Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12983 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12983 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/06/2023 della Corte d’appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/06/2023, la Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della sentenza del 25/09/2018 del “Tribunale di Catania: a) assolveva NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato di ricettazione in concorso di cui al capo 1) dell’imputazione; b) confermava la condanna di NOME COGNOME alla pena di un anno e sei mesi di reclusione ed € 800,00 di multa per lo stesso reato di ricettazione di cui al capo 1) dell’imputazione, ritenuta l’ipotesi del fatto particolare tenuità, per avere acquistato o comunque ricevuto «una busta recante l’effige “TARGA_VEICOLO“, con due candelabri in acciaio con candela» di provenienza furtiva (fatto accertato in Catania il 20/12/2014).
Avverso l’indicata sentenza del 14/06/2023 della Corte d’appello di Catania, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 648 cod. pen., «insufficiente e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto nel delitto di cui all’art. 648 c.p.».
La ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Catania avrebbe «erroneamente qualificato la condotta della COGNOME come ricettazione».
Secondo la COGNOME, la stessa Corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato sul perché le giustificazioni che ella aveva dato del possesso della busta contenente i beni di provenienza furtiva non si dovessero ritenere credibili. In particolare, il fatto che ella non avesse voluto rivelare il nome dell’uomo che le aveva donato la busta non si poteva reputare sufficiente a fare ritenere la sua consapevolezza della provenienza furtiva del contenuto della stessa, tenuto conto anche del fatto che essa era sigillata, sicché «risultava verosimile che l’imputata non ne conoscesse il contenuto, ipotizzando che all’interno vi fossero bottiglie pregiate».
La ricorrente rappresenta come l’elemento psicologico della ricettazione richieda «una rappresentazione della concreta possibilità della provenienza delittuosa , con la consapevole accettazione del rischio di tale eventualità».
La COGNOME deduce altresì che non si comprenderebbe in che modo la Corte d’appello di Catania sia giunta, da un lato, ad assolvere i coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME e, dall’altro lato, all’opposta soluzione di condannarla, atteso che «tutti e tre i soggetti rendevano, all’epoca dei fatti, le medesime dichiarazioni e si trovavano nella stessa situazione. In particolare, tutti e tre, dichiaravano di non conoscere il contenuto dei pacchi in quanto sigillati e oggetto di un regalo».
La ricorrente rappresenta ancora che, «e i beni assumono carattere di liceità, come nel caso di acquisto da un terzo in buona fede, oppure di ricezione a titolo di regalo, non può ritenersi configurabile il reato di ricettazione».
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 712 cod. pen., «insufficiente e manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego di riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 712 c.p.».
La ricorrente contesta l’argomentazione con la quale la Corte d’appello di Catania ha escluso la riqualificazione del fatto come acquisto di cose di sospetta provenienza, cioè in ragione dell’«inverosimiglianza della versione fornita» dall’imputata. Rappresenta, in senso contrario, che la propria versione del fatto
«segue un filo logico rappresentato dall’impossibilità di conoscere il contenuto dei pacchi in quanto chiusi, di ricondurre gli stessi allo spasimante e quindi di non essere a conoscenza della provenienza illecita» e che l’adozione di un siffatto «comportamento non elusivo della causale della ricezione e l’assenza di una volontà di occultamento» deporrebbero per l’inquadramento dello stesso fatto nell’ipotesi contravvenzionale prevista dall’art. 712 cod. pen.
Ad avviso della ricorrente, «l’unico rimprovero che si sarebbe dovuto concretamente muovere all’COGNOME è quello di avere agito con negligenza, ovvero di aver ricevuto i doni senza averne prima accertato la legittima provenienza».
2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 99 cod. pen., «insufficiente e manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della recidiva» (i nfraq ui nq uen na le).
La ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Catania avrebbe applicato la recidiva esclusivamente sulla base dei precedenti penali dai quali ella era gravata, senza verificare in concreto – come sarebbe stato invece necessario – se la reiterazione dell’illecito fosse effettivamente sintomo di riprovevolezza della sua condotta e di maggiore pericolosità.
2.4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 62, primo comma, n. 4), cod. pen., «insufficiente e manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego di concessione delle circostanze attenuanti comuni art. 62 n. 4 c.p.».
