Ricettazione e prove: la Cassazione conferma la condanna
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità del ricorso e sulla valutazione delle prove nel reato di ricettazione. Il caso in esame riguarda un soggetto condannato per aver ricevuto e detenuto numerosi dispositivi elettronici di provenienza illecita. L’analisi della Suprema Corte si concentra sulla solidità delle prove a carico dell’imputato e sulla manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, offrendo spunti fondamentali sulla logica che guida le decisioni in materia.
I fatti del processo
La vicenda giudiziaria ha origine dal sequestro di un ingente quantitativo di materiale elettronico (tra cui smartphone, tablet e computer portatili di una nota marca) rinvenuto all’interno di un appartamento-magazzino. Le indagini hanno collegato la disponibilità di tale immobile a un imprenditore, titolare di un negozio nelle vicinanze. Durante la perquisizione, è stata trovata anche una somma di 21.900 euro in contanti, che lo stesso imputato ha rivendicato come propria, ottenendone la restituzione.
Condannato in primo grado e in appello per i reati di ricettazione (art. 648 c.p.) e detenzione abusiva di codici di accesso (art. 615 quater c.p.), l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando un’errata valutazione delle prove. In particolare, ha contestato la sua effettiva disponibilità dei locali e la consapevolezza della provenienza illecita della merce, chiedendo inoltre il riconoscimento di diverse circostanze attenuanti.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione significa che i giudici non sono entrati nel merito delle questioni sollevate, ritenendole prive dei requisiti minimi per essere esaminate. La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, confermando di fatto la condanna emessa dalla Corte d’Appello di Milano.
Le motivazioni: perché la ricettazione è stata confermata
L’ordinanza della Suprema Corte si basa su argomentazioni precise e rigorose. I giudici hanno stabilito che i motivi del ricorso erano in gran parte una semplice riproposizione di argomenti già adeguatamente analizzati e respinti nei precedenti gradi di giudizio, con motivazioni logiche e prive di vizi.
I punti chiave della motivazione sono i seguenti:
1. Solidità delle prove: La Corte ha ritenuto provata la disponibilità dell’appartamento-magazzino da parte dell’imputato. L’elemento decisivo è stato il rinvenimento della cospicua somma di denaro che l’imputato ha riconosciuto come sua. Questo fatto, secondo i giudici, lo collegava in modo inequivocabile al luogo del reato.
2. Natura organizzata dell’attività: L’illecito non è stato considerato occasionale. La grande quantità di dispositivi, in parte già catalogati per marca e modello, dimostrava l’esistenza di un’attività criminale strutturata e continuativa, alimentata da una filiera di reati predatori.
3. Consapevolezza dell’origine illecita: La Corte ha respinto la tesi della mancanza di dolo (cioè l’assenza di consapevolezza). I plurimi indizi raccolti, tra cui le modalità di conservazione della merce e la presenza di specifici dispositivi hardware nel retro del suo negozio (di cui l’imputato ha negato di conoscere l’esistenza), rendevano inverosimile l’ipotesi di un acquisto incauto e confermavano la piena consapevolezza della provenienza delittuosa.
4. Diniego delle attenuanti: La richiesta di concessione delle circostanze attenuanti (sia quella speciale per la ricettazione di particolare tenuità, sia quelle generiche) è stata giudicata infondata. Il valore e la quantità dei beni sequestrati (29 dispositivi di alta gamma) e la continuità dei flussi di approvvigionamento escludevano la lieve entità del fatto. Per le attenuanti generiche, la Corte ha sottolineato che la professionalità della condotta e l’intensità del dolo non potevano essere compensate dal solo stato di incensuratezza dell’imputato.
Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza ribadisce alcuni principi fondamentali del diritto processuale penale. In primo luogo, il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti; il suo scopo è verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici di merito. Un ricorso che si limita a riproporre le stesse difese già respinte, senza individuare vizi logici o giuridici nella sentenza impugnata, è destinato all’inammissibilità.
In secondo luogo, la pronuncia evidenzia come la valutazione della prova indiziaria sia cruciale nel reato di ricettazione. La presenza di elementi logici e convergenti, come la disponibilità dei luoghi e il possesso di denaro collegato all’attività illecita, può costituire una prova piena della responsabilità penale.
Infine, la decisione conferma che la concessione delle circostanze attenuanti non è un automatismo. Il giudice deve compiere una valutazione complessiva della gravità del reato e della personalità del colpevole, e fattori come la professionalità nel commettere il reato possono legittimamente portare al diniego dei benefici.
Avere la disponibilità di un locale con merce rubata è sufficiente per una condanna per ricettazione?
Secondo la sentenza, la disponibilità materiale del locale, unita ad altri indizi gravi, precisi e concordanti (come il ritrovamento di una cospicua somma di denaro di cui l’imputato ha rivendicato la proprietà), costituisce una prova solida per affermare la responsabilità penale per ricettazione.
Un ricorso in Cassazione può essere respinto se ripropone le stesse argomentazioni già valutate in appello?
