Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 192 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 192 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 21/02/1994
avverso la sentenza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
letto il ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE;
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui la difesa deduce vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del reato di ricettazione ascritto all’odierno ricorrente, è formulato in termini non consentiti poiché articolato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi in quella sede alla luce del principio secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente con la precisazione per cui ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un “vulnus” alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della “res”, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (cfr., così, tra le tante, Sez. 2, n. 20193 del 19/4/2017, COGNOME; Sez. 2, n. 53017 dei 22/11/2016, COGNOME; Sez. 2, n. 52271 del 10/11/2016, COGNOME); altrettanto corretta, in diritto, è la motivazione con cui i giudici di secondo grado hanno escluso di poter ricondurre il fatto nella ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 712 cod. pen. ribadendo il discrimine, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, tra il delitto di ricettazione, punibile anche a titolo di dolo eventuale, e contravvenzione di incauto acquisto e che, come è noto, sta nel fatto che, nella ricettazione (con dolo eventuale), l’agente, pur rappresentandosi chiaramente la possibilità che il bene acquistato o ricevuto abbia una provenienza delittuosa, avendo colto gli elementi di allarme che lo abbiano effettivamente messo in guardia, decide ciò non di meno di riceverlo o acquistarlo, accettando consapevolmente il rischio di concretizzare una condotta delittuosa (cfr., Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246323 – 01); nella contravvenzione, invece, ciò che si rimprovera all’agente è di non aver colto quegli elementi di fatto (individuati dal legislatore nella natura del bene acquistato o ricevuto, nella qualità della persona che lo abbia offerto ovvero nella entità del prezzo) che avrebbero dovuto allarmarlo circa la provenienza del bene di cui si discute e che, invece, siano stati colpevolmente ignorati (cfr., Sez. 2, n. 51056 del 11/11/2016, Rv. 268945 – 01 in cui la Corte ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato contravvenzionale di cui all’art. 712, comma primo cod. pen., non è necessario che i’acquirente abbia effettivamente nutrito dubbi sulla provenienza della merce, dovendosi invece ritenere che il reato sussista ogni qualvolta l’acquisto avvenga in presenza di condizioni che obiettivamente Corte di Cassazione – copia non ufficiale
avrebbero dovuto indurre al sospetto, indipendentemente dal fatto che questo vi sia stato o meno);
osservato che anche il secondo motivo di ricorso, con cui la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione circa l’esito del giudizio di valenza tra circostanze di opposto segno, non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato, poiché il giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee implica una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito che sfugge al sindacato di legittimità, qualora – come nel caso di specie – non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi anche quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (cfr., Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, il 3 dicembre 2024.