Ricettazione: Quando la colpa si presume?
Il reato di ricettazione è uno dei più comuni nel nostro ordinamento, ma spesso sorgono dubbi su come la giustizia possa provare che l’accusato fosse a conoscenza della provenienza illecita di un bene. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema, fornendo chiarimenti cruciali sulla prova dell’elemento soggettivo e sulla concessione dell’attenuante della speciale tenuità. Analizziamo insieme la decisione per capire i principi applicati dai giudici.
I fatti del processo
Il caso ha origine dal ricorso presentato da una donna, condannata nei primi due gradi di giudizio per il reato di ricettazione. La difesa sosteneva principalmente due punti: in primo luogo, l’assenza della prova che l’imputata fosse consapevole dell’origine delittuosa del bene ricevuto; in secondo luogo, il mancato riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità del fatto, data la modesta entità del bene stesso.
La Corte d’Appello aveva già respinto queste argomentazioni, confermando la condanna. Di conseguenza, il caso è approdato dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.
La decisione della Corte di Cassazione sul delitto di ricettazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una semplice riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte dai giudici di merito. I giudici supremi hanno colto l’occasione per ribadire alcuni orientamenti giurisprudenziali consolidati in materia di ricettazione.
L’elemento soggettivo nel reato di ricettazione
Il punto centrale della decisione riguarda la prova della consapevolezza della provenienza illecita del bene. La Corte ha sottolineato che non è necessario che l’accusato conosca ogni dettaglio del reato da cui il bene proviene (luogo, tempo, modo). Ciò che conta è la certezza della sua origine illegale.
Questa certezza, secondo la giurisprudenza costante, può essere dedotta anche da prove indirette o dal comportamento dell’imputato. Un elemento chiave è la mancata o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta. Se una persona di media intelligenza non è in grado di fornire una spiegazione logica e credibile su come sia entrata in possesso di un bene, questo comportamento viene considerato un forte indizio della sua malafede e della volontà di occultarne l’origine.
La valutazione dell’attenuante della speciale tenuità
Per quanto riguarda la richiesta di applicare l’attenuante della speciale tenuità, la Cassazione ha chiarito che la valutazione non può basarsi esclusivamente sul valore economico del bene ricettato. Il giudice deve infatti considerare un quadro più ampio, che include tutti gli elementi previsti dall’articolo 133 del codice penale.
Tra questi elementi rientrano la gravità del danno, le modalità dell’azione e, in modo significativo, i precedenti penali dell’imputato. La presenza di un passato criminale può quindi legittimamente ostacolare la concessione dell’attenuante, anche a fronte di un valore modesto della merce.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di logica e di aderenza alla realtà. I giudici hanno ritenuto che il ricorso fosse privo di una critica specifica alle argomentazioni della sentenza d’appello, limitandosi a riproporre le stesse difese. La decisione si allinea a un orientamento stabile che mira a prevenire l’impunità in casi dove, pur mancando una prova diretta della conoscenza (come una confessione), gli indizi sono così gravi, precisi e concordanti da generare la certezza della colpevolezza. La mancata giustificazione del possesso di un bene è, in questo contesto, un elemento rivelatore della consapevolezza della sua provenienza illecita.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma che nel reato di ricettazione, l’onere di fornire una spiegazione plausibile sul possesso di un bene di sospetta provenienza ricade di fatto sull’imputato. L’assenza di tale spiegazione o la sua palese inverosimiglianza sono sufficienti per fondare una condanna. Inoltre, la decisione ribadisce che l’accesso a benefici come l’attenuante della speciale tenuità richiede una valutazione complessiva della condotta e della personalità dell’imputato, non limitata al solo valore dell’oggetto del reato. L’imputata è stata quindi condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Come fa un giudice a stabilire che una persona sapeva che un oggetto era rubato?
La consapevolezza può essere provata anche attraverso elementi indiretti. Se l’imputato non fornisce una spiegazione credibile e attendibile su come è entrato in possesso del bene, il giudice può dedurre che fosse a conoscenza della sua provenienza illecita.
Per ottenere l’attenuante della ‘speciale tenuità’ basta che l’oggetto rubato abbia un valore basso?
No. Secondo la Corte, il valore del bene è solo uno degli aspetti da considerare. Il giudice deve valutare anche altri elementi, come le modalità dell’azione e i precedenti penali dell’imputato, che possono impedire la concessione dell’attenuante.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non presentava nuove argomentazioni, ma si limitava a riproporre le stesse questioni già esaminate e respinte correttamente dalla Corte d’Appello, senza criticare specificamente le motivazioni di quella sentenza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19868 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19868 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME, ritenuto che l’unico motivo d’impugnazione, con cui si lamenta la inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche in relazione alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione e al mancato riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità, è riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice del merito, e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata;
rilevato che, invero, nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte d’appello si è adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessar la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del resto, questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/06/2008, COGNOME, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/05/2010, COGNOME, Rv. 248265; Sez. 2, n. 27867 del 17/06/2019, Rv. 276666-01) – si vedano pagg. 4-5 della sentenza impugnata -; Corte di Cassazione – copia non ufficiale considerato che, ai fini della configurabilità dell’ipotesi attenuata del delitto di ricettazione, non rileva esclusivamente il valore della cosa ricettata, ma si deve avere riguardo anche agli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen., ivi compresi i precedenti penali (Sez. 2, n. 3188 del 08/01/2009, Rv. 242667; Sez. 6, n. 7554 del 2/02/2011, NOME, Rv. 249226-01), si veda pag. 5 della sentenza impugnata;
osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2024
Il Presidente