Ricettazione: la Cassazione conferma la condanna per mancata giustificazione
Il reato di ricettazione, previsto dall’art. 648 del Codice Penale, rappresenta un baluardo fondamentale contro la circolazione di beni di provenienza illecita. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio consolidato: l’impossibilità da parte dell’imputato di fornire una spiegazione plausibile sull’origine di beni rubati è un elemento decisivo per affermarne la responsabilità. Analizziamo il caso e le motivazioni della Suprema Corte.
I Fatti di Causa
La vicenda giudiziaria ha origine dal ritrovamento di una partita di prodotti di profumeria, illecitamente sottratti, a bordo di un veicolo condotto da un dipendente. Le indagini hanno ricondotto la responsabilità al suo datore di lavoro, un imprenditore che aveva incaricato il dipendente del trasporto. Sia in primo grado che in appello, l’imprenditore è stato condannato per il reato di ricettazione, poiché non era stato in grado di fornire una giustificazione credibile sulla provenienza della merce.
L’Impugnazione e i Motivi del Ricorso
Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imprenditore ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:
1. Violazione di legge: Sosteneva una scorretta applicazione dell’art. 648 c.p. e la violazione del principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
2. Manifesta illogicità della motivazione: Riteneva che la motivazione della sentenza fosse contraddittoria riguardo alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato.
In sostanza, la difesa chiedeva alla Suprema Corte una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori già esaminati nei precedenti gradi di giudizio.
La Decisione della Cassazione sulla Ricettazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione si basa su argomentazioni procedurali e di merito molto chiare, che delineano i confini invalicabili del giudizio di legittimità.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte ha fondato la sua decisione su tre pilastri fondamentali.
In primo luogo, ha ribadito che i motivi del ricorso erano articolati esclusivamente in fatto. Il ricorrente non contestava un errore di diritto, ma chiedeva una rilettura delle prove. Questo tipo di valutazione è precluso alla Corte di Cassazione, il cui compito non è riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione (il cosiddetto giudizio di legittimità).
In secondo luogo, il ricorso è stato giudicato aspecifico. I motivi di impugnazione, infatti, non si confrontavano criticamente con le argomentazioni, esenti da vizi logici e giuridici, esposte dalla Corte d’Appello. Un ricorso efficace deve demolire la struttura logico-giuridica della sentenza impugnata, non limitarsi a riproporre le proprie tesi.
Infine, nel merito, la Corte ha confermato la correttezza del ragionamento dei giudici di appello. Citando un orientamento giurisprudenziale consolidato, ha affermato che la responsabilità per ricettazione è correttamente fondata quando l’imputato, trovato in possesso di beni di provenienza furtiva, non riesce a fornire una giustificazione plausibile sulla loro origine. Questo fallimento probatorio è un indizio grave, preciso e concordante che permette al giudice di inferire la conoscenza della provenienza illecita dei beni.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame è di grande importanza pratica. Essa consolida un principio chiave in materia di ricettazione: l’onere di fornire una spiegazione credibile sulla provenienza dei beni grava su chi ne ha la disponibilità. Per gli imprenditori, ciò si traduce in un dovere di diligenza e controllo sulla filiera dei beni che trattano, anche quando la gestione materiale è affidata a dipendenti. La decisione, inoltre, serve da monito: un ricorso per Cassazione basato sulla speranza di un nuovo esame dei fatti è destinato all’inammissibilità. Il giudizio di legittimità è un controllo sulla legalità della decisione, non una terza istanza di merito.
Quando un ricorso in Cassazione per ricettazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è inammissibile quando si limita a contestare la valutazione dei fatti e delle prove già effettuata nei gradi di merito, senza individuare specifici vizi di legge o di logica nella motivazione della sentenza impugnata. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti.
Cosa deve fare una persona trovata in possesso di beni rubati per evitare una condanna per ricettazione?
La persona deve fornire una giustificazione plausibile e credibile riguardo alla provenienza dei beni. La mancata fornitura di una spiegazione attendibile è considerata dai giudici un elemento fondamentale per dedurre la consapevolezza dell’origine illecita della merce.
Il datore di lavoro è sempre responsabile se un suo dipendente trasporta merce rubata?
Nel caso specifico, il datore di lavoro è stato ritenuto corresponsabile perché aveva incaricato il dipendente di effettuare il trasporto e non ha saputo giustificare l’origine della merce. La Corte ha ritenuto che egli abbia concorso nella commissione del reato, dimostrando che la responsabilità può estendersi a chi detiene il controllo dell’attività.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12944 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12944 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SAN GIUSEPPE VESUVIANO il 09/11/1953
avverso la sentenza del 26/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOMECOGNOME
rilevato che i due motivi di impugnazione, con cui il ricorrente lamenta violazione dell’art. 648 cod. pen., violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla penale responsabilità ed alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di ricettazione, è articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione;
rilevato che i motivo sono anche aspecifici poiché non si confrontano criticamente con le argomentazioni, esenti da vizi logici e giuridici, della Corte territoriale, la quale, conformandosi al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di ricettazione (cfr. Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 270120-01), ha fondato la responsabilità dell’imputato in considerazione del fatto che lo stesso non è riuscito a fornire una giustificazione plausibile in ordine alla provenienza dei beni di provenienza furtiva rinvenuti nella materiale disponibilità del suo dipendente NOME COGNOME il quale era stato incaricato dal Miranda a trasportare i prodotti di profumeria illecitamente sottratti alla persona offesa NOME COGNOME (si veda, in proposito, pag. 4 della sentenza impugnata);
ritenuto, pertanto, che entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che il ricorrente abbia concorso nella commissione del reato di ricettazione, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove, confutando peraltro tutte le doglianze fattuali e giuridiche prospettate dalla difesa con l’atto di appello (vedi pag. 4 della sentenza impugnata), tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 7 marzo 2025
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