Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43744 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43744 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
NOME NOME nato a Lecco il 07/10/1972
rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME nato a Ostuni il 30/04/1957
rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza del 18/12/2023 della Corte di appello di Milano, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata richiesta dal difensore di COGNOME NOME la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, dl. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo,
dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, così richiamandosi alla memoria scritta depositata in data 15/07/2024; udita la discussione dell’avv. NOME COGNOME sostituto processuale degli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME Giorgio; lette le conclusioni scritte del difensore del ricorrente COGNOME COGNOME depositate in data 24/07/2024 con contestuale rinuncia alla trattazione orale, che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Monza emessa in data 23/06/2022: – ha confermato il giudizio di responsabilità di NOME NOME per i delitti di ricettazione di pezzi di varie autovetture provento di furto contestati ai capi B.3), B.7), B.10), B.13), B.16), B.18), B.24), B.27) e dichiarato non doversi procedere per il reato di furto di cui al capo A.17) di imputazione per difetto di querela, con conseguente rideterminazione della pena inflitta dal giudice di primo grado in anni tre mesi due di reclusione ed euro 950,00 di multa;
ha confermato il giudizio di responsabilità di COGNOME NOME per i delitti di ricettazione di pezzi di veicoli compendio di furto contestati ai capi B.21) e B.26) e la relativa sanzione irrogata dal giudice di primo grado nella misura di anni due mesi due di reclusione ed euro 700,00 di multa.
Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati presentati due diversi ricorsi da parte di ciascun legale fiduciario.
3.1. Con il ricorso, a firma avv. NOME COGNOME si propongono i motivi di seguito illustrati.
3.1.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per omessa motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati di ricettazione ascritti all’imputato.
Sul punto, la Corte di appello, richiesta della verifica della consapevolezza della provenienza illecita dei beni ricevuti per ciascun addebito contestato in capo a COGNOME si è limitata a richiamare le considerazioni esposte con riferimento alla posizione del coimputato COGNOME COGNOME
3.1.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art.606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 648 e 712 cod. pen. per non avere la Corte di appello riqualificato i fatti nell’ipotesi contravvenzionale di incauto acquisto.
3.1.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 648 cod. pen. con riferimento ai fatti contestati ai capi di imputazione B.7), B.10) e B.18) e dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per illogicità e mancanza della motivazione.
In relazione a tali addebiti manca, secondo il ricorrente, l’elemento oggettivo della fattispecie di ricettazione non essendo stati individuati con certezza i pezzi di ricambio di auto ricevuti dall’imputato e la loro provenienza delittuosa.
La stessa Corte di appello ha dato conto, con riferimento alla imputazione B.7), della mancata individuazione del veicolo rubato da cui provenivano i pezzi in questione, ciò nondimeno ha ritenuto provata l’origine furtiva degli stessi, con affermazioni del tutto illogiche; in relazione ai fatti sub capi B.10) e B.18), ha addirittura omesso la motivazione in ordine al giudizio di responsabilità limitandosi a richiamare le illogiche considerazioni svolte per l’addebito sub B.7).
3.1.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per avere i giudici di secondo grado omesso di pronunciarsi in ordine alle doglianze difensive relative agli addebiti di cui ai capi B.3), B.13) e B.16) dedotte nel quinto e sesto motivo di appello (rectius sesto e settimo) ove si era rappresentato:
(a) quanto al primo addebito, l’identità dei pezzi di ricambio asseritamente ricettati da COGNOME e da COGNOME, con conseguente impossibilità che entrambi gli imputati avessero ricevuto gli stessi beni;
(b) quanto agli altri due addebiti, la circostanza che i pezzi di ricambio asseritamente ricettati da NOME erano oggetto anche della contestazione sub capo B.14) elevata a carico di COGNOME NOME il quale per tale fatto ha riportato condanna definitiva.
3.1.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza e comunque illogica motivazione in punto di mancato riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.
La Corte di merito ha omesso di considerare gli elementi positivi evidenziati nell’atto di appello che avrebbero giustificato la diminuente, segnatamente la condotta lineare e collaborativa serbata sia dall’inizio del procedimento da Colombo che mai si è sottratto agli accertamenti, che ha reso interrogatorio di
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garanzia versato in atti e che ha dimostrato la liceità del possesso di parte dei beni originariamente ritenuti di illecita provenienza e a lui restituiti.