La ricorrente contesta l’argomentazione con la quale la Corte d’appello di Catania ha negato la concessione della circostanza attenuante dell’avere cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, cioè in ragione del fatto che «la merce rinvenuta in suo possesso non può essere certamente definita di modico valore». Rappresenta al riguardo che, così argomentando, la stessa Corte d’appello non avrebbe considerato, da un lato, che ella non era a conoscenza del contenuto «dei pacchetti» – in quanto gli stessi «erano sigillati e dal momento che si trattava di doni» – e, dall’altro lato, soprattutto, che la stessa persona offesa aveva dichiarato che gli oggetti di provenienza furtiva, cioè i candelabri, erano di modico valore, con la conseguente sussistenza delle condizioni per ritenere che il danno patrimoniale a essa cagionato fosse di speciale tenuità.
2.5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 62-bis cod. pen., «insufficiente e manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego di concessione delle circostanze attenuanti comuni ex art. 62-bis c.p.».
La ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Catania avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine alle ragioni di tale diniego, mentre, se avesse esaminato «gli elementi a disposizione», sarebbe dovuta pervenire alla concessione delle menzionate circostanze attenuanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi – i quali, per la loro stretta connessione, concernendo entrambi l’atteggiamento psicologico dell’imputata nell’acquistare o ricevere le res furtivae, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
Secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione (per tutte, tra le moltissime: Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, Rv. 270120; Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713), la prova dell’elemento soggettivo della ricettazione può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e, quindi, anche dall’omessa o non attendibile indicazione, da parte del soggetto che ne abbia il possesso, della provenienza della cosa ricevuta, ciò che costituisce prova della conoscenza dell’illiceità della stessa provenienza.
La Corte di cassazione ha altresì chiarito (Sez. 2, n. 20193 del 2017, cit.; Sez. 2, n. 53017 del 2016, cit.) che tale orientamento non costituisce una deroga ai principi in materia di onere della prova, e neppure un vulnus alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice dell’ar 648 cod. pen. che richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza della provenienza illecita della res, il necessario accertamento sulle modalità di acquisizione della stessa.
Rammentati tali principi, si deve osservare come la COGNOME, quale giustificazione del possesso della res di provenienza furtiva costituita dalla busta contenente i due candelabri, aveva indicato che tale res le era stata regalata poco prima da un uomo con cui intratteneva una relazione extraconiugale (pag. 3 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello di Catania ha valutato tale giustificazione, osservando che, tuttavia, l’identità del suddetto uomo non era mai stata resa nota dall’imputata, sicché la stessa giustificazione, essendo rimasta del tutto indirnostrata, si doveva reputare inattendibile («dichiarazioni prive di alcun fondamento»), con la conseguenza che si doveva ritenere raggiunta la prova della conoscenza, da parte dell’imputata, della provenienza delittuosa della sopraindicata res furtiva.
Tale motivazione resiste alle censure della ricorrente, atteso che la suddetta valutazione di inattendibilità dell’indicazione data dall’imputata in ordine all provenienza della res furtiva, per essere la stessa indicazione rimasta completamente indimostrata, risulta del tutto priva di contraddizioni o illogicità,
tanto meno manifeste – apparendo, anzi, del tutto logica -, e che la conseguente conclusione della Corte d’appello di Catania secondo cui, posta la suddetta inattendibilità dell’indicazione in ordine alla provenienza della res furtiva, si doveva ritenere provata la conoscenza, da parte dell’imputata, della provenienza delittuosa della medesima res, risulta del tutto in linea con le ricordate indicazioni ermeneutiche della Corte di cassazione.
Il raggiungimento della prova della consapevolezza, in capo all’imputata, della provenienza delittuosa della busta contenente i due candelabri, evidentemente escludeva – come è stato ritenuto, in modo logicamente conseguente e corretto, dalla Corte d’appello di Catania – che l’atteggiamento psicologico della stessa imputata nell’acquistare o ricevere la res furtiva si potesse ritenere meramente colposo (per non avere accertato la provenienza di tale res) che il fatto potesse essere quindi qualificato come acquisto di cose di sospetta provenienza.
