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Ricettazione prodotti contraffatti: la Cassazione decide

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un commerciante all’ingrosso condannato per ricettazione di prodotti contraffatti e frode in commercio. La Corte ha stabilito che la professionalità dell’imputato e la vendita fuori dai canali ufficiali sono prove sufficienti a dimostrare la consapevolezza (dolo) della provenienza illecita della merce, anche in presenza di fatture. Confermata anche la frode per l’uso del marchio “CE” (China Export) ingannevole.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricettazione Prodotti Contraffatti: la Responsabilità del Grossista

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45594 del 2024, ha affrontato un caso di ricettazione prodotti contraffatti, fornendo chiarimenti cruciali sulla responsabilità penale dei commercianti all’ingrosso. La pronuncia sottolinea come la professionalità dell’operatore economico imponga un dovere di diligenza superiore, rendendo difficile invocare la buona fede di fronte a merce palesemente illegale, anche in presenza di fatture d’acquisto.

I Fatti del Caso

Un commerciante all’ingrosso di materiale per la telefonia ed elettrico è stato condannato in primo e secondo grado per una serie di reati, tra cui ricettazione, tentata frode in commercio e vendita di prodotti con segni mendaci. Nel suo magazzino erano stati sequestrati oltre 24.000 articoli, di cui quasi 4.000 recavano marchi contraffatti di una nota azienda del settore. Inoltre, molti prodotti erano privi del marchio CE (Comunità Europea) o presentavano un marchio CE ingannevole, riconducibile all’acronimo “China Export”.

Il Ricorso in Cassazione: le Doglianze della Difesa

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Errata applicazione della legge penale in materia di ricettazione (art. 648 c.p.): Secondo il ricorrente, mancava la prova della consapevolezza (dolo) circa la provenienza illecita dei beni. A supporto di tale tesi, erano state prodotte fatture di acquisto da un’altra società del settore. Inoltre, si sosteneva che i prodotti, essendo standardizzati, fossero difficilmente distinguibili dagli originali.
2. Violazione della normativa sul marchio CE: La difesa contestava le accuse di frode in commercio (artt. 515 e 517 c.p.), affermando che la presunta contraffazione del marchio CE era superata dal deposito di dichiarazioni di conformità UE, che avrebbero assolto ogni onere a carico dell’importatore.

La Decisione della Suprema Corte sulla ricettazione di prodotti contraffatti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la condanna. I giudici hanno ritenuto le argomentazioni della difesa manifestamente infondate, consolidando principi importanti in materia di ricettazione prodotti contraffatti.

L’Elemento Soggettivo nella Ricettazione

La Corte ha ribadito che, per configurare il reato di ricettazione, la prova del dolo (la consapevolezza dell’origine illecita della merce) può essere desunta da una serie di elementi logici e fattuali. Nel caso di specie, diversi indizi inchiodavano l’imputato:
* La professionalità del soggetto: In quanto commerciante all’ingrosso specializzato nel settore, l’imputato possedeva le competenze per distinguere un prodotto autentico da uno contraffatto. La scusa della “somiglianza” non regge per un operatore qualificato, a differenza di quanto potrebbe accadere per un consumatore medio.
* Canali di acquisto anomali: I prodotti originali del marchio in questione sono distribuiti attraverso una rete di rivenditori autorizzati. L’acquisto da un fornitore “non meglio identificato” e al di fuori dei canali ufficiali avrebbe dovuto insospettire l’imputato, imponendogli controlli più approfonditi sulla legittimità della merce.
* Mancanza di documentazione: Al momento del controllo, l’imputato non era stato in grado di esibire alcuna documentazione che comprovasse l’autenticità dei prodotti, un’ulteriore conferma della sua consapevolezza.

La Frode Legata al Marchio CE

La Cassazione ha anche fatto chiarezza sulla questione del marchio CE. I giudici hanno spiegato che l’apposizione di un marchio “CE” che in realtà significa “China Export” è un atto ingannevole che integra il reato di tentata frode in commercio. Questo perché il marchio CE europeo non è un semplice logo, ma una garanzia di conformità a precisi standard di sicurezza e qualità previsti dall’Unione Europea. Ingannare il consumatore su questo punto lede il leale esercizio del commercio. La semplice detenzione di prodotti con marchio falso o assente è di per sé un elemento costitutivo del reato, specialmente per un operatore che non poteva non essere a conoscenza dell’irregolarità.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sul principio che l’elemento psicologico del reato, pur essendo un moto interiore, si manifesta attraverso elementi esteriori e sintomatici della condotta. Nel caso in esame, la combinazione tra la qualifica professionale dell’imputato, le modalità di acquisto della merce e l’assenza di prove di autenticità al momento del controllo ha creato un quadro accusatorio solido e coerente. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente valorizzato il fatto che un commerciante all’ingrosso non può essere equiparato a un “consumatore medio”, ma è tenuto a un obbligo di verifica e diligenza molto più stringente. La Corte ha concluso che derubricare il fatto a un semplice incauto acquisto (art. 712 c.p.) sarebbe stato impossibile, data la mole di prove che deponevano per la piena consapevolezza dell’illecito.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli operatori commerciali, in particolare per grossisti e importatori. La Corte di Cassazione ha chiarito che nascondersi dietro una fattura d’acquisto non è sufficiente a escludere la responsabilità per la ricettazione di prodotti contraffatti. La professionalità impone un dovere di controllo sull’origine e l’autenticità della merce. Acquistare prodotti da canali non ufficiali, a prezzi sospetti o da fornitori di dubbia affidabilità, costituisce un comportamento che, agli occhi della legge, equivale ad accettare il rischio di commettere un reato, integrando pienamente l’elemento soggettivo richiesto per la condanna.

Possedere una fattura di acquisto esclude il reato di ricettazione di prodotti contraffatti?
No. Secondo la Corte, la sola fattura non è sufficiente a dimostrare la buona fede, specialmente per un operatore commerciale qualificato. La consapevolezza della provenienza illecita può essere desunta da altri elementi, come l’acquisto fuori dai canali di distribuzione ufficiali e la professionalità dell’acquirente.

Qual è la differenza rilevante tra il marchio CE (Comunità Europea) e quello CE (China Export) in questo contesto?
Il marchio CE (Comunità Europea) certifica che il prodotto rispetta gli standard di sicurezza e qualità dell’Unione Europea. Il marchio CE (China Export), essendo graficamente molto simile, è considerato ingannevole e la sua apposizione su prodotti destinati al mercato UE integra il reato di frode in commercio, in quanto trae in inganno il consumatore sulla conformità del bene.

Perché un commerciante all’ingrosso viene giudicato più severamente di un consumatore medio?
Perché la sua qualifica professionale gli impone un dovere di diligenza e conoscenza del mercato superiore. A differenza di un consumatore medio, che può essere più facilmente ingannato dalla somiglianza estetica, un grossista del settore è tenuto a conoscere i canali di distribuzione ufficiali e a verificare l’autenticità dei prodotti che acquista e rivende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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