3.1.6. Con il sesto motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per omessa motivazione in punto di quantificazione dell’aumento di pena applicato a titolo di continuazione per ciascun reato satellite.
La Corte di appello si è limitata ad affermare genericamente la congruità degli aumenti ex art. 81 cod. pen., senza considerare che ogni singolo illecito contestato è oggettivamente diverso sia con riferimento alla natura dei pezzi di ricambio che al loro valore.
3.2. Con il ricorso, a firma avv. NOME COGNOME si propongono i motivi di seguito illustrati.
3.2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 533 e 192 comma 2 codice di rito e violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà, illogicità e mancanza della motivazione in ordine alla affermata responsabilità di Colombo per i reati contestati.
La colpevolezza dell’imputato non è provata al di là di ogni ragionevole dubbio, la Corte di appello non ha fatto buon governo del criterio valutativo degli indizi di reato i quali, per assurgere a prova, devono essere precisi, gravi e concordanti; si è limitata a condividere apoditticamente le argomentazioni del giudice di primo grado che ha traslato nella propria motivazione, senza confrontarsi con le doglianze difensive o comunque rispondendo alla stesse in termini illogici e contradditori. Tanto emerge plasticamente nella parte della sentenza impugnata relativa agli episodi di ricettazione contestati ai capi B.7) B.10), B.18) aventi ad oggetto pezzi di veicolo provenienti da mezzi non identificati ove la responsabilità dell’imputato è stata fatta discendere dal solo fatto, di per sé neutro, che i coimputati COGNOME e COGNOME erano soggetti dediti al furto di auto.
Sempre con riferimento al fatto sub capo B.7), la Corte di appello non ha considerato la doglianza difensiva con la quale si era evidenziato che dalla conversazione ambientale intercorsa il 22/10/2014 tra Villa e Spinello all’interno della vettura Athos e valorizzata dal primo Giudice non era possibile identificare il soggetto destinatario dei ricambi d’auto, indicato nel colloquio talvolta come NOME e talaltra come NOME.
Ancora, in relazione a tale addebito ma anche alle imputazioni sub capi 5.10), B.13), B.16) e B.18), la Corte territoriale ha fornito risposta illogica contradditoria all’ ulteriore doglianza dedotta nell’atto di appello con la quale si era rappresentata la materiale impossibilità di trasportare e, dunque, consegnare all’imputato, i pezzi di ricambio oggetto di contestazione utilizzando una vettura modello Athos, notoriamente di ridotte dimensioni. Su tale specifico punto è
addirittura incorsa nel travisamento della prova in quanto – per superare tale obiezione difensiva- ha affermato che la consegna dei beni era avvenuta utilizzando un furgone, localizzato, tramite tracciato Gps, presso la società di cui era titolare l’imputato, non avvedendosi, tuttavia, che in realtà il sistema di rilevazione satellitare era stato installato dagli investigatori sulla vettura Atos.
Ugualmente illogica la parte motiva relativa ai capi sub B.3), B.5), B.8) con riferimento ai quali il giudice di secondo grado ha affermato la responsabilità sia di NOME che di COGNOME NOME – pur in assenza di contestazione in forma concorsuale ai sensi dell’art. 110 cod. pen. – per la ricettazione di una medesima res proveniente dall’auto rubata a COGNOME NOME, essendo impossibile e contrario a logica ritenere che un medesimo bene di origine delittuosa venga ceduto contemporaneamente a due soggetti diversi.
Infine, con riferimento ai fatti sub capi B.13) e B.16), la Corte di appello non si è primo luogo concretamente confrontata con la doglianza difensiva ove si era dedotto che la conversazione ambientale n. 4754 del 27/10/2014 delle ore 16,03 aveva avuto ad oggetto un bene il quale era nella disponibilità del legittimo proprietario in quanto il furto veniva commesso il giorno successivo a tale dialogo. Sul punto il giudice di secondo grado ha superato tale rilievo valorizzando un elemento neutro ed insignificante e cioè un incontro visivo avvenuto tra Villa, COGNOME e COGNOME. In secondo luogo, la Corte territoriale non si è pronunciata sulla richiesta della difesa, formulata nell’atto di appello, di assorbimento del reato sub capo B.16) in quello contestato al capo B.13).