Quanto, poi, all’assoluzione dei coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, si deve osservare come la Corte di appello di Catania sia pervenuta a tale giudizio assolutorio sulla base degli elementi che la busta era stata riposta nel bagagliaio dell’automobile (di proprietà del COGNOME) dalla COGNOME e che questa aveva attribuito a sé la proprietà della merce (pag. .3 della sentenza impugnata: «pacco riposto nel bagagliaio dell’automobile dalla COGNOME»; «oltre ad attribuire a sé stessa la proprietà della merce rinvenuta nel cofano dell’automobile del COGNOME»). Elementi che, rendendo all’evidenza diversa la posizione dei suddetti coimputati rispetto a quella della COGNOME, già sul piano dell’elemento materiale del reato, appaiono altrettanto evidentemente tali da giustificare il diverso esito del giudizio per gli stessi coimputati.
2. Il terzo motivo è fondato.
Quanto all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782-01). In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.
In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 26346401).
Più diffusamente, la stessa Corte di cassazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente t fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, Rv. 270419-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Catania ha confermato l’applicazione della recidiva – della quale il Tribunale di Catania aveva tenuto conto nella determinazione della pena (ultima pagina della sentenza di primo grado: «tenuto conto della recidiva contestata») – con la motivazione che: «per i precedenti penali e per le modalità della condotta, la pena irrogata dal Giudice di prime cure risulta conforme al dettato normativo».
Con tale motivazione, la Corte d’appello di Catania, limitandosi a fare riferimento, da un lato, al riscontro del dato formale dell’esistenza di, neppure specificati, «precedenti penali» e, dall’altro lato, e sempre in modo generico, alle «modalità della condotta», mostra di non avere effettivamente esaminato in concreto il rapporto esistente tra il fatto di ricettazione per il quale sta procedendo e le condanne precedentemente riportate dall’imputata, al fine di verificare – come sarebbe stato necessario fare, alla stregua delle ricordate indicazioni ermeneutiche della Corte di cassazione – se la pregressa condotta criminosa della COGNOME fosse indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che aveva influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato di ricettazione sub iudice, così che questo si potesse ritenere costituire significativa prosecuzione del già avviato processo delinquenziale.
Da ciò la sussistenza del denunciato vizio motivazionale.
Il quarto motivo non è fondato.
La Corte di cassazione ha chiarito che, in tema di ricettazione, la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è compatibile con la forma attenuata del delitto nel solo caso in cui la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto, perché, qualora il danno patrimoniale sia stato tenuto presente in tale giudizio, l’attenuante prevista dall’art. 62, n. 4), cod. pen. è assorbita nell’ipotesi attenuata di cui all’art. secondo comma, cod. pen. (Sez. 2, n. 19744 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 266676-
01; Sez. 2, n. 43046 del 16/10/2007, COGNOME, Rv. 238508-01; Sez. 4, n. 46031 del 09/10/2013, Ripani, Rv. 226723-01).
Nel caso in esame, il Tribunale di Catania ha dato atto di avere considerato il danno patrimoniale, derivante dal «non elevato valore di quanto ricettato», ai fini del giudizio sulla particolare tenuità del fatto (ultima pagina della sentenza di primo grado: «ritenuto applicabile il capoverso dell’art. 648 c.p. atteso il non elevato valore di quanto ricettato»), con la conseguenza che la conferma, da parte della Corte d’appello di Catania, del diniego dell’invocata circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4), cod. peli., risulta, nella sostanza, corretta tenuto conto del principio appena ricordato, atteso che tale circ:ostanza attenuante era in effetti assorbita nell’ipotesi attenuata prevista dal secondo comma dell’art. 648 cod. pen.
4. Il quarto motivo è fondato.
Con il quinto motivo del proprio atto di appello, la ricorrente aveva chiesto alla Corte d’appello di Catania la concessione delle circostanze attenuanti generiche, indicando gli elementi che, a suo avviso, avrebbero deposto in senso favorevole a tale concessone.
A fronte di ciò, si deve rilevare come la sentenza impugnata risulti effettivamente priva di qualsiasi motivazione in ordine alla mancata concessione delle stesse circostanze attenuanti, con la conseguente sussistenza del denunciato vizio di mancanza di motivazione.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla recidiva e alle circostanze attenuanti generiche, con rinvio, per un nuovo giudizio su tali punti, a un’altra sezione della Corte d’appello di Catania. Il ricorso deve, invece, essere dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva e alle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio su detti punti ad altra sezione della Corte d’appello di Catania. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto e definitivo il giudizio di responsabilità.
Così deciso il 06/02/2024.