Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15044 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15044 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato in Albania il giorno 31/7/1988 (CUI CODICE_FISCALE) rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
NOME COGNOME nato in Albania il giorno 4/5/1989 (CUI 03E53GQ) rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME COGNOME nato in Albania il giorno 7/12/1991 (CUI 05H0X0) rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
NOMECOGNOME nato in Albania il giorno 23/3/1996 (CUI CODICE_FISCALE) rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 23/4/2024 della Corte di Appello di Firenze
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Con sentenza in data 23 aprile 2024 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 13 luglio 2023, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale della medesima città ha:
assolto gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato di cui al capo 1 dell’imputazione per non avere commesso il fatto;
rideterminato il trattamento sanzionatorio nei confronti di NOME COGNOME riconoscendo il vincolo della continuazione tra i reati contestati allo stesso;
rideterminato il trattamento sanzionatoria nei confronti di NOME COGNOME applicando la contestata recidiva a carico dello stesso e riconoscendo il vincolo della continuazione tra i reati contestati allo stesso;
rideterminato il trattamento sanzionatorio nei confronti degli imputati COGNOME COGNOME e COGNOME COGNOME
confermato nel resto la sentenza di primo grado con la quale era stata affermata la penale responsabilità di:
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 14, 15 17 e 22 della rubrica delle imputazioni;
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 17 e 20 della rubrica delle imputazioni;
COGNOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 16, 17, 18 e 21 della rubrica delle imputazioni;
Smaqi Leon in relazione ai reati di cui ai capi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 11, 13, 16, 17, 19 e 21 della rubrica delle imputazioni.
Agli imputati risultano contestati i reati di cui agli artt. 110, 624-bis, commi 1 e 3, 625, comma 1, nn. 2 e 5 e u.c., 61 n. 7 cod. pen. (capi 1 – riqualificato per COGNOME e COGNOME nel reato di cui all’art. 648 cod. pen. – 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8), 110 e 707 cod. pen. (capo 9), 648 cod. pen. (capi 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21 e 22).
Detti reati risultano commessi o accertati in un arco temporale compreso tra il giorno 11 novembre 2022 ed il 17 novembre 2023.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza, con atto unico, il difensore degli imputati, deducendo: violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione ai reati di ricettazione di cui ai capi 18, 19 e 21.
Rileva al riguardo la difesa dei ricorrenti che i Giudici di entrambi i gradi di merito avrebbero di fatto omesso di motivare in relazione alle contestazioni
oggetto dei predetti capi, difettando l’accertamento del reato presupposto rispetto ai beni ivi indicati e la conseguente prova della provenienza illecita degli stessi.
L’affermazione della penale responsabilità degli imputati sarebbe quindi stata motivata esclusivamente sulla mancata giustificazione da parte degli imputati del possesso di detti beni senza che i Giudici approfondissero sia la questione della consapevolezza da parte degli imputati della provenienza da delitto dei beni in sequestro, sia il fatto che gli stessi sono stati rinvenuti in luoghi differenti, ancora, che si trattava di beni di differente valore economico.
Con riguardo, poi, ad alcuni beni di cui al capo 21, osserva la difesa dei ricorrenti di avere allegato la legittimità del possesso di tali beni da parte di u terzo soggetto, conoscente di Smaci e di Smaqi e convivente con gli stessi, che ne ha rivendicato la proprietà. In risposta a tale allegazione difensiva, tuttavia, l Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare l’assenza di capacità reddituale lecita degli imputati, elemento che non sarebbe però di per sé sufficiente ad affermarne la penale responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Aggiunge la difesa dei ricorrenti che, con particolare riferimento ai telefoni sequestrati non è stata acquisita l’eventuale denuncia in ordine alla eventuale provenienza illecita degli stessi, accertamento che sarebbe stato agevole fare essendo i telefoni muniti di un codice IMEI.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Deve, in via preliminare, rilevarsi che la Corte di appello (v. pag. 7 della relativa sentenza) ha evidenziato come il gravame sottoposto alla stessa ha riguardato esclusivamente i reati di cui ai capi 1, 18, 19, 20, 21 e 22, con la conseguenza che l’affermazione della penale responsabilità degli imputati per i reati di cui agli ulteriori capi, così come agli stessi rispettivamente contestati, è da ritenersi coperta dal giudicato.
Osserva, sempre in via preliminare, l’odierno Collegio che il ricorso per cassazione ancorché contenga nell’intestazione il riferimento a tutti e quattro gli imputati, ha ulteriormente contratto gli ambiti devoluti a questa Corte di legittimità vedendo esclusivamente i motivi di ricorso sui reati di cui ai capi 18 (contestato al solo COGNOME), 19 (contestato al solo COGNOME COGNOME) e 21 (contestato a COGNOME e COGNOME Leon).