3.2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 648 cod. pen. relativamente ai capi di imputazione B7), B10) e B18) e il vizio di motivazione.
Con riferimento a tali addebiti, manca la prova del reato presupposto di cui nulla è dato sapere in ordine alle modalità di realizzazione ed ai suoi autori, la Corte territoriale ha desunto per via indiziaria la provenienza delittuosa dei beni asseritannente ricettati valorizzando elementi privi di significato univoco.
Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati articolati tre motivi di ricorso.
4.1. Con il primo ed il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 648 cod. pen. e la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Difetta, secondo il ricorrente, la prova dell’elemento oggettivo e soggettivo delle contestate ricettazioni sub capi B.21) e B.26).
La provenienza furtiva dei pezzi di ricambio auto è fondata su meri indizi; dalla testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria COGNOME, autore delle indagini, emerge che non sono state individuate le auto rubate da cui sarebbero stati asportati tali pezzi con conseguente mancanza di prova del reato presupposto; nella disponibilità dell’imputato non sono mai stati trovati gli oggetti asseritamente ricettati; COGNOME svolge l’attività di meccanico e quindi normalmente acquista o utilizza pezzi di ricambio per riparare autovetture o per rivendita alla clientela, sicchè difetta l’elemento psicologico del reato di ricettazione e neppure è dimostrato il fine di profitto.
Evidenzia altresì ricorrente che il reato presupposto delle contestate ricettazioni è il delitto di furto procedibile a querela di parte che non risulta essere stata presentata.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento di attenuanti generiche.
La Corte di appello ha omesso di considerare gli elementi positivi evidenziati nell’atto di appello che avrebbero giustificato la diminuente, segnatamente lo stato di incensuratezza, il suo pieno inserimento sociale, il buon contegno processuale consistito nel presentarsi alle udienze e nel dare il consenso all’utilizzo in dibattimento delle conversazioni telefoniche intercettate come trascritte dalla polizia giudiziaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso a firma avv. COGNOME proposto nell’interesse di NOME COGNOME non è meritevole di accoglimento.
1.1. Infondati sono il primo ed il secondo motivo con i quali si lamenta l’omessa motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei delitti di ricettazione contestati all’imputato e la violazione di legge in relazione agli artt. 648 e 712 cod. pen. per non avere la Corte riqualificato i fatti nell’illecito contravvenzionale di incauto acquisto.
Diversamente da quanto sostiene la difesa ricorrente, la Corte territoriale, quanto al profilo del dolo, non si è limitata a richiamare sic et sempliciter quanto illustrato in sentenza con riferimento al coimputato COGNOME COGNOME
Dopo avere premesso che anche per COGNOME valevano considerazioni analoghe a quelle spese per la posizione del concorrente, ha tuttavia indicato precisamente (pagg. 17 e 19 della pronuncia impugnata) una serie di elementi “individualizzanti” a carico di COGNOME la cui valutazione congiunta consentiva di ritenere provato in capo a costui l’elemento soggettivo del reato di ricettazione,
così fornendo sul punto una motivazione esaustiva e priva di qualsivoglia vizio di manifesta illogicità.
In particolare, i giudici di secondo grado hanno evidenziato che COGNOME non aveva esibito le fatture di acquisto e i documenti di trasporto dei pezzi di ricambio acquistati, sebbene titolare di una attività di rivendita auto; che i fornitori COGNOME non erano commercianti in tale specifico settore ma soggetti stabilmente dediti al furto di vetture, come giudizialmente accertato, ed in costante contatto con COGNOME al quale – all’esito di colloqui contraddistinti da un reciproco linguaggio volutamente criptico – avevano consegnato i beni oggetto di contestazione con modalità particolarmente caute e cioè occultati sotto una coperta; che in una occasione COGNOME era stato avvisato della presenza dei carabinieri nei pressi del luogo stabilito per la consegna e che il giorno 19 novembre 2014 l’incontro per il ritiro di alcuni pezzi era stato addirittura annullato in ragione del fatto che le forze dell’ordine erano transitate per due volte nel posto concordato, sicchè il fornitore COGNOME aveva comunicato a COGNOME che per lui non era sicuro attenderlo con ” su tutte le cose”.
