Ricettazione: la Prova sta nella Mancata Giustificazione
Il delitto di ricettazione rappresenta una delle fattispecie più comuni e, al tempo stesso, complesse da provare nel nostro ordinamento. Spesso, l’accusa si basa su elementi indiziari e la linea tra un incauto acquisto e una piena consapevolezza della provenienza illecita di un bene può essere sottile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 34846/2024) torna sul tema, chiarendo un principio fondamentale: la mancata giustificazione del possesso di un oggetto rubato è di per sé una prova sufficiente a dimostrare la conoscenza della sua origine illegale.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un uomo, condannato in Corte d’Appello per il reato di ricettazione. L’imputato sosteneva, tra le altre cose, di non essere consapevole della provenienza delittuosa del bene in suo possesso, adducendo un ritrovamento casuale. Inoltre, sollevava una questione relativa alla prescrizione del reato. Il suo ricorso, tuttavia, è stato rigettato dalla Suprema Corte, che lo ha dichiarato inammissibile, confermando così la condanna.
L’onere della prova nel reato di ricettazione
Il fulcro della decisione della Cassazione risiede nell’applicazione di un consolidato principio di diritto. I giudici hanno stabilito che, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, l’imputato che viene trovato in possesso di un bene proveniente da un delitto ha l’onere di fornire una spiegazione plausibile e attendibile di come ne sia venuto in possesso.
La Corte di Appello aveva già ritenuto inattendibile la versione dell’imputato, che parlava di un “ritrovamento casuale”. La Cassazione, nel confermare questa valutazione, sottolinea che la mancata o inverosimile giustificazione del possesso costituisce una prova logica della conoscenza dell’illecita provenienza del bene. In sostanza, il possesso “sine titulo” (senza un titolo valido) di un oggetto rubato fa scattare una presunzione di colpevolezza che l’imputato deve essere in grado di superare con argomentazioni credibili.
La Questione della Prescrizione e l’Importanza della Recidiva
Un altro motivo di ricorso riguardava l’asserita prescrizione del reato. Anche su questo punto, la Corte ha dato torto al ricorrente. I giudici hanno evidenziato come nel calcolo del tempo necessario a prescrivere il reato non si potesse ignorare la contestazione, ritenuta valida nei precedenti gradi di giudizio, della “recidiva specifica e infraquinquennale”. Questa circostanza aggravante, che si applica a chi commette un reato della stessa natura entro cinque anni da una condanna precedente, ha l’effetto di aumentare i termini di prescrizione, rendendo l’eccezione dell’imputato manifestamente infondata.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le argomentazioni presentate non miravano a evidenziare reali violazioni di legge o manifeste illogicità nella sentenza d’appello. Al contrario, il ricorrente tentava di ottenere dalla Cassazione un nuovo giudizio sui fatti, una valutazione di merito che non rientra nelle competenze del giudice di legittimità. Le doglianze, inoltre, non erano altro che una riproposizione di censure già esaminate e respinte dalla Corte di Appello con una motivazione ritenuta adeguata, lineare e completa, basata sulle risultanze processuali e sui principi di diritto applicabili.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida due importanti principi. Primo, nel reato di ricettazione, il possesso ingiustificato di beni di provenienza illecita è un elemento di prova cruciale contro l’imputato. Secondo, circostanze aggravanti come la recidiva hanno un impatto diretto e significativo sul calcolo della prescrizione, impedendo l’estinzione del reato. La decisione conferma la condanna dell’imputato, che dovrà ora pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria, e serve da monito sull’importanza di poter sempre dimostrare la legittima provenienza dei beni che si posseggono.
Come si prova il reato di ricettazione?
Secondo la Corte, la prova della conoscenza della provenienza illecita di un bene può essere dedotta dalla mancata o inattendibile giustificazione del suo possesso da parte della persona accusata.
In che modo la recidiva influenza la prescrizione di un reato?
Sì, la recidiva specifica e infraquinquennale è una circostanza aggravante che aumenta il tempo necessario perché un reato si estingua per prescrizione, come previsto dagli articoli 157 e 160 del codice penale.
Per quale motivo un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando, invece di denunciare violazioni di legge o vizi logici della sentenza, si limita a chiedere un riesame dei fatti già valutati nei precedenti gradi di giudizio o ripropone le stesse obiezioni già respinte motivatamente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34846 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34846 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BAGHERIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/10/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME e le conclusioni sopravvenute, considerato che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che il ricorrente non considera che è stata contestata e ritenuta la recidiva specifica e infraquinquennale, con le conseguenti ricadute in punto di pena edittale massima e del tempo necessario per la maturazione della prescrizione, ai sensi degli artt. 157 e 160 cod. pen.;
considerato che, in relazione all’affermazione di responsabilità, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui ai fini del configurabilità del delitto di ricettazione, la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza (Sez. 2, Sentenza n. 52271 del 10/11/2016, COGNOME, Rv. 268643 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 20193 del 19/04/2017, NOME, Rv. 270120 – 01) e che la Corte di appello ha spiegato le ragioni dell’inattendibilità della versione offert dall’imputato (ritrovamento casuale);
considerato che, a fronte di una motivazione adeguata, le doglianze articolate nel ricorso non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello e reiterano in gran parte le censure già sollevate dinanzi a quel Giudice, che le ha ritenute infondate sulla base di una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto dei principi di diritto vigenti in materia;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente