Ricettazione Merce Contraffatta: La Cassazione Conferma la Condanna
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di ricettazione merce contraffatta, confermando un principio fondamentale: la prova della colpevolezza può basarsi anche su elementi indiretti. La vicenda riguarda un ricorso presentato da un imputato condannato per introduzione nello Stato e commercio di prodotti falsi e per la conseguente ricettazione. L’ordinanza chiarisce aspetti cruciali sulla natura di questi reati e sui criteri di prova, offrendo spunti importanti per la difesa in procedimenti simili.
I Fatti di Causa
Il caso nasce da una condanna emessa dalla Corte d’Appello di Firenze per i reati di cui all’art. 474 del codice penale e per ricettazione. L’imputato, trovato in possesso di merci con marchi falsificati, ha deciso di ricorrere in Cassazione, sostenendo l’insussistenza dei reati contestati. La sua linea difensiva si basava principalmente su due argomentazioni: la palese e grossolana contraffazione dei prodotti, a suo dire inidonea a ingannare qualsiasi potenziale acquirente, e, di conseguenza, l’impossibilità di configurare il delitto di ricettazione, mancando il reato presupposto.
I Motivi del Ricorso sulla Ricettazione Merce Contraffatta
L’imputato lamentava che i giudici di merito non avessero considerato adeguatamente la scarsa qualità della falsificazione. Secondo la sua tesi, se un prodotto è un falso evidente, la condotta non è in grado di ledere la fede pubblica, bene giuridico protetto dalla norma. Venendo meno il reato di cui all’art. 474 c.p., cadeva anche l’accusa di ricettazione, che richiede la provenienza dei beni da un delitto.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto tali motivi non ammissibili, in quanto riproponevano questioni già ampiamente e correttamente valutate e respinte nel precedente grado di giudizio.
L’Analisi della Corte di Cassazione
Gli Ermellini hanno qualificato il ricorso come inammissibile, poiché i motivi addotti erano una mera riproduzione delle censure già presentate in appello. La Corte territoriale aveva fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta, che la Cassazione ha ritenuto di non dover riesaminare nel merito. La decisione si fonda su principi giurisprudenziali consolidati, che vengono ribaditi con chiarezza.
Le Motivazioni
La Corte Suprema ha spiegato le ragioni giuridiche alla base del rigetto del ricorso. In primo luogo, ha ricordato che il reato di introduzione e commercio di prodotti contraffatti (art. 474 c.p.) è un reato di pericolo. Questo significa che la sua finalità è tutelare la ‘fede pubblica’ in via preventiva. Non è necessario che si verifichi un inganno effettivo nei confronti di un acquirente; è sufficiente la potenziale lesività della condotta. Pertanto, l’argomento della ‘grossolanità’ della contraffazione non è di per sé sufficiente a escludere il reato.
In secondo luogo, e questo è il punto cruciale per la ricettazione merce contraffatta, la provenienza illecita dei beni è intrinsecamente dimostrata dall’accertata contraffazione. Ma come si prova la consapevolezza dell’imputato? La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, ovvero la coscienza e volontà di ricevere beni di provenienza delittuosa, può essere desunto da qualsiasi elemento, anche indiretto.
Nel caso specifico, la piena consapevolezza dell’imputato è stata dimostrata dalla sua totale incapacità di documentare la provenienza della merce. L’assenza di fatture, ricevute o certificati di garanzia, unita alla natura stessa dei beni, costituisce un quadro indiziario grave, preciso e concordante. L’omessa o inattendibile indicazione della provenienza della merce da parte dell’agente è, secondo la giurisprudenza costante, un elemento sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza pratica. La decisione sottolinea che chi viene trovato in possesso di merce contraffatta ha l’onere di fornire una spiegazione plausibile e verificabile sulla sua origine. In assenza di ciò, i giudici possono legittimamente dedurre la consapevolezza della provenienza illecita e, di conseguenza, affermare la responsabilità per il reato di ricettazione. Questa pronuncia serve da monito: non è sufficiente sostenere di non sapere; è necessario poter dimostrare, o quantomeno indicare credibilmente, la liceità della provenienza dei beni che si detengono a fini di commercio.
Perché la contraffazione palesemente grossolana non esclude il reato di commercio di prodotti falsi (art. 474 c.p.)?
Perché tale reato è un ‘reato di pericolo’ che mira a tutelare la fede pubblica in generale, e non il singolo acquirente. La legge punisce la potenziale idoneità a ingannare, indipendentemente dal fatto che l’inganno si verifichi concretamente.
Come può essere provata la consapevolezza di ricevere merce illecita nel reato di ricettazione?
La consapevolezza può essere provata tramite qualsiasi elemento, anche indiretto. Secondo la Corte, l’omessa o inattendibile indicazione della provenienza dei beni da parte dell’imputato è un elemento sufficiente per dimostrare la sua colpevolezza.
Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva le stesse argomentazioni già adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi profili di illegittimità della sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31219 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31219 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
avverso la sentenza del 20/03/2025 della Corte d’appello di Firenze
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Senegal il 06/02/1963
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che il primo ed il secondo motivo di ricorso, con i quali si lamenta l’insussistenza del reato di cui all’art. 474 cod. pen., stante l’evidente gro della contraffazione e l’inidoneità della condotta a trarre in inganno un poten acquirente, e la conseguente mancata configurabilità del delitto di ricettaz non sono formulati in termini consentiti in questa sede, poiché riproduttivi di p di censura già proposti con l’atto d’appello e adeguatamente vagliati e disa dalla Corte territoriale, che – rilevando, la finalizzazione del delitto di cu 474 cod. pen. alla tutela della fede pubblica; la mancanza di un reato impossi data la natura di reato di pericolo della medesima fattispecie, per cui non r l’attuazione dell’inganno; l’illecita provenienza delle merci ricevute dall’accertata contraffazione; la piena e dimostrata consapevolezza di quest’ult in capo all’odierno ricorrente, che nulla aveva documentato in merito a provenienza delle merci, peraltro prive di certificati di garanzia adeguatamente indicato gli elementi fattuali e giuridici in base ai quali d
ritenersi che la condotta tenuta dall’odierno ricorrente abbia integrato pienamente i presupposti costitutivi dei delitti ascrittigli, a fronte di assunti difensivi totalm inidonei a scalfire la tenuta del decisum (Sez. 2, n. 16807 del 11/01/2019, Assane, Rv. 275814-01; Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258722-01; Sez. 2, n. 20944 del 04/05/2012, COGNOME, Rv. 252836-01);
che è ormai consolidato il principio, affermato da questa Corte, secondo cui l’elemento soggettivo del delitto di ricettazione può dirsi dimostrato in virtù di qualunque elemento, anche indiretto, e quindi anche per via dell’omessa od inattendibile indicazione della provenienza della res da parte dell’agente (Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2025.