Da tali univoche circostanze (specificamente richiamate in sentenza) la Corte di merito ha dedotto la piena consapevolezza dell’imputato circa la provenienza delittuosa dei beni ricevuti con conseguente corretta esclusione di ogni diversa qualificazione giuridica dei fatti contestati in senso più favorevole, in particolare dell’ipotesi contravvenzionale di incauto acquisto.
Trattasi di assunto del tutto in linea con il consolidato orientamento di legittimità secondo cui il criterio distintivo tra il delitto di ricettazione contravvenzione di acquisto di cose di sospetta provenienza prevista dall’art. 712 cod. pen. consiste proprio nell’elemento psicologico nel senso che nel primo caso l’agente, come nel caso di specie, ha la consapevolezza della provenienza delittuosa della cosa acquistata o ricevuta (o comunque si rappresenta la concreta possibilità in tal senso, con relativa accettazione del rischio), mentre nel secondo caso in capo all’agente si configura una condotta colposa e cioè una mera mancanza di diligenza nel verificare l’origine del bene (Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007, COGNOME, Rv. 238515; Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324; Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013, COGNOME, Rv. 257237; Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. n. 270179).
1.2. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza dell’elemento oggettivo della ricettazione con riferimento ai capi di imputazione B.7), B.10), B.18), pur non essendo stati individuati con certezza i pezzi di ricambio di auto ricevuti dall’imputato oggetto dell’addebito B.7) e non essendo dato comunque sapere da quali veicoli rubati essi provenissero.
Quanto alla individuazione dei beni oggetto del capo B.7), la Corte territoriale, con motivazione puntuale e fondata sul preciso richiamo alle risultanze probatorie, ha valorizzato le conversazioni intercorse tra Villa e COGNOME laddove parlavano apertamente della consegna a Colombo in data 22 ottobre 2014 di “portiere”, come indicato in imputazione. Ciò si salda con la motivazione della pronuncia di primo grado – vertendosi in caso di doppia conforme- che a pag 43 riporta integralmente tre colloqui registrati proprio quel giorno e contenenti il preciso riferimento a quattro portiere “….quelle della Cinquecento” consegnate all’imputato.
Con riferimento, invece, alla prova della provenienza delittuosa dei pezzi di ricambio oggetto degli addebiti B.7), B.10) e B.18), pur non essendo emerso con certezza a quale dei veicoli rubati da Villa e Spinello appartenessero i beni in questione, la Corte di appello ha affermato che la loro origine furtiva era logicamente ricavabile dalle peculiari circostanze già valorizzate in punto di dolo di ricettazione.
Trattasi di costrutto scevro da manifeste illogicità ed anzi aderente ai dati fattuali analiticamente riportati nella pronuncia di primo grado i cui contenuti si saldano con quella impugnata vertendosi in “doppia conforme”.
I giudici di merito hanno fatto in tal modo corretta applicazione del principio affermatosi da tempo nella giurisprudenza di legittimità, e che deve essere ribadito anche in questa sede, secondo cui è sufficiente che il delitto presupposto, quale essenziale elemento costitutivo della fattispecie di ricettazione, sia individuato nella sua tipologia, desumibile attraverso prove logiche ed anche dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso, non essendone necessaria la ricostruzione dello stesso in tutti i suoi estremi storico-fattuali ( Sez. 2, n. 26902 del 31/5/2022, Visaggio, Rv. 283563; Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, Cremonese, Rv. 282629; Sez. 2, n. 46773 del 23/11/2021, COGNOME, Rv. 282433 – 02; Sez. 2, n. 29689 del 28/5/2019, COGNOME, Rv. 277020).
1.3. Non meritevole di accoglimento è anche il quarto motivo di ricorso con il quale ci si duole della omessa motivazione da parte dei giudici di secondo in ordine alle censure difensive rappresentate nell’atto di appello in relazione agli addebiti B.3), B.13) e B.16).
