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Ricettazione prodotti contraffatti: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per ricettazione prodotti contraffatti a carico di due imprenditori. La sentenza stabilisce che la consapevolezza dell’origine illecita dei beni è sufficiente per la condanna, anche senza la prova di un coinvolgimento diretto nella contraffazione. Tale consapevolezza è stata dedotta da precedenti rapporti con il fornitore e da prezzi di acquisto anomali, rendendo irrilevante l’apparente regolarità delle operazioni di importazione.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricettazione Prodotti Contraffatti: Quando la Consapevolezza Basta per la Condanna

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 1980 del 2024, offre un’importante analisi sul reato di ricettazione prodotti contraffatti. Il caso riguarda due imprenditori condannati per aver importato e commercializzato telecomandi con marchi falsificati. La decisione della Suprema Corte chiarisce i confini della responsabilità penale, sottolineando come la piena consapevolezza dell’origine illecita dei beni sia un elemento cruciale, anche in assenza di una partecipazione diretta alla loro falsificazione.

I Fatti del Processo

Due soci, amministratori di due distinte società operanti nel settore dell’elettronica, sono stati condannati in primo grado e in appello per i reati di cui agli articoli 474 (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) e 648 (Ricettazione) del codice penale. L’accusa era di aver acquistato da un fornitore cinese una grande quantità di telecomandi che riproducevano illecitamente i marchi di una nota azienda italiana, per poi commercializzarli in Italia.

La difesa degli imputati ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Errata applicazione della legge, sostenendo che gli imputati fossero i committenti della contraffazione e non meri ricettatori.
2. Violazione delle norme processuali per l’utilizzo di documentazione proveniente da una causa civile in Cina, a loro dire mai formalmente acquisita.
3. Mancanza di motivazione riguardo al coinvolgimento di uno dei due soci.
4. Assenza dell’elemento soggettivo del reato, data la presunta buona fede dimostrata dalla regolarità delle procedure di importazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando integralmente la sentenza di condanna della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ritenuto infondate le censure della difesa, fornendo una motivazione chiara su ogni punto sollevato e consolidando principi importanti in materia di ricettazione prodotti contraffatti.

Le Motivazioni: la Consapevolezza nella Ricettazione Prodotti Contraffatti

La parte centrale della sentenza riguarda la definizione della responsabilità per ricettazione. Vediamo come la Corte ha smontato le argomentazioni difensive.

La Consapevolezza Prevale sulla Prova del Concorso

Il primo motivo di ricorso si basava su una sottile distinzione tecnica: se gli imputati avessero commissionato la contraffazione, non avrebbero potuto essere condannati per ricettazione, per via della ‘clausola di riserva’ dell’art. 648 c.p. La Corte ha chiarito che, ai fini della condanna per ricettazione, non è necessario che l’accusa dimostri che l’imputato non ha partecipato al reato presupposto. È sufficiente che non emergano prove inequivocabili del suo concorso. Nel caso specifico, anche se in passato gli imputati avevano richiesto al fornitore cinese di produrre merce contraffatta, non vi era prova che lo avessero fatto anche per la specifica partita di merce oggetto del processo. La loro consapevolezza dell’origine illecita era però palese, e questo basta a integrare il reato di ricettazione.

La Prova dell’Elemento Soggettivo

La difesa ha tentato di sostenere la buona fede degli imputati, evidenziando la trasparenza delle operazioni commerciali (pagamenti tracciabili, importazione regolare). La Corte ha respinto questa tesi, qualificandola come priva di attendibilità. La consapevolezza dell’illecito, e quindi il dolo di ricettazione, è stata desunta da due elementi oggettivi:
1. La conoscenza delle dinamiche di mercato: gli imputati sapevano che l’azienda italiana titolare del marchio non aveva distributori ufficiali in Cina.
2. Il prezzo di acquisto: il costo dei prodotti era irrisorio rispetto ai prezzi praticati sul mercato europeo, un segnale inequivocabile della loro natura contraffatta.

Di fronte a questi dati, l’apparente regolarità formale dell’importazione perde ogni valore probatorio a favore della difesa.

Il Coinvolgimento del Socio

Infine, la Corte ha respinto la tesi dell’estraneità di uno dei due soci. Sebbene non fosse il formale acquirente, il suo ruolo di amministratore in una delle società e di socio e vicepresidente nell’altra, unito al ritrovamento di una parte della merce contraffatta presso la sua azienda, ha dimostrato una “consolidata cointeressenza” nell’intera operazione illecita. Secondo la Corte, egli ha fornito un contributo consapevole, assicurando un importante canale di commercializzazione per i prodotti e rafforzando così il proposito criminoso del socio.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: nel reato di ricettazione prodotti contraffatti, la prova della colpevolezza non risiede nella regolarità formale delle transazioni commerciali, ma nella sostanza della consapevolezza dell’imputato. Ignorare deliberatamente segnali evidenti come prezzi fuori mercato o canali di approvvigionamento anomali non costituisce buona fede, ma integra pienamente il dolo richiesto per la condanna. Per gli operatori commerciali, questo significa che l’onere di diligenza nella verifica dell’origine della merce è altissimo, e chiudere un occhio di fronte a un ‘affare’ troppo vantaggioso può avere gravi conseguenze penali.

Per essere condannati per ricettazione, è necessario che la Procura dimostri che l’imputato non ha partecipato al reato di contraffazione?
No, non è necessaria una prova positiva. Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, è sufficiente che non emerga la prova del contrario, ovvero che non ci siano elementi che dimostrino un concorso certo dell’imputato nel reato presupposto (la contraffazione).

Come può essere provata la consapevolezza dell’origine illecita dei prodotti contraffatti?
La consapevolezza può essere desunta da vari elementi oggettivi, come la conoscenza delle regole di distribuzione commerciale del prodotto originale (ad esempio, l’assenza di distributori in un dato paese), e da prezzi di acquisto irrisori e palesemente ‘fuori mercato’ rispetto a quelli ufficiali. Questi indizi possono superare l’apparente regolarità delle operazioni di importazione.

Il semplice fatto di essere socio o amministratore di una società che acquista merce contraffatta è sufficiente per una condanna?
Non automaticamente, ma può esserlo se inserito in un quadro probatorio che dimostri un contributo consapevole al reato. Nella sentenza, il ruolo dirigenziale, la stretta interconnessione tra le società coinvolte e la comune disponibilità dei prodotti illeciti sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare una ‘consolidata cointeressenza’ nell’attività criminosa, fondando così la responsabilità penale anche per chi non ha materialmente condotto l’operazione di acquisto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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