Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15912 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15912 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato in Moldavia il 19/07/1993
avverso la sentenza del 24/01/2024 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; lette le conclusioni del difensore, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Torino, quale giudice del rinvio dopo l’annullamento della Corte di cassazione (sentenza n. 9869 del 26 gennaio 2021), in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, assolveva l’imputato NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 648-bis cod. pen. per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena e confermando nel resto.
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Il primo giudice aveva condannato l’imputato per il delitto di riciclaggio di un autoveicolo, ritenendo in esso assorbito il delitto di ricettazione riguardante il medesimo veicolo, contestato in modo concorrente nel capo a) (reati entrambi commessi il 3 novembre 2015).
La Corte di cassazione aveva annullato la sentenza di appello, confermativa di quella di primo grado, ritenendo viziata la motivazione là dove aveva ritenuto suffragata l’ipotesi di riciclaggio nella contraffazione della targa, attuata attraverso la modifica della lettera F della sequenza alfanumerica nella lettera E mediante l’apposizione di una striscia di nastro adesivo. Detta condotta, svincolata dalla consapevolezza della provenienza illecita del mezzo, risultava, secondo la Suprema Corte, non corrispondente al paradigma normativo, che riconosce nell’ostacolo all’identificazione della provenienza del bene la ragione dell’incriminazione, e si presta, eventualmente, ad altre qualificazioni giuridiche.
In sede di rinvio, la Corte di appello, aveva escluso che l’imputato avesse alterato la targa, ritenendo invece provata la ricettazione per la consapevolezza del medesimo della provenienza illecita del mezzo.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Vizio di motivazione in relazione alla ipotesi di ricettazione.
La Corte di appello ha ritenuto il ricorrente pienamente consapevole della provenienza illecita del mezzo, sulla base di una motivazione viziata, basata sulla mera disponibilità del mezzo al momento dei fatti (circostanza di per sé irrilevante e giustificata in ogni caso dal ricorrente con l’occasionale prestito di un conoscente che voleva essere accompagnato ad un locale), sulla intestazione a terzi del libretto di circolazione (anche questa emergenza irrilevante, stante l’estemporanea guida del mezzo), sulla modifica della targa (circostanza anch’essa irrilevante per i medesimi motivi), sul furto dell’auto avvenuto un mese prima (argomento utilizzato dalla sentenza di appello poi cassata), sul ritrovamento nelle tasche del ricorrente di forbici (giustificabili con il rocambolesco tentativo del ricorrente di liberarsi della droga appena acquistata) e sulla fuga (di per sé insufficiente a giustificare l’ipotesi accusatoria e comunque ragionevolmente imputabile all’acquisto di stupefacenti, anche alla giovane età del ricorrente e al precedente a suo carico).
In ogni caso, la responsabilità per la ricettazione era stata esclusa dai giudici di merito e tale statuizione non era stata impugnata dalla pubblica accusa.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e la difesa hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Va in primo luogo escluso che la sentenza di primo grado abbia affermato che non ricorreva il reato di ricettazione.
Come ha rilevato anche la sentenza di annullamento, il primo giudice ha soltanto operato l’assorbimento della ipotesi di ricettazione in quella del riciclaggio, facendo corretta applicazione del principio di diritto, secondo cui il delitto di riciclaggio è in relazione di specialità con il delitto di ricettazione, perché compone della stessa condotta di acquisto o ricezione di denaro o altra utilità, arricchita dall’elemento aggiuntivo del compimento di attività dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa e da un ulteriore elemento di diversità del dolo (Sez. 2, n. 43730 del 12/11/2010, Rv. 248976).
La Suprema Corte, investita del ricorso dell’imputato sul reato di riciclaggio, aveva ritenuto viziata la motivazione della Corte territoriale che aveva escluso (tra l’altro in modo assertivo) la consapevolezza da parte del prevenuto della provenienza illecita del bene, ritenendo sufficiente a suffragare l’ipotesi di riciclaggio la contraffazione della targa. Detta condotta, svincolata dalla consapevolezza della provenienza illecita del mezzo, risultava non corrispondente al paradigma normativo.
Ciò premesso, deve ritenersi che in sede di rinvio la Corte di appello, nell’escludere l’ipotesi delittuosa “assorbente”, ben poteva far rivivere la fattispecie delittuosa “assorbita”.
Quanto alla consapevolezza della provenienza illecita del bene, la Corte di cassazione aveva rilevato come i giudici di merito avessero motivato sul punto necessario per la integrazione della condotta di riciclaggio (al pari di quella di ricettazione) – in modo assertivo.
Nella specie, la Corte di appello, nel riesaminare tale punto, ha ritenuto che la consapevolezza da parte del ricorrente della provenienza illecita del bene emergesse nella specie da una serie di convergenti elementi indiziari.
Elementi che il ricorrente in questa sede mira ad isolare probatoriament.ei – nella preclusa prospettiva di conferire ad essi un diverso (e, secondo la difesa, più / plausibile) intrinseco significato.
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Tale modo di procedere è notoriamente non consentito in tema di valutazione della prova indiziaria: il giudice di merito non può infatti limitarsi ad una
valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi
indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di
norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi,
isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un
alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle
risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (tra tante, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv.
280605).
La Corte di appello ha fatto buon governo di tale principio, esaminando le circostanze, che il ricorrente ha riportato nella impugnazione.
Né risulta dalla motivazione che la Corte territoriale abbia tralasciato la ipotesi alternativa dell’acquisto di stupefacente (che era stata all’origine del controllo degli operanti di polizia): piuttosto la sentenza impugnata ha conferito particolare risalto alla dinamica rocambolesca e pericolosa della fuga che aveva esposto gli occupanti del veicolo, le persone sulla strada e gli operanti al rischio del bene della vita e che non aveva altra ragione se non quella della provenienza furtiva del veicolo (considerato viepiù che non era stata reperita alcuna sostanza, una volta fermato il mezzo).
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 2E/02/2025.