Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34630 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34630 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME NOME, n. a Torino, il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 18/10/2023 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte rassegnate dal Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte trasmesse a mezzo p.e.c. dal procuratore speciale, AVV_NOTAIO, della costituita parte civile “RAGIONE_SOCIALE“, che ha chiesto il rigetto del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato e la condanna dello stesso alla rifusione delle spese legale sostenute nel grado, da liquidarsi come da nota spese allegata alle conclusioni;
lette le conclusioni scritte trasmesse dal difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con il provvedimento impugnato, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado, dichiarava estinto il reato descritto al capo B (art. 194, comma 1, lett. b, d.lgs. 42 del 2004, TU BBCCAA) per intervenuta prescrizione, rideterminava la pena per il delitto di ricettazione descritto al capo A (i quadri di origine contraffatta nell’autenticazione della loro provenienza da artisti stimati e catalogati) e dimezzava l’entità del risarcimento del danno liquidato in primo grado in riferimento al fatto illecito di matrice penale sub B, oltre la condanna al pagamento delle spese processuali.
Fatti commessi in Rivoli, l’11 giugno 2015.
Avverso tale sentenza ricorre l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione le argomentazioni in appresso enunciate, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari alla motivazione:
1. vizio di motivazione per mancanza (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) non avendo la Corte argomentato in ordine al danno aquiliano concretamente subito dalla parte civile costituita, per effetto della condotta tenuta dall’imputato che neppure tentava di mettere in vendita l’opera ritenuta non genuina.
2. violazione della legge penale sostanziale (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.), atteso che l’istruttoria condotta in primo grado non ha consentito di ritenere raggiunta la prova della natura contraffatta dei dipinti custoditi, men che meno della consapevolezza della natura contraffatta di tali opere; il vizio dedotto avvince anche la corretta individuazione dell’elemento psicologico atto a differenziare il delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) dalla contravvenzione di incauto acquisto (art. 712 cod. pen.), non avendo la Corte tenuto conto della assoluta carenza di elementi concreti atti ad identificare l’elemento psicologico caratterizzante la ricettazione, ancorché nella forma eventuale (piena consapevolezza della provenienza da delitto delle cose ricevute o acquisto concluso rappresentandosi tale eventualità ed accettandone il rischio pur di conseguire il possesso della res), giacché la condotta di acquisto dei dipinti si è realizzata al più nel dubbio sulla genuinità delle opere; dubbio che determinò gli imputati a chiedere un expertice proprio ai rappresentanti della fondazione che cura l’immagine dell’autore; fondazione che oggi si è costituita parte civile;
3. I medesimi vizi (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.) il ricorrente deduce in relazione alla giuridica incompatibilità tra la condotta tipica del reato “produttore” o “presupposto”, ovvero la contraffazione dei dipinti e quello di ricettazione, la cui clausola di apertura esclude che chi ha concorso a realizzare il reato che crea il prodotto illecito possa poi rispondere anche del delitto che da quella produzione illecita trae origine e ratio incriminatrice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Imotivi di ricorso sono-tutti meramente reiterativi delle doglianze proposte con i motivi di gravame spesi nel merito, né si confrontano con la diffusa e puntuale motivazione spesa, sui punti dedotti, dalla Corte di merito, così scivolando verso la genericità estrinseca dei motivi per difetto di specificità degli stessi.
1. Nella duplice valutazione conforme di merito è rimasto accertato (ancorché ai soli fini delle restituzioni e del risarcimento) che la condotta tenuta dall’imputato in concorso era finalizzata a commercializzare le opere d’autore contraffatte nella realizzazione e nella indicazione autentica della loro provenienza da artisti apprezzati sul mercato dell’arte. L’accertamento in fatto delle condotte, risultato della duplice conformità verticale delle decisioni di merito non è sindacabile in questa sede, non essendo neppure dedotto un manifesto travisamento della prova (peraltro plurale e convergente). Corretta pertanto, nell’an e nel quantum, la decisione della Corte sul capo riguardante il risarcimento del danno morale patito dalla parte civile, che avrebbe visto sminuire l’opera artistica del pittore promosso e sostenuto dalla fondazione.
1.1. Tale danno deriva -altrettanto certamente- dalla commissione di un illecito aquiliano, la cui condotta è ancor oggi qualificata come reato, ancorché sia oggi diversamente “nominato” il tipo oggetto della precedente incriminazione. La legge 9 marzo 2022 n. 22, recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, ha infatti introdotto nel codice penale, in funzione di una piena valorizzazione del bene culturale quale oggettività giuridica autonoma, un inedito titolo (VIII-bis) in cui ha inserito diverse incriminazioni: 1) alcune di nuovo conio, 2) altre già previste dallo stesso codice penale in fattispecie comuni per l’ipotesi in cui la condotta illecita avesse a oggetto beni culturali, 3) altre ancora corrispondenti alle figure delittuose fino ad allora collocate nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. In particolare, il nuovo impianto repressivo tutela il patrimonio storico-artistico come valore in sé, lo protegge in quanto tale, indipendentemente dall’appartenenza pubblica o privata del bene, anche nei confronti di possibili offese da parte dello stesso proprietario. Nel caso di specie, il previgente art. 178, comma 1, lett. b), del d.lgs. 42/2004 (abrogato dall’art. 5, comma 2, della legge n. 22 del 2022) prevedeva una ipotesi di offesa al bene-interesse tutelato consistente nella detenzione a fini di commercializzazione (messa in vendita) dell’opera non genuina; la novella ha “vestito” tale incriminazione con un diverso nome (art. 518-quaterdecies della legge n. 22 dell’11/3/2022). Si tratta, dunque, di una mera opera di novazione nominativa di fatti già penalmente sanzionati, sia pure con una più rigorosa cornice sanzionatoria. Vi è, quindi, perfetta continuità normativa tra la vecchia e la nuova
norma incriminatrice, in quanto l’art. 518 quaterdecies cod. pen. continua a descrivere la condotta penalmente sanzionata dalla norma abrogata.
Del resto, si è in presenza di un riassetto normativo, che ha determinato una successione di leggi incriminatrici, in cui la legge successiva punisce più gravemente il reato, con la conseguenza che opera il divieto di irretroattività della legge sfavorevole: la sanzione prevista dall’art. 518-quaterdecies cod. pen. non potrà certo trovare applicazione se non ai fatti reato commessi a partire dal 23/3/2022, data di entrata in vigore della novella legislativa. In conclusione, l’illecito aquiliano derivante da reato risulta correttamente individuato secondo la legge vigente al momento della commissione del fatto, che ancor oggi costituisce reato (sulla continuità normativa della suddetta novella, v. Sez. 2, n. 51260 del 16/11/2023, Rv. 285668).
3. Né appare censurabile la decisione che ha espressamente escluso la “confusione” della condotta di acquisto in quella di contraffazione, commessa da altri soggetti ignoti. Né la formulazione normativa (fattispecie a più norme) può consentire di ritenere, come sembra suggerire il motivo di ricorso, l’unicità della incriminazione, che resta ben distinta nel perimetro delle singole condotte incriminate.
Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro tremila.
4.1. L’imputato va altresì condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in giudizio sostenute dalla parte civile costituita, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile “RAGIONE_SOCIALE“, che liquida in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 giugno 2024.