Quanto alle doglianze relative al capo sub B.3), la Corte territoriale (pag. 15 della sentenza impugnata relativa all’esame della posizione del coimputato COGNOME) ha osservato che la dedotta impossibilità che COGNOME e COGNOME potessero avere venduto a COGNOME e COGNOME i pezzi di ricambio della medesima auto Fiat 500 rubata a COGNOME NOME, era da ritenersi mera ipotesi, priva di elementi a sostegno. Del resto, osserva questo Collegio, stando all’imputazione per come formulata, il capo B.3) contestato a COGNOME indica pezzi di ricambio parzialmente diversi da quelli riportati nell’addebito B.5) elevato a carico di COGNOME.
Quanto alla identità dei beni oggetto dell’imputazione B.13) e B.16) con quelli oggetto della contestazione sub B.14) elevata a NOMECOGNOME già definitivamente condannato per tale addebito, effettivamente la Corte non ha motivato in ordine a tale profilo che era stato dedotto nel settimo motivo di appello.
Al fine di stabilire se l’omessa pronuncia in ordine ad una censura specificamente devoluta sia vizio deducibile in sede di legittimità non è tuttavia sufficiente il solo dato del mancato esame, ma occorre verificare se tale doglianza rispondeva ai richiesti canoni di ammissibilità.
Va infatti ricordato il consolidato principio affermato da questa Corte secondo cui è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello “ah origine” manifestamente infondato, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 6, n. 47222 del 6/10/2015, COGNOME, Rv. 265878, Sez. 3, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745; Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281).
Nel caso di specie, il motivo sul quale la sentenza impugnata ha omesso di statuire può dirsi “ah origine” manifestamente infondato poiché anche in questo caso, stando alle imputazioni riportate in sentenza, i capi B.13) e B.16) contestati a COGNOME indicano pezzi di ricambio identificati in pneumatici, portiere e portelloni, mentre nel capo B14 contestato a COGNOME si parla di vari pezzi non identificati (“tra gli altri uno sportellone”), sicchè la dedotta identità dei beni non risulta.
1.4. Neppure può trovare accoglimento il quinto motivo di ricorso con il quale si deduce l’omessa motivazione in punto di diniego di circostanze attenuanti generiche.
La Corte di merito ha rilevato la mancanza di elementi di positiva valutazione da porre a fondamento della invocata diminuente (pag. 20 della sentenza impugnata), così implicitamente affermando l’irrilevanza delle circostanze evidenziate nell’atto di appello che, osserva questo Collegio, erano del tutto generiche se si considera che esse si limitavano ad evocare, da un lato, una non meglio precisata condotta collaborativa in corso di indagini e, dall’altro, la sottoposizione dell’imputato ad interrogatorio senza, tuttavia, illustrarne i relativi contenuti e l’emersione di fatti e circostanze idonei a giustificare una mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Va ricordato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008,
125 (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610; Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, Ventimiglia, non mass.).
1.5. Parimenti infondato è, infine, il sesto motivo di ricorso relativo alla carenza di motivazione in punto di quantificazione dell’aumento di pena determinato dal primo Giudice a titolo di continuazione per ciascun reato satellite.
La Corte di appello ha ritenuto congruo il quantum di mesi due di reclusione ed euro 100,00 di multa che il primo giudice aveva applicato per ciascun reato satellite senza operare distinzioni, e ciò per l’evidente identità del disvalore di ogni singolo addebito avente ad oggetto, ciascuno, la ricettazione di parti di ricambio di autovetture compendio di furto.
Va in proposito ricordato che, quando la pena si attesti in misura non troppo distante dal minimo (come nel caso di specie, ove l’aumento determinato per ciascun illecito posto in continuazione è oggettivamente esiguo) è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua” o “pena equa” (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36103 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255153), mentre «una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale» (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., non mass. sul punto).
Il ricorso a firma avv. COGNOME proposto sempre nell’interesse di NOME COGNOME non è, a sua volta, meritevole di accoglimento.
2.1. Infondato è il primo motivo di ricorso con il quale si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 533 e 192, comma 2, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione in ordine alla affermata responsabilità di NOME COGNOME per i reati contestati.
