Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1900 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1900 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME, nato in Egitto DATA_NASCITA;
contro
la sentenza della Corte di Appello di Milano del 12.4.2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16.5.2022 il Tribunale di Milano aveva riconosciuto NOME responsabile dei fatti di ricettazione e
porto ingiustificato d’arma impropria, a lui ascritti e, con le circostanze attenuanti generiche ed il vincolo della continuazione tra le due violazioni di legge, lo aveva condannato alla pena di mesi 11 e giorni 20 di reclusione ed euro 3.000 di multa, così determinata in ragione del rito, oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, confisca e distruzione di quanto in sequestro;
la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata per il resto, ha ridotto la pena inflitta al ricorrente a mesi 11 e giorni 10 di reclusione ed euro 3.000 di multa;
ricorre per cassazione l’NOME a mezzo del difensore e deducendo:
3.1 violazione di legge in relazione alla mancata assoluzione dal reato di cui al capo 1);
3.2 vizio di motivazione in relazione alla mancata esplicitazione della motivazione posta a fondamento della condanna per il capo 1):
rileva che i giudici di merito e, in particalare, la Corte d’appello, hanno reso una decisione viziata sia sotto il profilo della motivazione che dell’osservanza della legge penale avendo concluso per la penale responsabilità dell’imputato in assenza di prova dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli, insussistente anche nella forma del dolo eventuale; sottolinea, infatti, che la ricostruzione operata non era l’unica possibile dal momento che il portafogli era stato rinvenuto sotto il sedile dell’autovettura del ricorrente essendo perciò possibile che costui non ne fosse a conoscenza; segnala che la praticabilità della soluzione alternativa finisce per integrare quel “ragionevole dubbio” che non consentiva di pervenire alla affermazione di responsabilità;
3.3 violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione del fatto nella ipotesi contemplata al capoverso dell’art. 648 cod. pen.: ribaditi i presupposti per ritenere la ipotesi attenuata del fatto di lieve entità, richiama le dichiarazioni della persona offesa in merito al fatto che, subito il furto del portafogli, non ritenne di sporgere denuncia e chiedere l’intervento RAGIONE_SOCIALE forze dell’ordine;
3.4 violazione di legge in relazione alla mancata assoluzione dal reato di cui al capo 2);
3.5 vizio di motivazione in relazione alla mancata esplicitazione della motivazione posta a fondamento della condanna per il capo 2):
rileva che entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto di poter qualificare l’oggetto rinvenuto in sede di perquisizione come “arma impropria”; segnala che, seppure, in astratto, ogni oggetto potrebbe acquisire tale qualità, ciò
non poteva ritenersi con riguardo al moschettone immediatamente consegnato dal ricorrente.
CONSIDERATO IN IDIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
Le due sentenze di merito hanno restituito la ricostruzione dell’episodio essendo stato accertato che, in data 25.2.2019, gli operanti avevano proceduto al controllo di un’autovettura alla guida della quale si trovava il ricorrente risultato sprovvisto di patente in quanto mai conseguita; i militari avevano nell’occasione effettuato una perquisizione, rinvenendo, indosso al giovane, un coltello a serramanico e, sotto il sedile della vettura, un portafogli risultato provento di furto commesso in Milano il 5.2.2019.
Sulla scorta di tali emergenze e non avendo l’imputato fornito spiegazione alcuna del possesso di quegli oggetti, il primo giudice aveva ritenuto la penale responsabilità dell’NOME.
Con l’atto di appello la difesa aveva invocato la assoluzione e, con riguardo al capo a), la qualificazione del fatto ai sensi del comma 2 dell’art. 648 cod. pen.; per il “moschettone”, aveva fatto presente che non si trattava di un’arma impropria.
