Ricettazione: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso
Il reato di ricettazione, previsto dall’art. 648 del codice penale, rappresenta uno snodo cruciale nel contrasto ai delitti contro il patrimonio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti spunti di riflessione sui requisiti di ammissibilità di un ricorso avverso una condanna per tale reato. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, delineando con chiarezza i confini tra censure fondate e doglianze meramente ripetitive o aspecifiche.
I fatti del processo e i motivi del ricorso
Il caso trae origine dalla condanna di un soggetto per il delitto di ricettazione, confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Un presunto vizio di motivazione riguardo all’affermazione della sua responsabilità penale.
2. La mancata riqualificazione del fatto nel reato meno grave di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 c.p.).
3. Il mancato riconoscimento dell’attenuante della particolare tenuità del fatto, prevista dal quarto comma dell’art. 648 c.p.
La Corte di Cassazione ha esaminato ciascun motivo, giungendo a una declaratoria di inammissibilità per l’intero ricorso.
L’analisi della Cassazione sui motivi di ricorso per ricettazione
La Suprema Corte ha smontato le argomentazioni difensive con un percorso logico-giuridico preciso. Il primo motivo è stato giudicato manifestamente infondato, poiché la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la condanna, indicando con logica e coerenza tutti gli elementi, sia materiali che psicologici, che provavano la piena integrazione del delitto di ricettazione.
Il secondo motivo, relativo alla riqualificazione del reato, è stato ritenuto aspecifico. I giudici hanno sottolineato che la difesa non si era confrontata efficacemente con le argomentazioni della sentenza d’appello. Inoltre, la stessa configurazione della ricettazione esclude logicamente la possibilità di applicare la fattispecie meno grave dell’acquisto incauto. La Corte ha anche precisato che, per contestare la consapevolezza della provenienza illecita, è necessario indicare e provare la provenienza del bene, cosa che nel caso specifico non era avvenuta.
Infine, il terzo motivo sull’attenuante è stato liquidato come reiterativo. L’imputato si era limitato a riproporre le stesse censure già avanzate in appello, senza contestare specificamente le ragioni con cui i giudici di secondo grado le avevano respinte. La Corte ha ribadito che la valutazione della Corte territoriale era stata congrua, non illogica e in linea con i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità.
Le motivazioni
La decisione della Corte si fonda su principi procedurali e sostanziali solidi. In primo luogo, un ricorso in Cassazione non può essere una semplice riproposizione delle argomentazioni già discusse nei gradi di merito. Deve, invece, individuare vizi specifici (violazione di legge o vizio di motivazione palese) nella decisione impugnata. Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che i motivi di ricorso non superavano questa soglia di specificità e criticità.
In secondo luogo, la Corte ha riaffermato che la configurazione del dolo nella ricettazione (la consapevolezza della provenienza illecita del bene) assorbe e rende incompatibile la configurazione della colpa, tipica dell’acquisto di cose di sospetta provenienza. Una volta che il giudice di merito ha motivato adeguatamente sulla sussistenza del dolo di ricettazione, la questione della riqualificazione è implicitamente risolta. La Corte ha evidenziato come la decisione dei giudici d’appello fosse ben argomentata, logica e coerente, rendendo il ricorso privo di fondamento.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un orientamento rigoroso della Cassazione in materia di ammissibilità dei ricorsi. Per avere successo, un ricorso non può limitarsi a contestare genericamente la valutazione dei fatti compiuta dai giudici di merito, ma deve evidenziare errori giuridici o vizi logici macroscopici nel ragionamento della sentenza. La decisione ribadisce l’importanza di una difesa tecnica che sappia confrontarsi puntualmente con le motivazioni della sentenza d’appello, evitando censure generiche o ripetitive. Per l’imputato, la declaratoria di inammissibilità ha comportato non solo la definitività della condanna, ma anche il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Quando un motivo di ricorso per ricettazione è considerato manifestamente infondato?
Quando la corte di merito ha fornito una motivazione lineare, logica e congrua per l’affermazione di responsabilità, indicando chiaramente gli elementi materiali e soggettivi del reato, e il ricorso non individua vizi specifici in tale ragionamento.
Perché la condanna per ricettazione esclude il reato di acquisto di cose di sospetta provenienza?
Perché la ricettazione richiede il dolo, cioè la consapevolezza della provenienza illecita del bene, mentre l’acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 c.p.) è un reato contravvenzionale basato sulla colpa (negligenza). La prova del dolo esclude la possibilità di qualificare il fatto come colposo.
Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘reiterativo’ e perché viene dichiarato inammissibile?
Significa che il motivo si limita a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte nel giudizio d’appello, senza contestare specificamente le ragioni fornite dal giudice di secondo grado. È inammissibile perché il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito, ma un controllo di legittimità sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 28231 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28231 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 20/07/1985
avverso la sentenza del 19/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
v
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si contesta vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 648 cod. pen., risulta manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale con lineare e logica motivazione, congruamente indicato i plurimi elementi da cui si desume la piena integrazione tanto del presupposto materiale quanto di quello soggettivo del delitto ascritto all’odierno ricorrente (si vedano le pagg. 2 e 3 della impugnata sentenza);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di motivazione in ordine all’omessa riqualificazione del fatto ascritto all’odierno ricorrente nella fattispecie di cui all’art. 712 cod. pen., risulta aspecifico,. perch non connotato da un effettivo confronto con la complessità delle argomentazioni poste dai giudici di appello a base della decisione del provvedimento impugnato (si veda pag. 3), oltre che evidentemente disatteso nel momento in cui la corte di appello ha ritenuto la configurazione della ricettazione;
osservato che, una volta ritenuta la responsabilità per il delitto di ricettazione risulta ovviamente esclusa la possibilità che il fatto possa essere qualificato ai sensi dell’art. 712 cod. pen., il quale, peraltro, pretende che sia indicata e provata la provenienza del bene, al fine di valutare l’atteggiamento psicologico dell’agente al momento della ricezione del bene. Indicazione affatto mancante nel caso in esame;
osservato che il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 648, quarto comma, cod. pen., risulta reiterativo di profili di censura già dedotti in appello e già compiutamente vagliati e disattesi dalla Corte territoriale con una congrua e non illogica motivazione, incensurabile in questa sede e conforme ai principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità (ex multis, Sez. 2, n. 29346 del 10/06/2022, Mazza, Rv. 283340 01; Sez. 2, n. 51818 del 06/12/2013, COGNOME Rv. 258118 – 01);
rilevato che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell
ammende.
Così deciso, il 17 giugno 2025.