Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6394 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6394 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Algeria il 06/10/1980
avverso la sentenza del 27/05/2024 della Corte d’appello di Torino dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che i primi tre motivi di ricorso – con cui si contesta l’erronea applicazione dell’art. 648 cod. pen. e conseguente vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale affermato la responsabilità dell’odierno ricorrente per il reat di ricettazione di cui al capo b) di imputazione, senza un effettivo accertamento del reato presupposto e in mancanza dell’assunzione di una prova decisiva in riferimento alla proprietà del telefono cellulare oggetto del delitto – non sono formulati in termini consentiti in questa sede per un duplice ordine di ragioni, oltre che manifestamente infondati;
che, infatti, preliminarmente va osservato come le suddette tre doglianze non risultano connotate dai requisiti richiesti dall’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., essendo fondati su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte territoriale, dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo
confronto con le ragioni poste a base del decisum, e dunque non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, inoltre, deve evidenziarsi come il ricorrente ha invero prospettato censure che sono volte a contestare la valutazione, oltre che l’asserita insufficienza, del materiale probatorio posto a base della decisione dei giudici di appello (in particolare, la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni res dall’odierno ricorrente e la mancata assunzione a s.i.t. del titolare del bene), mentre esula dai poteri di questa Corte quello di una rilettura delle risultanze processuali con criteri di apprezzamento diversi da quelli utilizzati dai giudici di merito, poiché il controllo di legittimità, concernendo il rapporto tra motivazione e decisione, e non già il rapporto tra prova e decisione, ha un orizzonte circoscritto, dovendo limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074);
che, in conclusione, contrariamente a quanto contestato, i giudici di merito, con una motivazione esente da vizi, e facendo corretta applicazione dei principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 270120 – 01; Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 – 01; Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, COGNOME, Rv. 251028 – 01; Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277334 – 01; Sez. 2, n. 4132 del 18/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278225 – 01) hanno congruamente esplicato le ragioni di fatto e di diritto per cui debbano ritenersi pienamente sussistenti tutti gli elementi costitutivi del reato di ricettazione ascritto all’odierno ricorrente (si veda la pag dell’impugnata sentenza, là dove si è dato conto del fatto che il ricorrente, dopo essere stato rinvenuto in possesso del telefono cellulare, poi accertatosi essere stato smarrito dall’Arena – il quale, provvedeva, tramite indicazione del codice IMEI, a dimostrare di esserne l’effettivo proprietario – non aveva fornito una credibile spiegazione dell’origine di tale possesso, riferendo versioni differenti sul punto, e dimostrando così la consapevolezza della provenienza delittuosa del bene);
ritenuto che anche il quarto motivo di ricorso, con cui si contesta vizio di motivazione in riferimento alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello motivato, seppur succintamente, in modo adeguato tale diniego (si veda la pag. 6) conformandosi ai principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte: premesso che, in tema di attenuanti ex art. 62-bis cod. pen., il giudice di merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è incensurabile in sede di
legittimità, purché non illogica o contraddittoria, deve sottolinearsi come non sia necessario che il giudice di merito prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ben potendo mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche essere legittimamente giustificato anche con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610), valorizzando in questo senso anche i soli precedenti penali (cfr., ad es., Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274783; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.