La Corte di appello ha rigettato il gravame spiegando in primo luogo, che il ricorrente non aveva mai addotto di non essere il proprietario dell’autovettura a bordo della quale erano stati rinvenuti gli oggetti di cui al capo di imputazione; aggiunge che, prescindendo dal “titolo”, egli aveva certamente una “detenzione qualificata” del veicolo.
Quanto alla richiesta di ricondurre il fatto di ricettazione nella ipotesi “lieve” ha sostenuto che il possesso di un portafogli con diversi documenti di riconoscimento della persona offesa ed una carta bancaria ancora valida ed efficace non consentisse di ricondurre il fatto nella ipotesi “lieve” dell’art. 648 cod. pen.; egli era alla guida di una autovettura priva di copertura assicurativa e senza patente.
Rileva il collegio che la Corte territoriale ha replicato alle doglianze difensive in termini esaustivi in fatto e corretti in diritto, non suscettibili, perci censura in questa sede.
2.1 Con il primo motivo difesa deduce, innanzitutto, il vizio di violazione di legge con riguardo alla fattispecie incriminatrice di cui i giudici di merito ha ritenuto integrati, in punto di fatto, gli elementi costitutivi; in secondo luogo, ha dedott vizio di motivazione in punto di responsabilità.
E, tuttavia, a ben guardare, sotto il profilo della violazione di legge sostanziale, la difesa finisce per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado che, con valutazione conforme RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ravvisare tali elementi nella ricostruzione della concreta vicenda processuale; il vizio di violazione di legge va dedotto contestando la riconducibilità del fatto come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale, operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito essendo certamente preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati da giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora’ Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148).
Con riguardo, poi, al vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non è inutile ribadire che il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., tra altre, Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giunciere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
Va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2 – , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 444:18 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Tanto premesso, va rilevato che i giudici di merito hanno congruamente osservato che il ricorrente aveva la pacifica disponibilità della vettura alla cui guida era stato fermato ed a bordo della quale era stata rinvenuta la refurtiva descritta nel capo di imputazione.
Mai l’NOME ha ritenuto di giustificare la presenza, sulla sua autovettura, di quanto ivi rinvenuto essendo appena il caso di ribadire che nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (cfr., Sez. 2 – , Sentenza n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese Virginia, Rv. 278373 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 20171 del
07/02/2013, COGNOME ed altro, Rv. 255916 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7484 del 21/01/2014, PG e PC in proc. Baroni, Rv. 259245 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu Rv. 261657 – 01; Sez. 4, Sentenza n. 12099 del 12/12/2018, Fiumefreddo, Rv. 275284 – 01).
2.2 Altrettanto corretta, in diritto, è la decisione della Corte d’appello che ha escluso di poter ricondurre il fatto nella ipotesi “lieve”: questa Corte ha più volte ribadito che, in tema di ricettazione, non è configurabile l’attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità ove l’oggetto del reato sia costituito da carte di credito, in quanto il valore da considerare ai fini della valutazione del danno non è quello del supporto materiale, ma quello, non determinabile, derivante dalla potenziale utilizzabilità seriale dello strumento di pagamento (cfr., Sez. 2 – , n. 21790 del 13/04/2022, COGNOME, Rv, 283338 – 01; Sez. 2, n. 24075 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 264115 – 01).
2.3 II terzo motivo è manifestamente infondato e, in realtà, articolato in termini non consentiti perché sorretto da una ricostruzione in fatto difforme rispetto a quella restituita dalle due sentenze di merito che hanno concordemente parlato di un coltello (peraltro non consegnato spontaneamente dal ricorrente ma rinvenuto sulla sua persona a séguito di perquisizione personale) per il quale, come è noto, ed ai fini della qualificazione in termini di “arma”, non occorre il concorso di circostanze di tempo e di luogo (cfr., tra le tante Sez. 2 – , n. 15908 del 08/03/2022, COGNOME, Rv. 283101 – 01; Sez. 1, n. 10279 del 29/11/2011, COGNOME, Rv. 252253 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in Favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 15.12.2023