Ne consegue che i ricorsi formulati anche per NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili per carenza di interesse non essendo detti imputati interessati ai capi della sentenza oggetto di impugnazione e che risulta divenuta irrevocabile anche l’affermazione della penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME Leon in relazione
al capo 1 (così come riqualificato nella violazione degli artt. 110 e 648 cod. pen.), di NOME COGNOME in relazione al capo 20 e di NOME COGNOME in relazione al capo 22.
Venendo all’esame dei motivi di ricorso sopra riassunti che appaiono meritevoli di trattazione congiunta, ritiene l’odierno Collegio che gli stessi sono tutti manifestamente infondati.
Sia il G.i.p. che la Corte di appello con sentenze in c.d. “doppia conforme”, che pertanto si integrano per costituire un unico corpo motivazionale alla luce dei legittimi richiami per relationem che la sentenza di appello ha fatto nei confronti di alcuni passaggi della sentenza di primo grado, hanno, con motivazioni congrue, logiche e corrispondenti ai principi di diritto che regolano la materia, debitamente spiegato le ragioni per le quali hanno ritenuto di affermare la penale responsabilità degli imputati con riguardo ai reati di ricettazione di cui ai capi 18, 19 e 21 della rubrica delle imputazioni.
I Giudici di merito e, in particolare, la Corte di appello, hanno, innanzitutto, evidenziato come il rinvenimento degli oggetti nella disponibilità degli imputati deve essere valutato in un’ottica onnicomprensiva degli elementi investigativi e non parcellizzata, laddove gli imputati, tutti i privi di occupazione lavorativa (ad eccezione di NOME COGNOME che ha asserito di lavorare quale operaio edile) e dediti ad attività criminale predatoria porta ragionevolmente a ritenere, in assenza di contrari elementi di derivazione lecita, la provenienza delittuosa anche di quegli oggetti per cui non è stato possibile pervenire alla prova della commissione del reato presupposto.
Con riguardo, poi, ai capi 18 e 19 la Corte di appello, nel ribadire la totale assenza di giustificazione da parte degli imputati circa il possesso lecito dei beni, ha ulteriormente osservato che la detenzione del denaro di cui al capo 18 non appare giustificata a causa dell’assenza di condizione lavorativa dei detentori e che, con riguardo ai telefoni cellulari, non è stata fornita alcuna indicazione circa l’uso esclusivo degli stessi, il che la cia logicamente ipotizzare che questi, come tutti gli altri beni rinvenuti in possesso degli imputati, fossero di provenienza furtiva dato che il modus operandi degli stessi era caratterizzato dal compimento di vere e proprie razzie nelle case delle persone offese.
Con riguardo poi ai beni di cui al capo 18 la Corte di appello ha ulteriormente rilevato che lo COGNOME al momento del fermo aveva tentato di disfarsi del proprio marsupio nel quale erano contenuti i beni di cui all’imputazione «così dimostrando, per facta condudentia la consapevolezza di detenere oggetti di illecita provenienza».
Infine, la Corte di appello ha fornito debita risposta anche alla questione ribadita in questa sede laddove la difesa dei ricorrenti ha sostenuto che alcuni beni
in sequestro erano di proprietà di una terza persona che coabitava con gli imputati e che ne ha chiesto la restituzione, evidenziando che l’asserito requisito della
coabitazione di tale soggetto non risulta altrimenti provato, né è stato accertato dalla P.G., dato che detto soggetto all’epoca dei fatti era irreperibile e che, in ogni
caso, al capo 21 della rubrica delle imputazioni sono indicati molti più oggetti oltre a quelli asseritamente di proprietà di tale terza persona.
Osserva l’odierno Collegio che nel caso in esame i Giudici di merito risultano avere non solo – come si è detto – congruamente e logicamente motivato le ragioni
per le quali hanno ritenuto di affermare la penale responsabilità degli imputati anche per i capi 18, 19 e 21 della rubrica delle imputazioni, ma hanno anche fatto
corretta applicazione del consolidato principio indicato da questa Corte secondo il quale «ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, la mancat
giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza» (Sez. 1, n. 13599 del 13/03/2012,
COGNOME, Rv. 252285; Sez. 2, n. 41423 del 27/10/2010, COGNOME, Rv. 248718).
3. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, quanto a ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazion della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il giorno 1 aprile 2025.