Sì, il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché i motivi proposti erano in gran parte una ripetizione di censure già esaminate e respinte con motivazione logica e coerente dalla Corte d’Appello. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
Essere incensurati garantisce l’ottenimento delle circostanze attenuanti generiche nel reato di ricettazione?
No. La Corte ha chiarito che il solo stato di incensuratezza non è sufficiente per concedere le attenuanti generiche, specialmente di fronte a indici di professionalità della condotta, intensità del dolo e assenza di segni di ravvedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36807 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36807 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/11/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano che ha confermato il giudizio di penale responsabilità dell’imputato e il trattamento sanzioNOMErio inflittogli per i delitti di cui agli a 648 e 615 quater cod.pen.;
ritenuto che il primo motivo di ricorso che denunzia l’erronea valutazione delle prove poste a sostegno della responsabilità concorsuale dell’imputato per i delitti ascrittigli è in tutti i suoi aspetti reiterativo di censure che la Corte di merito ha adeguatamente scrutiNOME e disatteso sulla scorta di una motivazione esente da travisamenti e manifeste illogicità;
che,infatti, la sentenza impugnata ha fornito persuasiva risposta alle obiezioni difensive circa la materiale disponibilità dell’appartamento/magazzino anche in capo al ricorrente (pag. 15), evidenziando, tra le altre, la circostanza, pretermessa in ricorso, relativa al rinvenimento all’interno dell’appartamento stesso della somma di euro 21.900,00 in contanti di cui l’imputato ha rivendicato la proprietà e che gli sono stati restituiti; la mancanza di incidenza della precaria assenza del ricorrente dall’Italia all’atto della perquisizione e del sequestro dei materiali ricettati è stata già affermata dal primo giudice (pag.6) sulla base di argomentazioni logiche ineccepibili e ribadita dalla Corte di merito (pag. 18), che ha sottolineato il carattere non occasionale ma organizzato dell’attività illecita, ben denotato dalla rilevante quantità dei dispositivi rinvenuti e dalla circostanza (pag. 15) che nell’appartamento/magazzino gli apparecchi erano almeno in parte catalogati per marca e modello mentre altri erano ammassati nell’armadio; alcun rilievo al fine del giudizio di responsabilità per il capo 2 può riconnettersi alla mancata distinzione tra i beni rinvenuti all’interno del negozio di cui il ricorrente era titolare e quelli collocati nel soprastante appartamento, alla luce della motivazione rassegnata dai giudici territoriali circa l’accertata disponibilità di quest’ultimo in capo al prevenuto; che la sentenza impugnata ha fornito congrua risposta anche ai rilievi difensivi in ordine al funzionamento dei 17 boxes hardware rinvenuti sul retro del negozio e verificati dai militari della Guardia RAGIONE_SOCIALE intervenuti sul posto: la tesi di un uso alternativo lecito da parte dell’imputato è radicalmente smentita dalla circostanza che egli , al pari del collaboratore, hanno affermato di ignorare la presenza di siffatti dispositivi nel negozio ( pagg.16 e 18); considerato che il secondo motivo che revoca in dubbio la consapevolezza della provenienza illecita dei beni sequestrati in capo al ricorrente è aspecifico e, comunque, manifestamente infondato in quanto ripropone rilievi già compiutamente scrutinati dalla Corte territoriale e disattesi a pag. 15 con Corte di Cassazione – copia non ufficiale
motivazione che non presta il fianco a censura per correttezza e congruenza logica, evidenziando i plurimi indici che attestano la ricorrenza nella specie del coefficiente doloso richiesto ad integrazione della fattispecie, nel contempo smentendo la possibilità di ricondurre il fatto nell’ipotesi contravvenzionale dell’incauto acquisto, propugnata dal ricorrente nel terzo motivo;
che per ragioni analoghe deve pervenirsi ad esiti di inammissibilità per genericità e manifesta infondatezza anche in ordine alle censure relative al mancato riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 648, comma 4, cod.pen. alla luce della motivazione rassegnata a pag. 17, che ha richiamato la qualità e il valore dei beni caduti in sequestro (29 dispostivi Apple tra iPhone,iPad, Macbook) e la continuità dei flussi di approvvigionamento che postula contiguità ad ambienti dediti a reati predatori, apprezzamento conforme alla costante giurisprudenza di legittimità in materia e insuscettibile di rivisitazione in questa sede;
che il quinto motivo che lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato, avendo la Corte di merito sottolineato l’assenza di elementi positivamente apprezzabili a tal fine a fronte di indici quali la professionalità della condotta, l’intensità del dolo, l’assenza di segni di rimeditazione dell’accaduto che ostano all’invocata mitigazione sanzioNOMEria. Non è fuor di luogo ribadire che alcuna contraddittorietà è data rilevare tra la negazione delle attenuanti generiche e il riconoscimento della sospensione condizionale, trattandosi di istituti che rispondono a finalità diverse e implicano valutazioni non perfettamente sovrapponibili, mentre il mero stato di incensuratezza, per espresso dettato normativo, non è da solo idoneo a fondare il riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis cod.pen. come pure l’opzione per il giudizio abbreviato, rito caratterizzato dalla previsione di una autonoma premialità sanzioNOMEria;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 10 ottobre 2025