGNOME nonostante le sentenze di merito abbiano ritenuto l’identificazione certa per tutti gli episodi contestati ovvero anche per quelli del 4 agosto 2017 (pag. 7 della sentenza impugnata).
3.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 5 dicembre 2023.