Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1980 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1980 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a FAENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/11/2022 della Corte d’appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse delle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi, depositando nota spese;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse dei ricorrenti, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene ritenute di giustizia, e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, pronunciata dal Tribunale di Ravenna in data 28
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settembre 2021, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in ordine ai delitti di cui agli artt. 648 e 474 cod. pen. aventi ad oggetto l’acquisto all’estero, per la commercializzazione in RAGIONE_SOCIALE, di telecomandi contraffatti nei segni distintivi (oltre che nella realizzazione dei dispositivi).
Ha proposto ricorso la comune difesa degli imputati deducendo, con il primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 474 e 648 cod. pen., 125 cod. proc. pen.; la Corte d’appello aveva confermato il giudizio di responsabilità, in violazione della clausola di riserva contenuta nelle norme incriminatrici, senza peraltro confutare e superare l’accertamento del giudice di primo grado in ordine alla dimostrata qualità dei ricorrenti, quali committenti della contraffazione degli oggetti, realizzati all’estero e poi importati e commercializzati dagli stessi ricorrenti.
La Corte, utilizzando il materiale documentale riguardante la causa civile pendente in Cina tra l’azienda italiana produttrice dei telecomandi originali e la società da cui gli imputati avevano acquistato i telecomandi, frutto delle attività di contraffazione, aveva così inteso dimostrare il collegamento operativo tra gli imputati nelle condotte contestate e la consapevolezza degli stessi circa la contraffazione realizzata all’estero; aveva però fondato, sulla differenza temporale e quantitativa della contraffazione (quella oggetto della causa civile, relativa ad un’operazione conclusa il 9 maggio 2017 riguardante 3000 telecomandi; quelle oggetto del processo penale riguardanti gli acquisti avvenuti in data 24 maggio 2017 e 8 settembre 2017, di 18.000 telecomandi di modelli diversi) l’esclusione della violazione della clausola di riserva, con argomenti illogici e arbitrari.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale e di norme processuali, nonché vizio di motivazione in ordine all’utilizzazione di documentazione (relativa alla causa civile pendente in Cina) mai acquisita agli atti del giudizio, con violazione dei diritti di difesa; la sentenza aveva, inoltre, travisat il contenuto degli atti processuali (il verbale di udienza del 22 aprile 2021) da cui emergeva l’assenza di qualsivoglia provvedimento che avesse disposto l’acquisizione di quei documenti.
2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di norme penali e processuali, in relazione agli artt. 110, 474 e 648 cod. pen., attesa la carenza assoluta di motivazione in relazione alla posizione dell’imputato COGNOME e alle modalità attraverso le quali si sarebbe realizzato il suo contributo (non definito se in termini di concorso materiale o morale) nella commissione dei fatti di reato, specie alla luce delle specifiche dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME circa l’estraneità del COGNOME rispetto alle specifiche operazioni commerciali oggetto di contestazione.
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2.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di norme penali e processuali, in relazione agli artt. 474 e 648 cod. pen.; 530, 533 e 125 cod. proc. pen. in ordine all’accertamento dell’elemento soggettivo dei reati contestati e, in particolare, della consapevolezza della contraffazione, a fronte di una pluralità di circostanze obiettive inerenti le modalità delle operazioni commerciali, senza alcuna condotta volta ad occultare le caratteristiche dei prodotti, e le pratiche seguite in fase di importazione, dimostrative della buona fede degli interessati; circostanze che sono state allegate, secondo le regole dell’onere probatorio in materia, proprio dagli imputati che hanno così fornito prova della provenienza, apparentemente legittima, dei prodotti acquistati e poi commercializzati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono entrambi infondati.
1.1. Il primo motivo di ricorso ripropone la censura sollevata già con l’atto di appello riguardante l’ipotizzata qualità degli imputati, committenti della contraffazione dei telecomandi oggetto delle imputazioni del presente processo, ritenendo che la motivazione fornita dalla Corte territoriale per superare la censura presenti caratteri di evidente illogicità.
Al contrario, gli argomenti utilizzati dalla sentenza impugnata risultano del tutto coerenti con la ricostruzione fattuale desunta dai documenti processuali e giuridicamente corretti (così dovendosi escludere la lamentata violazione di legge relativa all’errata applicazione della clausola di riserva ex art. 648 cod. pen.). La sentenza ha messo in rilievo come la consapevolezza dei ricorrenti di potere acquistare dall’azienda fornitrice operante in Cina dispositivi riproducenti i segni distintivi della società RAGIONE_SOCIALE, in violazione dei diritti di proprietà industri (per avere in una precedente occasione – provata documentalmente dagli atti della causa civile pendente tra la RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE – richiesto di procedere alla contraffazione di quei dispositivi), non possa equipararsi alla prova del concorso dei ricorrenti in quella specifica attività di contraffazione, che aveva ad oggetto sia dispositivi con altre caratteristiche, sia operazioni commerciali realizzate in altra epoca, diversa dalla prima. Va ricordato infatti che ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione non occorre la prova positiva che l’imputato non sia stato concorrente nel delitto presupposto, essendo sufficiente che non emerga la prova del contrario (Sez. 2, n. 4434 del 24/11/2021, dep. 2022, Desideri, Rv. 282955 – 01); e nella concreta situazione processuale, la Corte d’appello ha osservato che – con specifico riguardo alla ricezione dei dispositivi indicati nei capi d’imputazione – non v’erano elementi di prova dimostrativi che anche per essi, come per il passato, la contraffazione fosse stata commissionata dagli odierni ricorrenti,
restando irrilevante a tal fine la mera consapevolezza della capacità del fornitore estero di procedere alla contraffazione dei segni distintivi e dei prodotti da acquistare.
