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Ricettazione merce contraffatta: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una condanna per ricettazione merce contraffatta. L’imputato sosteneva che la contraffazione fosse troppo grossolana per ingannare chiunque. La Corte ha ribadito che, ai fini della ricettazione, la consapevolezza della provenienza illecita dei beni può essere provata anche tramite indizi, come la mancata spiegazione plausibile della loro origine da parte dell’imputato.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricettazione Merce Contraffatta: La Cassazione Conferma la Condanna

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di ricettazione merce contraffatta, confermando un principio fondamentale: la prova della colpevolezza può basarsi anche su elementi indiretti. La vicenda riguarda un ricorso presentato da un imputato condannato per introduzione nello Stato e commercio di prodotti falsi e per la conseguente ricettazione. L’ordinanza chiarisce aspetti cruciali sulla natura di questi reati e sui criteri di prova, offrendo spunti importanti per la difesa in procedimenti simili.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da una condanna emessa dalla Corte d’Appello di Firenze per i reati di cui all’art. 474 del codice penale e per ricettazione. L’imputato, trovato in possesso di merci con marchi falsificati, ha deciso di ricorrere in Cassazione, sostenendo l’insussistenza dei reati contestati. La sua linea difensiva si basava principalmente su due argomentazioni: la palese e grossolana contraffazione dei prodotti, a suo dire inidonea a ingannare qualsiasi potenziale acquirente, e, di conseguenza, l’impossibilità di configurare il delitto di ricettazione, mancando il reato presupposto.

I Motivi del Ricorso sulla Ricettazione Merce Contraffatta

L’imputato lamentava che i giudici di merito non avessero considerato adeguatamente la scarsa qualità della falsificazione. Secondo la sua tesi, se un prodotto è un falso evidente, la condotta non è in grado di ledere la fede pubblica, bene giuridico protetto dalla norma. Venendo meno il reato di cui all’art. 474 c.p., cadeva anche l’accusa di ricettazione, che richiede la provenienza dei beni da un delitto.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto tali motivi non ammissibili, in quanto riproponevano questioni già ampiamente e correttamente valutate e respinte nel precedente grado di giudizio.

L’Analisi della Corte di Cassazione

Gli Ermellini hanno qualificato il ricorso come inammissibile, poiché i motivi addotti erano una mera riproduzione delle censure già presentate in appello. La Corte territoriale aveva fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta, che la Cassazione ha ritenuto di non dover riesaminare nel merito. La decisione si fonda su principi giurisprudenziali consolidati, che vengono ribaditi con chiarezza.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha spiegato le ragioni giuridiche alla base del rigetto del ricorso. In primo luogo, ha ricordato che il reato di introduzione e commercio di prodotti contraffatti (art. 474 c.p.) è un reato di pericolo. Questo significa che la sua finalità è tutelare la ‘fede pubblica’ in via preventiva. Non è necessario che si verifichi un inganno effettivo nei confronti di un acquirente; è sufficiente la potenziale lesività della condotta. Pertanto, l’argomento della ‘grossolanità’ della contraffazione non è di per sé sufficiente a escludere il reato.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale per la ricettazione merce contraffatta, la provenienza illecita dei beni è intrinsecamente dimostrata dall’accertata contraffazione. Ma come si prova la consapevolezza dell’imputato? La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, ovvero la coscienza e volontà di ricevere beni di provenienza delittuosa, può essere desunto da qualsiasi elemento, anche indiretto.

Nel caso specifico, la piena consapevolezza dell’imputato è stata dimostrata dalla sua totale incapacità di documentare la provenienza della merce. L’assenza di fatture, ricevute o certificati di garanzia, unita alla natura stessa dei beni, costituisce un quadro indiziario grave, preciso e concordante. L’omessa o inattendibile indicazione della provenienza della merce da parte dell’agente è, secondo la giurisprudenza costante, un elemento sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza pratica. La decisione sottolinea che chi viene trovato in possesso di merce contraffatta ha l’onere di fornire una spiegazione plausibile e verificabile sulla sua origine. In assenza di ciò, i giudici possono legittimamente dedurre la consapevolezza della provenienza illecita e, di conseguenza, affermare la responsabilità per il reato di ricettazione. Questa pronuncia serve da monito: non è sufficiente sostenere di non sapere; è necessario poter dimostrare, o quantomeno indicare credibilmente, la liceità della provenienza dei beni che si detengono a fini di commercio.

Perché la contraffazione palesemente grossolana non esclude il reato di commercio di prodotti falsi (art. 474 c.p.)?
Perché tale reato è un ‘reato di pericolo’ che mira a tutelare la fede pubblica in generale, e non il singolo acquirente. La legge punisce la potenziale idoneità a ingannare, indipendentemente dal fatto che l’inganno si verifichi concretamente.

Come può essere provata la consapevolezza di ricevere merce illecita nel reato di ricettazione?
La consapevolezza può essere provata tramite qualsiasi elemento, anche indiretto. Secondo la Corte, l’omessa o inattendibile indicazione della provenienza dei beni da parte dell’imputato è un elemento sufficiente per dimostrare la sua colpevolezza.

Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva le stesse argomentazioni già adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi profili di illegittimità della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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