Ricettazione: la mancata spiegazione sulla provenienza del bene è una prova
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui criteri per provare il reato di ricettazione e sui limiti del ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha confermato la condanna per un uomo trovato in possesso di un ciclomotore rubato, stabilendo che la sua incapacità di fornire una spiegazione credibile sull’origine del veicolo costituisce un elemento di prova sufficiente per configurare il dolo. Approfondiamo i dettagli del caso e le conclusioni dei giudici.
Il caso: dal possesso di un ciclomotore alla condanna per ricettazione
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di ricettazione, previsto dall’art. 648 del codice penale. L’imputato era stato trovato in possesso di un ciclomotore che risultava essere stato rubato tempo prima. In sede di appello, la condanna era stata confermata. L’imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando la correttezza della motivazione della sentenza e chiedendo che il reato venisse riqualificato in quello, meno grave, di furto (art. 624 c.p.).
I motivi del ricorso: distinguere tra ricettazione e furto
La difesa dell’imputato ha tentato di smontare l’impianto accusatorio sostenendo che la motivazione della corte d’appello fosse viziata. L’argomento principale verteva sulla necessità di riqualificare il fatto. Secondo la tesi difensiva, non vi erano prove sufficienti per dimostrare che l’imputato avesse ricevuto il bene da altri, essendo invece più plausibile che fosse egli stesso l’autore del furto. Tale distinzione è fondamentale, poiché la ricettazione è punita più severamente del furto semplice.
La prova della ricettazione e il principio della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire principi consolidati in materia di prova del reato di ricettazione. I giudici hanno chiarito che, ai fini della condanna, l’elemento soggettivo (cioè la consapevolezza della provenienza illecita del bene) può essere desunto da qualsiasi elemento, anche indiretto. Tra questi, assume un’importanza cruciale l’omessa o non attendibile spiegazione da parte dell’imputato sulla provenienza della cosa ricevuta. In altre parole, chi viene trovato in possesso di un bene rubato ha l’onere di fornire una giustificazione plausibile; se non lo fa, o se la sua versione è palesemente falsa, tale comportamento viene considerato un forte indizio della sua colpevolezza per ricettazione.
Le motivazioni della decisione
La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano infondati. I giudici di legittimità non possono riesaminare nel merito le prove, ma solo verificare la presenza di vizi logici gravi nella motivazione della sentenza impugnata, come la sua totale mancanza o la sua manifesta contraddittorietà. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e coerente per rigettare la richiesta di riqualificazione del reato. In particolare, aveva valorizzato due elementi:
1. Il mancato esame dell’imputato, che non ha quindi fornito alcuna versione dei fatti.
2. L’apprezzabile intervallo di tempo trascorso tra il momento del furto del ciclomotore e il suo sequestro all’imputato. Questo lasso temporale rende più probabile che il bene sia passato di mano, escludendo quindi la partecipazione diretta al furto.
La Suprema Corte ha ritenuto tali argomentazioni giuridicamente corrette e sufficienti a fondare l’affermazione di responsabilità per il reato di ricettazione.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso: il possesso ingiustificato di beni di provenienza illecita fa sorgere una presunzione di colpevolezza per il reato di ricettazione. Questa decisione sottolinea l’importanza per chiunque acquisti beni usati, specialmente a condizioni vantaggiose, di accertarsi della loro lecita provenienza. L’incapacità di fornire una spiegazione credibile può avere conseguenze penali molto serie, trasformando un incauto acquisto in una condanna per un reato grave contro il patrimonio.
Come si può provare l’intento colpevole nel reato di ricettazione?
La prova dell’elemento soggettivo della ricettazione può essere raggiunta attraverso qualsiasi elemento, anche indiretto. Secondo la Corte, l’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa da parte di chi la possiede è un elemento di prova fondamentale.
Quali elementi distinguono la ricettazione dal furto in questo caso?
La Corte ha evidenziato come l’apprezzabile intervallo temporale tra la consumazione del furto e il ritrovamento del bene in possesso dell’imputato sia un fattore decisivo. Questo lasso di tempo rende più verosimile che l’imputato abbia ricevuto il bene da terzi anziché essere l’autore materiale del furto.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure proposte non denunciavano vizi logici manifesti o mancanza di motivazione, ma si limitavano a criticare l’adeguatezza e la persuasività della valutazione delle prove fatta dal giudice di merito, un’operazione non consentita nel giudizio di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9003 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9003 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 648 cod. pen. denunciando vizio della motivazione, non è consentito, perché non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali tali da imporre diversa conclusione del processo;
che, in particolare, non sono consentite tutte le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei – significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, del credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento;
che, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente (Sez. 2, Sentenza n. 5301 del 22/11/2016, Rv. 268713 – 01);
che, con motivazione esente dai descritti vizi logici, il giudice di merito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento nella parte in cui ha rigettato la doglianza di riqualificazione del fatto di cui all’art..648 cod. pen. in quello pi favorevole di cui all’art. 624 cod. pen. considerato, in primo luogo, il mancato esame dell’imputato e, in secondo luogo, l’apprezzabile intervallo temporale intercorso tra la consumazione del furto e il sequestro del ciclomotore all’imputato (si veda, in particolare, pag. 2 della sentenza impugnata) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Roma, 18/02/2025