Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7979 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7979 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/02/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 D.L. n. 137/20 e s. m.i.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 9/02/2023 che, su appello del pubblico ministero e, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Firenze, ha condanNOME l’imputato in ordine al delitto di ricettazione, con l’attenuante di cui al comma 4 dell’art. 648 cod. pen., prevalente sulla recidiva.
1.1. Con il primo motivo, la difesa deduce la mancata osservanza dei principi affermati dalla sentenza Corte EDU 8 luglio 2021, Maestri c. Italia, in osservanza dei quali la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre l’esame dell’imputato. A nulla valeva che l’imputato fosse stato citato per l’appello e presente in udienza, in quanto nei suoi confronti non vi è stata alcuna citazione specifica con l’indicazione dell’incombente da svolgere.
1.2. Con il secondo motivo deduce la manifesta illogicità della motivazione a sostegno dell’affermata responsabilità con particolare riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, con requisitoria del 27/12/2023, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La presenza dell’imputato in udienza con l’assistenza tecnica esclude la paventata violazione di legge ricavata dai principi affermati dalla Corte EDU in materia, in quanto si sarebbe comunque al cospetto di una nullità non dedotta tempestivamente, in quanto verificatasi al cospetto e in presenza della parte. Competeva, pertanto, alla difesa, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. dedurre la nullità, menzionando l’eccezione a verbale di udienza. Invece, la difesa, rassegnando le conclusioni senza nulla osservare, ha dimostrato assenza di interesse ad eccepirla.
Peraltro, per quanto attiene alla dedotta violazione di legge per mancata osservanza dei principi affermati dalla Corte Edu nella sentenza Maestri C. Italia, la Corte di legittimità ha precisato che “in tema di rinnovazione della prova dichiarativa, la necessità di assumere l’esame dell’imputato in caso di riforma della sentenza assolutoria rientra in quella, più generale, di rinnovazione della prova dichiarativa di natura decisiva, sicché la stessa non sussiste ove, nel corso del giudizio di primo grado, sia mancata l’assunzione delle dichiarazioni dell’imputato
o la valutazione probatoria da parte dei giudici dei due gradi di merito sia stata incentrata su risultanze istruttorie diverse rispetto a tale atto, non oggetto di esame alcuno. (In motivazione la Corte, con riferimento alla sentenza della Corte EDU Maestri contro Italia, ha peraltro ribadito, alla stregua dei criteri di Corte Cost. n. 49 del 2015, che le decisioni della Corte europea possono assumere valenza generale vincolante solo rispetto a vicende analoghe e sempre che siano espressione di un orientamento definitivo)” (Sez. 6, Sentenza n. 27163 del 05/05/2022).
Nel caso di specie, la decisione è stata fondata non già sulle affermazioni dell’imputato, ma su diverse evidenze probatorie, adeguatamente e approfonditamente motivate dalla Corte di merito in assenza di errori giuridici, sia con riguardo alle circostanze fattuali, che con riguardo all’elemento psicologico.
2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo della ricettazione – configurabile anche nella forma del dolo eventuale (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, COGNOME, Rv. 246324 -01) – il giudice del merito ha fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte di legittimità in materia, secondo cui la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, COGNOME, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, COGNOME, Rv. 248265).
La disponibilità di beni di provenienza furtiva che non trovi alcuna giustificazione né nelle emergenze processuali, né nelle eventuali allegazioni dell’imputato è sufficiente ad integrare la prova dell’elemento oggettivo del reato di ricettazione. L’orientamento condiviso non produce un’anomala inversione dell’onere della prova, né incide il diritto al silenzio dell’imputato. Si tratta, invec della presa d’atto della impossibilità di provare la sottrazione in assenza di elementi che giustifichino l’inquadramento della detenzione come esito diretto del furto, piuttosto che come quello della ricezione di cose illecite. L’evidenza della detenzione per essere ridotta ad elemento di prova del reato di furto deve essere, infatti accompagnata dalla esistenza di ulteriori elementi indicativi della “immediata” (nel senso letterale di “non mediata”) riconducibilità della detenzione al furto. Tra tali elementi possono essere ricomprese anche le eventuali indicazioni provenienti dall’imputato (Sez. 2, n. 43427 del 07/09/2016, Ancona, Rv. 267969 – 01).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 25/01/2024