Ricettazione: la Cassazione ribadisce i limiti del ricorso
Con l’ordinanza n. 34827 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul reato di ricettazione, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti dell’impugnazione in sede di legittimità. La decisione sottolinea un principio consolidato: chi viene trovato in possesso di beni di provenienza illecita ha l’onere di fornire una giustificazione credibile, pena la conferma della propria colpevolezza. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante provvedimento.
I Fatti del Caso: La Difesa del “Ritrovamento Casuale”
Il caso trae origine da una condanna per il reato di ricettazione emessa dalla Corte d’Appello di Bologna. L’imputato, trovato in possesso di beni di origine delittuosa, aveva proposto ricorso per Cassazione, contestando la correttezza della motivazione della sentenza di condanna. La sua linea difensiva si basava, tra le altre cose, sulla tesi del “ritrovamento casuale” dei beni, una giustificazione che i giudici di merito avevano ritenuto inattendibile.
Limiti del Ricorso e Prova della Ricettazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando come le censure mosse dall’imputato non rientrassero tra quelle ammesse in sede di legittimità. Il ricorso in Cassazione, infatti, non è una terza istanza di giudizio dove si può riesaminare il merito della vicenda o la credibilità delle prove. Il suo scopo è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
La Corte ha specificato che non sono ammesse doglianze generiche sulla “persuasività”, “adeguatezza” o “mancanza di rigore” della motivazione, né quelle che propongono una diversa interpretazione delle prove. Il ricorso era, in sostanza, una ripetizione degli stessi argomenti già respinti dalla Corte d’Appello, senza una critica argomentata e specifica contro la sentenza.
Il Principio della Mancata Giustificazione come Prova
Il punto centrale dell’ordinanza riguarda la prova della conoscenza dell’illecita provenienza dei beni, elemento soggettivo essenziale del reato di ricettazione. La Cassazione ha richiamato il suo orientamento consolidato, secondo cui:
> “Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza.”
Questo significa che l’onere di fornire una spiegazione plausibile e credibile ricade su chi possiede il bene. Se la spiegazione manca o, come nel caso di specie, viene giudicata inattendibile (il “ritrovamento casuale”), tale circostanza diventa un elemento di prova a carico dell’imputato.
Le motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso per diverse ragioni convergenti. In primo luogo, le critiche alla motivazione della sentenza d’appello non denunciavano una sua mancanza, manifesta illogicità o contraddittorietà, ma miravano a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La Corte d’Appello aveva, infatti, esplicitato in modo logico e coerente gli elementi oggettivi e soggettivi che integravano il reato. In secondo luogo, il ricorso è stato qualificato come una “pedissequa reiterazione” dei motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi, rendendolo non specifico e meramente apparente. Infine, i giudici hanno ribadito il principio giuridico secondo cui la mancata giustificazione del possesso di beni di provenienza delittuosa è di per sé prova della consapevolezza dell’origine illecita, confermando la correttezza dell’argomentazione seguita dalla Corte territoriale per ritenere infondata la tesi del ritrovamento casuale.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma la severità della giurisprudenza in materia di ricettazione e stabilisce chiari paletti per la difesa. Non è sufficiente inventare una scusa qualunque per giustificare il possesso di refurtiva; è necessaria una spiegazione che superi un vaglio di credibilità e logicità. Per gli avvocati, ciò significa che un ricorso per Cassazione deve essere fondato su vizi di legittimità concreti e specifici, evitando di riproporre questioni di fatto già decise. Per i cittadini, il messaggio è chiaro: il possesso ingiustificato di beni di dubbia provenienza è un indicatore di colpevolezza molto forte agli occhi della legge.
Quando un ricorso in Cassazione per ricettazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando, invece di denunciare vizi di legittimità come la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, si limita a contestare la valutazione dei fatti e delle prove operata dal giudice di merito o a ripetere argomenti già respinti in appello senza una specifica critica giuridica alla sentenza.
Cosa costituisce prova della conoscenza dell’origine illecita di un bene nel reato di ricettazione?
Secondo la giurisprudenza costante della Cassazione, la mancata fornitura di una giustificazione credibile e plausibile circa il possesso di un bene proveniente da un delitto costituisce di per sé prova della conoscenza della sua origine illecita.
La giustificazione del “ritrovamento casuale” è sufficiente per escludere il reato di ricettazione?
Non necessariamente. Tale giustificazione deve essere valutata dal giudice di merito per la sua attendibilità. Se, come nel caso in esame, viene ritenuta inattendibile sulla base di una motivazione logica, non è sufficiente a escludere il reato e tale valutazione non può essere messa in discussione davanti alla Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34827 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34827 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME, ritenuto che il motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, denunciando vizio della motivazione, non è consentito, perché non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali tali da imporre diversa conclusione del processo;
che, in particolare, non sono consentite tutte le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, d credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento;
che, con motivazione esente dai descritti vizi logici, il giudice di merito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pag. 8 e 9 della sentenza impugnata ove la Corte d’ appello ha indicato gli elementi oggettivi e soggettivi in forza dei quali deve ritenersi integrato la fattispecie di cui all 648 cod. pen.) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità;
considerato che “Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza” (Sez. 2, Sentenza n. 52271 del 10/11/2016, Agyemang, Rv. 268643 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, Rv. 270120 – 01) e che la Corte di appello ha spiegato le ragioni dell’inattendibilità della versione offerta dall’imputato (ritrovamento casuale);
osservato che, peraltro, il motivo di ricorso è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
– ‘– …’
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024
GLYPH
Il Consigliere Estensore
Il Presidente