Va ricordato il consolidato insegnamento di questa Corte secondo il quale, in caso di processo indiziario, non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi raccolti, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è necessario, preliminarmente, valutare ciascuno di essi per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica), occorre quindi poi procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la -astratta- relativa ambiguità di ciascuno di essi
isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato” al di là di ogni ragionevole dubbio” e cioè con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana e comunque prive di qualsiasi riscontro nelle risultanze processuali (cfr. ex multis Sez. 1 n. 20461 del 12.4.2016 Rv 266941; Sez. 1 n. 44324 del 18.4.2013 Rv 258321; Sez. 1 n. 51457 del 21.6.2017 Rv 271593).
Fatta questa premessa, resa necessaria dalla natura del motivo di ricorso qui in esame, si osserva che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei ricordati principi giurisprudenziali in tema di processo indiziario, richiamando plurimi elementi obiettivi, precisi e convergenti che, correlati tra loro e quindi valutati globalmente, erano ritenuti idonei, ” al di là di ogni ragionevole dubbio” ad identificare Colombo quale diretto e consapevole destinatario di ricambi d’auto di provenienza furtiva.
In particolare ( pagg. 16 e 17 della sentenza impugnata), i giudici di secondo grado hanno valorizzato le conversazioni intercettate (che nella pronuncia di primo grado erano riportate nel loro tenore testuale con riferimento a ciascun singolo addebito) intercorse non solo tra COGNOME e COGNOME ma anche tra quest’ultimo e l’imputato COGNOME che interloquiva a mezzo dell’utenza a lui intestata aventi ad oggetto la consegna a “NOME” di parti di auto; tali dialoghi sono stati valutati congiuntamente ai tracciati GPS della vettura Hyundai Athos prevalentemente utilizzata da COGNOME e COGNOME per le consegne che attestavano come i due si erano recati presso la società RAGIONE_SOCIALE di Colombo e all’aggancio delle celle telefoniche, ulteriormente dimostrative degli incontri tra i tre in tale luogo ed in altri, previamente concordati.
La responsabilità dell’imputato non è stata dunque ricavata dal solo fatto, di per sé solo del tutto neutro, che COGNOME e COGNOME erano soggetti dediti al furto, bensì fondata sulla valutazione sinergica di ben altre risultanze probatorie che identificavano Colombo nel soggetto destinatario dei ricambi di auto di provenienza furtiva; con tale compendio la difesa ricorrente non si confronta.
La Corte territoriale ha fornito risposta, scevra da illogicità e travisamento dei dati probatori, anche alla doglianza difensiva con cui si rappresentava la materiale impossibilità di trasportare e consegnare a Colombo con la vettura Hyundai Athos (notoriamente di piccole dimensioni) taluni pezzi di ricambio particolarmente voluminosi.
Al riguardo, nella sentenza impugnata (pagg. 17 e 18) si è evidenziato che dalle conversazioni intercettate emergeva, da un lato, la programmazione di una consegna a Colombo, a mezzo dell’utilitaria, di airbag e cinture di sicurezza
(mentre il resto gli sarebbe stato recapitato in seguito) e, dall’altro, il chiar riferimento all’utilizzo anche di un furgone per il trasporto dei pezzi più ingombranti non caricabili sull’auto (le portiere); tali operazioni erano state concordate telefonicamente proprio con NOME il quale aveva interloquito con l’utenza cellulare a lui intestata.
Risulta in tal modo chiaramente non decisivo il dedotto travisamento della prova laddove la Corte di appello ha richiamato il tracciato del segnale Gps del furgone, quando invece il sistema di rilevazione satellitare era stato installato solo sulla vettura.
Con riferimento alla doglianza difensiva dedotta in relazione ai capi B.13) e B.16) la Corte di appello ha evidenziato che l’incontro di COGNOME con COGNOME e COGNOME era effettivamente avvenuto (anche se in luogo diverso dalla sede della società RAGIONE_SOCIALE) e ciò era attestato dalle conversazioni intercettate e dalla identità delle celle agganciate dai cellulari di costoro; dalla sentenza di primo grado ( pagg. 48-51) – che si salda con quella di appello- emerge che la consegna dei pezzi di ricambio veniva programmata il giorno stesso della consumazione del furto dell’auto Fiat 500 in danno di COGNOME NOME (avvenuto il 28 ottobre) ed era poi slittata al giorno successivo.
