Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47238 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47238 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESOLA il 19/03/1949
avverso la sentenza del 23/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo ie.J
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Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia in data 6 luglio 2022 con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Biella dichiarava, all’esito di giudizio abbreviato, la responsabilità di NOME COGNOME in ordine ai delitti di ricettazione e di illegale detenzione di un’arma comune da sparo (carabina ad aria compressa cal. 4,5, con relativo munizionamento) e lo condannava alla pena di un anno di reclusione ed euro 800,00 di multa.
Avverso tale sentenza COGNOME propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Col primo motivo di impugnazione viene dedotta violazione dell’art. 648 cod. pen., per insussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione di cui al capo A) di imputazione.
Si duole la difesa che sia stato ravvisato detto elemento, pur avendo nel caso di specie l’imputato fornito una giustificazione plausibile del possesso dell’arma, peraltro non clandestina, riferendo, in sede di indagini, di averla ricevuta da NOME, che era stato arrestato qualche giorno prima, e poi, in sede di giudizio abbreviato, di averla ricevuta da un cliente del proprio esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE“, in conto vendita per l’acquisto di due ricetrasmittenti, e di averla considerata arma antica.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene lamentata violazione dei criteri di cui all’art. 58 I. 24 novembre 1981, n. 689.
Osserva il difensore che l’esclusione dell’eventuale sostituzione della reclusione con la detenzione domiciliare è stata fondata sulla capacità criminale quale rappresentata dai numerosi precedenti emergenti dal certificato penale.
Rileva che la Corte di appello ha trascurato che COGNOME che ha oramai più di settantacinque anni ed è pertanto meno incline al crimine, dal mese di febbraio 2020, e quindi da più di quattro anni, non ha commesso ulteriori reati e che, sempre da detta data, ha scontato parte della pena in regime di arresti domiciliari e detenzione domiciliare senza mai violare le prescrizioni imposte.
Per tali motivi il difensore insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott. NOME COGNOME conclude, con requisitoria scritta, per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Invero, la Corte di appello rileva che indubbia è la consapevolezza dell’imputato della provenienza da delitto dell’arma di cui al capo A), essendo stato il medesimo trovato in possesso della carabina sequestratagli, oggetto di furto come da denuncia dell’ultimo proprietario, e non essendo stato in grado di giustificarne la provenienza.
A parte la diversità tra la versione offerta in sede di indagini preliminari (nel corso delle quali COGNOME avrebbe riferito, come ammesso dalla stessa difesa, di avere ricevuto l’arma da tale NOME, arrestato pochi giorni prima) con quella fornita nel corso del giudizio, in cui si riferisce di ricezione da un cliente in conto vendita, la Corte di appello di Torino evidenzia come l’imputato non abbia specificato il nome e i dati identificativi dell’asserito venditore, di cui avrebbe dovuto essere ben a conoscenza, avendo dichiarato di avere ricevuto l’arma in conto vendita, circostanza che imponeva la necessità di mantenere i contatti con colui che gliela aveva consegnata. Sottolinea come la carabina sia arma che necessiti di licenza per detenerla e non sia credibile che sia stata valutata come arma antica; come di nessun rilievo dimostrativo di buona fede sia la consegna dell’arma agli operanti, dal momento che l’imputato a quel punto aveva subito le perquisizioni personale e veicolare ed era ben consapevole che con la perquisizione domiciliare i suddetti avrebbero rinvenuto la carabina; e, infine, come l’assenza di abrasione della matricola non dimostri affatto la buona fede nella ricezione dell’arma. Conclude per la correttezza della qualificazione giuridica del reato contestato perché l’imputato era consapevole di acquistare un’arma prive di licenza, conoscendone la provenienza da delitto, tanto da non essere stato in grado di indicare la persona da cui ebbe a riceverla. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tali argomentazioni non solo sono sono scevre da vizi logici e giuridici della sentenza impugnata, ma risultano, altresì, conformi al dato normativo che si assume violato e all’interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui risponde del reato di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso ( si veda per tutte Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, PG in proc. COGNOME, Rv. 270120).
Di contro, il motivo di ricorso, che si limita a confutare dette argomentazioni nei termini di cui sopra, reiterando le censure sollevate in appello sull’insussistenza dell’elemento soggettivo, si rivelano infondate, ai limiti dell’inammissibilità per aspecificità.
1.2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Invero, la Corte territoriale sottolinea come non sussistano le condizioni per disporre la sostituzione della reclusione con una delle pene di cui all’art. 20-bis cod. pen.
Rileva a tale riguardo che, alla luce dei parametri dell’art. 133 cod. pen., la capacità a delinquere dell’imputato, quale dimostrata dal suo certificato penale, induce ad escludere che l’eventuale sostituzione della reclusione con la detenzione domiciliare possa essere regolarmente eseguita.
Sottolinea come tale scelta sia incompatibile con le esigenze di prevenzione speciale e come non risulti ragionevolmente possibile formulare una prognosi favorevole circa l’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 59 della I. 24 novembre 1981, n. 689, in ragione della dedizione dell’imputato all’aggressione dell’altrui patrimonio, come dimostra la serrata successione cronologica dei suoi precedenti penali per reati contro il patrimonio e la assenza di qualsiasi tentativo di mutare stile di vita,nonostante la fiducia accordata mediante la concessione di svariati benefici di diritto sostanziale, processuale e penitenziario, indici univoci del non aver tratto da parte dell’imputato il benché minimo insegnamento dalle passate esperienze giudiziarie, del non avere, inoltre, compreso la gravità delle condotte realizzate e del non aver mostrato alcuna intenzione di modificare la sua condotta.
Osserva che in tal modo il prevenuto ha dato evidenza del profondo radicamento della sua scelta delinquenziale e ha manifestato la sua inaffidabilità rispetto all’adempimento delle prescrizioni relative ad una eventuale pena sostitutiva.
Tale essendo l’iter motivazionale non manifestamente illogico percorso dalla Corte a qua, è evidente l’infondatezza delle censure difensive sopra riportate, anche in relazione alla generica asserzione di pregresse detenzioni domiciliari, rispetto alla quale non solo la difesa non documenta di averla sottoposta al giudice di merito, ma anche la risposta della Corte di appello, al pari di quanto evidenziato circa l’età, è assorbente.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di COGNOME alle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2024.