Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21489 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21489 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in TURCHIA il 01/07/1983 avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di BARI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette la memoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli articoli 610 co. 5 e 611 co. 1 bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, la Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Trani del 2 luglio 2020, con cui l’imputato era stato condannato per la ricettazione (a fronte di una contestazione iniziale di riciclaggio) di cinque motori ed altri pezzi di motore (9 collettori e 2 turbine) di provenienza illecita, delimitava l’affermazione di responsabilità al possesso di tre tra i detti motori, mandando assolto NOME COGNOME per la residua imputazione, concedendo l’attenuante dell’ipotesi lieve di ricettazione, ritenuta equivalente alla recidiva, e riducendo conseguentemente la pena finale.
Con il ricorso per cassazione, la difesa dell’imputato ha formulato due motivi, entrambi incentrati sul vizio motivazionale (art. 606, lett. e, cod. proc. pen.).
2.1 Con il primo motivo, si deduce la triade dei vizi motivazionali (mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità) in relazione all’affermazione di responsabilità, tanto in relazione al ruolo assunto nella vicenda dal Senses (che era semplice trasportato sul mezzo nel quale si trovavano i pezzi meccanici) quanto alla sua consapevolezza della origine furtiva dei motori, con conseguente esclusione dell’elemento doloso ed, eventualmente, derubricazione del reato nella contravvenzione prevista dall’art. 712 cod. pen..
2.2 Con il secondo motivo si contesta la illogicità della dosimetria sanzionatoria, posto che la riqualificazione del fatto, e la riduzione del perimetro della responsabilità, ha portato solamente al bilanciamento tra le circostanze, ma non alla riduzione della pena base.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato per la genericità del primo motivo e per l’infondatezza del secondo.
Il primo motivo, come detto, è generico. Ciò dipende, in essenza, dalla sua ripetitività, trattando di argomenti attinenti alla affermazione di responsabilità, che erano già stati affrontati nei gradi di merito del giudizio, ove avevano ricevuto risposte del tutto adeguate.
Va infatti considerato che si è in presenza di una c.d. “doppia conforme” in punto di affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il reato ascrittogli, seppure per un numero inferiore di beni ricettati, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell’adozione – da parte di entrambe le sentenze – dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). In particolare, le due sentenze valorizzano non solo e non tanto la pur incontestata presenza dell’imputato (come passeggero) nel furgone utilizzato per trasportare i motori e gli accessori, quanto la circostanza, ritenuta saliente perché indicativa dell’interesse diretto del Senses, della titolarità del mezzo in capo alla società di cui l’imputato è amministratore, società che commercia all’ingrosso pezzi di ricambio per autoveicoli. In altre
parole, è stata congruamente dedotta, in via circostanziale, la natura professionale del trasporto. Si tratta di una valutazione del tutto immune da contraddizione e, soprattutto, da manifesta illogicità perché collega l’azione (trasporto di motori riciclati) alla sua causa (la ragione sociale della società diretta dall’imputato).
Pertanto, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito, in conformità alla sentenza di primo grado, una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta. Ed è quindi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi ripetitivi dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009 Arnone Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 COGNOME Rv. 255568 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01).
Il secondo motivo è infondato per una serie di ragioni, che si vanno ad illustrare.
3.1 Innanzi tutto, esso lamenta un vizio di motivazione laddove, se mai, dovrebbe farsi questione di violazione di legge (art. 606, lett. c, in relazione all’art. 597 cod. proc. pen.).
3.2 In secondo luogo, a dispetto di quanto dedotto dalla difesa, la mancata riduzione della pena base nonostante la riduzione del compendio dei beni ricettati, non causa la reformatio in peius della condanna.
Occorre, infatti, osservare che la condotta di ricettazione è stata contestata come unitaria, che il giudice non è giunto ad “irrogare una pena più grave per specie o quantità” (ciò che è il nucleo del divieto previsto dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., nel caso di impugnazione da parte del solo imputato), e che i parametri prescelti dal giudice per la determinazione della pena hanno fatto riferimento alla tipologia (piuttosto che al numero) di motori ricettati oltre ad ulteriori profili di gravità del fatto, quali (i) la personalità dell’imputato, (ii) il suo ruolo apicale ricoperto nella società e nella vicenda, tale evidentemente da coinvolgere altri nella commissione del reato, (iii) nonché le risultanze del casellario.
Si tratta di un giudizio fondato su un corretto esercizio delle prerogative del giudice di merito nella determinazione della pena (art. 133 cod. pen.), immune da illogicità manifesta, nemmeno indicata nel motivo e pertanto non sindacabile in questa sede.
3.2 Infine, nemmeno il riconoscimento dell’ipotesi di particolare tenuità (art. 648, quarto comma, cod. pen.) della ricettazione imponeva la riduzione della pena base.
In relazione a tale aspetto (mancata riduzione della pena base, a dispetto della riqualificazione in me/ius con il riconoscimento dell’attenuante), occorre sottolineare che l’art. 597, comma 4, cod. proc. pen. richiede solamente che venga assicurata, in tali casi, la riduzione della pena complessiva (“in ogni caso, se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze … concorrenti … la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita), lasciando quindi alla discrezionalità del giudice di merito, la scelta della modalità concreta perché ciò avvenga, in considerazione delle ragioni del caso concreto. Il divieto della reformatio in peius riguarda, infatti, soltanto il risultato finale dell’operazione di computo della pena e non anche i criteri di determinazione della medesima e i relativi calcoli di pena base o intermedi (Sez. 3, n. 43288 del 24/3/2010, COGNOME, Rv. 247739 – 01).
La Corte ha considerato la circostanza attenuante ai fini del bilanciamento con la aggravante costituita dalla recidiva, che è stata giudicata equivalente, così assicurando ‘l’impatto’ sulla pena complessiva della attenuante riconosciuta e, per questa via, il rispetto del disposto normativo.
Ciò è, d’altra parte, in linea con la giurisprudenza di legittimità che, in casi consimili di riqualificazione in mitius del reato, affinché sia rispettato il principio del divieto di reformatio in peius, ha affermato che l’unico limite vada ricercato nella pena già irrogata per la differente fattispecie più grave: in tal caso il giudice del gravame è chiamato, infatti, ad operare una nuova ed autonoma valutazione in forza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., alla stregua di un mutamento degli elementi qualificatori del fatto, purché venga irrogata una sanzione in concreto non superiore a quella inflitta dal giudice di primo grado (Sez. U, n. 16208 del 27/3/2014, C, Rv. 258653; Sez. 2, n. 43288 del 1/10/2015, COGNOME, Rv. 264781).
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 aprile 2025
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Il Consigliere relatore
Il Presidente