Quanto alla omessa pronuncia in ordine alla richiesta difensiva di assorbimento del reato sub capo B.16) in quello contestato al capo B.13), effettivamente la Corte non ha motivato in ordine a tale profilo dedotto nel terzo motivo dell’atto di appello a firma avv. COGNOME da ritenersi, tuttavia, ” ab origine” manifestamente infondato in quanto, stando alle imputazioni formulate, gli addebiti B.13) e B.16) hanno ad oggetto pezzi di ricambio diversi (anche se provenienti dalla stessa vettura Fiat 500 sottratta ad COGNOME NOME), consegnati a Colombo in date differenti.
Va esaminata, infine, la doglianza relativa alla prospettata manifesta illogicità della sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato, in relazione ai capi sub B.3), B.5), B.8) la responsabilità sia di NOME che di NOME NOME – pur in assenza di contestazione in forma concorsuale ai sensi dell’art. 110 cod. pen. per la ricettazione di una medesima res proveniente dall’auto rubata a Fumagalli NOME.
Come già osservato nel paragrafo 1.3., la Corte territoriale (pag. 15 della sentenza impugnata relativa all’esame della posizione del coimputato COGNOME relativamente al rapporto tra l’addebito B.3) contestato a COGNOME e quello B.5) addebitato a COGNOME NOMECOGNOME ha osservato – con argomentazione non manifestamente illogica – che la dedotta impossibilità che COGNOME e COGNOME potessero avere venduto a COGNOME e COGNOME i pezzi di ricambio della medesima auto Fiat 500 rubata a Fumagalli NOME, era mera ipotesi, priva di elementi a sostegno.
Del resto, osserva questo Collegio, stando all’imputazione per come formulata, il capo B.3) indica pezzi di ricambio parzialmente diversi da quelli riportati nell’addebito B.5).
I giudici di merito (si veda ancora la pag. 15 della sentenza) hanno altresì osservato che l’addebito B.8) conteneva un errore materiale in quanto relativo non alla ricettazione di pezzi appartenenti alla Fiat 500 sottratta a Fumagalli, bensì a quelli facenti parte di una vettura Panda della quale vi era traccia in una conversazione telefonica, sicchè esso non poteva considerarsi una duplicazione del capo di imputazione B.5). Rispetto a tale specifico argomento che prospetta una diversità dei fatti contestati, la difesa non ha mosso alcuna censura nel presente ricorso.
In ogni caso, anche a volere riferire entrambi gli addebiti alla medesima vettura Fiat 500 sottratta a COGNOME NOME, la contestazione B.5) si riferisce alla ricettazione di interni dell’auto, airbag e parti plastiche, mentre il capo B.8) riguarda “vari pezzi non identificati”, sicchè gli illeciti presentano comunque oggetto diverso.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è sovrapponibile alla terza doglianza dedotta nell’atto di impugnazione a firma avv. COGNOME sul punto si richiamano quindi le argomentazioni già spese nel paragrafo 1.2.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME è inammissibile.
3.1. Manifestamente infondati sono il primo ed il terzo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili in quanto correlati tra loro, con i quali si deduce violazione di legge in relazione all’art. 648 cod. pen. e vizio di motivazione.
La sentenza impugnata (pag.14) ha considerato e vagliato tutte le censure dedotte nell’atto di appello in punto di giudizio di responsabilità e le ha disattese con argomentazioni puntuali, aderenti alle risultanze processuali, prive di manifeste illogicità e conformi allo schema legale del reato di ricettazione con riferimento alla effettiva provenienza furtiva dei beni ricevuti dall’imputato che ne era pienamente consapevole.
La Corte territoriale ha richiamato le conversazioni intercettate relative a ciascuno dei due addebiti contestati (le cui integrali trascrizioni sono riportate nella sentenza di primo grado) evidenziando come tali dialoghi, valutati congiuntamente alle rilevazioni satellitari tramite GPS installato sulla vettura Hyundai Athos e alle celle telefoniche agganciate dagli apparecchi cellulari, davano conto della effettiva consegna da parte di COGNOME e COGNOME (autori materiali dei furti di auto oggetto delle imputazioni e già condannati in via definitiva) a Tramontana NOME, indicato con il soprannome di “Mimnno”, ma talvolta anche per cognome, di pezzi di auto specificamente indicati (2 cambi di trasmissione, 2 teste motori e 2 piantoni).