1.2. Il secondo motivo è aspecifico e, conseguentemente, manifestamente infondato; rispetto alla puntuale indicazione fornita dalla sentenza impugnata (pag. 11), mediante il richiamo del testo del verbale d’udienza, circa la documentazione negli atti processuali della rituale acquisizione agli atti utilizzabili ai fini della decisione dei documenti prodotti dalla parte civile, relativi al giudizi civile pendente tra la RAGIONE_SOCIALE e il fornitore RAGIONE_SOCIALE, i ricorrenti deducono un presunto travisamento del contenuto del verbale stenotipico, senza peraltro allegarlo al ricorso, così impedendo alla Corte di apprezzare l’eventuale fondatezza della censura.
1.3. Il terzo motivo è infondato. Il dato formale esaltato dalla difesa, derivante dall’esclusione del COGNOME dalle operazioni commerciali di importazione di prodotti contraffatti secondo le dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME, è stato valutato dalla sentenza impugnata e superato attraverso una valutazione complessiva (pagg. 10-12) dei rapporti esistenti tra gli imputati (il COGNOME quale amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE, che per prima aveva commissionato la produzione dei telecomandi contraffatti all’azienda fornitrice RAGIONE_SOCIALE, nonché socio e vice presidente della società RAGIONE_SOCIALE, che acquistò i dispositivi oggetto delle attuali contestazioni; il COGNOME presidente della RAGIONE_SOCIALE ma, allo stesso tempo, riconosciuto dal fornitore come il soggetto cui fatturare la fornitura richiesta dalla società RAGIONE_SOCIALE), della successione degli eventi, della comune disponibilità, in capo ad entrambe le società, dei prodotti acquistati all’estero dall’una o dall’altra società; da questi elementi la sentenza ha desunto, senza rilevabili vizi logici, una consolidata cointeressenza nelle attività di importazione dei dispositivi contraffatti (attestata ulteriormente dal ritrovamento presso l’azienda RAGIONE_SOCIALE di un considerevole quantitativo di quei dispositivi, ceduti ad un prezzo definito dalla sentenza “fuori mercato”) che dimostra il concorso del COGNOME nell’aver assicurato al COGNOME, che risultava il formale acquirente, un importante canale di commercializzazione di quei prodotti, così rafforzando l’altrui proposto criminoso (né è censurabile in sede di legittimità la mancata indicazione del ruolo specifico svolto da ciascun concorrente nell’ambito dell’impresa criminosa, «essendo sufficiente l’indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali ha fondato il libero convincimento dell’esistenza di un consapevole e volontario contributo, morale o materiale, dato dall’agente alla realizzazione del reato»: Sez. 2, n. 48029 del 20/10/2016, Siesto, Rv. 268177 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.4. Il quarto motivo è anch’esso infondato.
La difesa ritiene che gli imputati, documentando la regolarità delle operazioni commerciali di importazione (eseguite attraverso canali ordinari per l’importazione, con tracciabilità dei pagamenti effettuati e con assolvimento delle imposte doganali), avessero assolto all’onere di fornire giustificazione circa l’origine dei beni ritenuti di provenienza delittuosa; il che escludeva il ricorrere del necessario elemento soggettivo del delitto di ricettazione (così come della detenzione finalizzata alla messa in vendita di prodotti risultati contraffatti) che la sentenza avrebbe dovuto dimostrare ancorando il dato ad un momento precedente rispetto all’operazione di acquisto e non, come invece risultava dalla motivazione, a eventi successivi (la reazione del COGNOME che, appreso della contraffazione, aveva sollecitato uno dei suoi dipendenti a disfarsi dei prodotti detenuti).
Ciò che si trascura è il carattere imprescindibile che l’indicazione sulla provenienza del bene deve possedere, ossia quello dell’attendibilità dell’indicazione stessa (Sez. 3, n. 40385 del 05/07/2019, COGNOME, Rv. 276935 01; Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 270120 – 01; Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 – 01); attendibilità che la Corte territoriale ha escluso motivatamente, non solo richiamando l’episodio ricordato dai ricorrenti, ma rappresentando i dati della pacifica conoscenza, da parte di entrambi gli imputati, delle regole selettive di distribuzione commerciale dei prodotti acquistati (realizzati da un’azienda italiana, che non aveva alcun distributore in Cina) e dei prezzi praticati sui mercati europei, del tutto diversi da quelli irrisori richiesti d fornitore.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; inoltre, gli imputati vanno condannati al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro quattromilacinquecento, oltre accessori di legge.
Così deciso il 10/11/2023