Pur non essendovi contezza in ordine al furto da cui provenivano tali pezzi di ricambio, ha osservato con valutazione in fatto – non sindacabile in questa sede in quanto scevra da manifeste illogicità – che la provenienza furtiva degli stessi e la piena consapevolezza di ciò in capo all’imputato era ricavabile da una serie di elementi precisi e concordanti tra loro con cui il ricorrente non si confronta. Al riguardo, ha valorizzato l’attività predatoria di auto messa in atto da Villa e COGNOME con successiva commercializzazione dei relativi pezzi di ricambio; la particolare cautela, emergente dal tenore delle conversazioni intercettate, con la quale i beni erano stati trasportati e consegnati (occultamento con una coperta), il fatto che in uno dei colloqui gli interlocutori avevano ritenuto imprudente recarsi a Monza con “quella roba là sotto”; la circostanza che Villa, COGNOME e COGNOME non avevano fornito alcuna spiegazione in ordine alla provenienza dei beni, l’ulteriore elemento rappresentato dal fatto che COGNOME e COGNOME non risultavano svolgere regolare attività di commercializzazione di pezzi di ricambio di auto.
Privo di rilievo è stato ritenuto il mancato rinvenimento fisico dei beni oggetto di imputazione nella disponibilità dell’imputato COGNOME atteso che la ricezione degli stessi si ricavava dalle conversazioni telefoniche intercettate.
La Corte di appello ha dunque correttamente tratto la prova dell’elemento soggettivo del reato da una serie di elementi sintomatici la cui coordinazione logica era tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede (tra i quali anche la mancanza di attendibile giustificazione circa il possesso dei beni oggetto di contestazione); altresì ha applicato il principio, già sopra ricordato, secondo cui è sufficiente che il delitto presupposto, quale essenziale elemento costitutivo della fattispecie di ricettazione, sia individuato nella sua tipologia, desumibile attraverso prove logiche ed anche dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso, non essendone necessaria la ricostruzione dello stesso in tutti i suoi estremi storicofattuali ( Sez. 2, n. 26902 del 31/5/2022, Visaggio, Rv. 283563; Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, Cremonese, Rv. 282629; Sez. 2, n. 46773 del 23/11/2021, COGNOME, Rv. 282433 – 02; Sez. 2, n. 29689 del 28/5/2019, COGNOME, Rv. 277020).
Inammissibile è poi la doglianza relativa alla mancanza di procedibilità del reato presupposto che nella specie si identifica nel delitto di furto.
Premesso che tale profilo non è stato dedotto con l’atto di appello e neppure rappresentato nel corso della celebrazione del giudizio di secondo grado avvenuta in data 19/12/2023 nella forma della trattazione orale, la mancanza di una condizione di procedibilità non incide sulla configurabilità del delitto presupposto ai fini della sussistenza del delitto di ricettazione in quanto essa rappresenta un elemento di carattere processuale e non sostanziale (Sez. 2, n. 33478 del 28/05/2010, COGNOME, Rv. 248248; Sez. 2, n. 38461 del 15/6/2018, Foggetti, non massimata; Sez 2, n. 29449 del 18/06/2019, Raso, Rv. 276668).
3.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce l’omessa motivazione in punto di diniego di circostanze attenuanti generiche.
La Corte di merito ha rilevato la mancanza di elementi di positiva valutazione da porre a fondamento della invocata diminuente e sottolineato l’irrilevanza a tali fini della condizione di incensuratezza (pag. 14 della sentenza impugnata), così implicitamente ritenendo del tutte neutre le circostanze evidenziate nell’atto di appello e del tutto generiche se si considera che esse si limitavano ad evocare, esclusivamente l’assenza di precedenti penali, oltre ad un non meglio circostanziato “buon contegno processuale”.
Va ribadito, come già sopra ricordato, che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125 per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610; Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, Ventimiglia, non mass.).
Al rigetto del ricorso proposto nell’interesse di NOME segue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali del presente giudizio.
Alla inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME segue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali del presente giudizio e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto da COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso presentato da COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende
Così deciso il giorno 11/09/2024.