Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12160 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12160 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 19/04/1990
avverso la sentenza del 27/06/2024 della Corte d’appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Catania ha confermato4sentenza con cui, in data 20/06/2022, il Tribunale del capoluogo etneo aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile di ricettazione e, ricondotto il fatto nella ipotesi contemplata nelRattuale quarto) comma dell’art. 648 cod. pen., l’aveva condannato alla pena mesi 7 di reclusione ed euro 400 di multa, oltre ai pagamento delle spese processuali, con il beneficio della sospensione condizionale;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce, con un unico articolato motivo, violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata: COGNOME rileva che la difesa aveva tempestivamente eccepito la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio che riportava, nell’imputazione, una data errata sia in ordine al fatto di ricettazione che all’accertamento della provenienza delittuosa del bene, spiegando che, laddove l’imputato avesse avuto piena conoscenza del tempus commissi delicti, avrebbe potuto difendersi con cognizione di causa; segnala, inoltre, la contraddittorietà della motivazione circa il tempo in cui il computer sarebbe stato a disposizione nel negozio dell’imputato che, peraltro, era stato segnalato al Raciti ben prima del 9 ottobre 2015; segnala, inoltre, l’omessa motivazione della sentenza impugnata quanto alla circostanza secondo cui il furto alla base di Sigonella non sarebbe stato denunciato se non sei mesi dopo la sua consumazione, elemento che avrebbe invece dovuto essere considerato ai fini della consapevolezza della provenienza delittuosa del bene che la Corte d’appello ha invece dato per scontata; rileva che la Corte d’appello, pur avendo ricondotto l’episodio nell’ipotesi “lieve”, ha tuttavia considerato il termine di prescrizione alla stregua del comma primo dell’art. 648 cod. pen.;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
NOME COGNOME COGNOME era stato tratto a giudizio ed è stato riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito ed in forza di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di ricettazione per aver acquistato ed in séguito rivenduto “… al fine di trarne profitto un computer marca Apple Mac Air … costituente oggetto del reato di furto aggravato perpetrato ai danni del dipartimento D.L.A. sito all’interno della base statunitense di Sigonella /I
La ricostruzione della vicenda desumibile dalla lettura delle due sentenze di merito è sostanzialmente incontroversa: risulta, infatti, che, in data 30/05/2016 personale del Comando dei Carabinieri della Stazione del 41° Stormo della base aerea di Sigonella aveva proceduto ad una perquisizione domiciliare presso l’abitazione di NOME COGNOME finalizzata alla ricerca di un computer portatile oggetto di furto perpetrato nel 2015 all’interno della base militare statunitense; la
perquisizione aveva esito positivo tanto che il computer era stato recuperato ed il COGNOME – appreso della sua provenienza furtiva – aveva sporto denuncia riferendo di averlo acquistato presso il negozio “RAGIONE_SOCIALE” di Motta Sant’Anastasia, condotto dall’odierno ricorrente, che gli aveva mostrato un computer Apple al prezzo, certamente conveniente, di 600 euro, che egli aveva corrisposto senza richiedere l’emissione dello scontrino fiscale.
Il COGNOME aveva riferito, in sede di esame, di aver acquistato il computer da un suo cliente, tale NOME COGNOME che lo aveva a sua volta acquistato presso la base militare di Sigonella; l’operante, pure sentito nel corso del giudizio di primo grado, aveva riferito in merito agli accertati contatti telefonici tra la base di Sigonella ed il COGNOME il giorno 08/10/2015, data del furto, e quelli del successivo 09/10/2015, tra il COGNOME ed il COGNOME.
A fronte della ricostruzione operata dal primo giudice e della sua condanna in primo grado, la difesa del COGNOME aveva articolato una serie di censure riproponendo in questa sede soltanto il primo ed il quinto motivo d’appello: il primo, con cui eccepisce la difformità della contestazione – che attiene ad un fatto “accertato in Catania il 16/03/2020” – a fronte di una ricettazione che, secondo le emergenze acquisite, sarebbe stata consumata il 09/10/2015, senza che nessun chiarimento e nessuna correzione del capo di imputazione fosse nel frattempo intervenuta; il quinto motivo d’appello, invece, con cui la difesa aveva valorizzato la circostanza secondo cui il COGNOME avrebbe acquistato e subito dopo rivenduto al COGNOME il computer quando ancora il furto presso la base di Sigonella non era stato denunciato.
2.1 II primo rilievo difensivo è manifestamente infondato.
La risposta fornita dalla Corte d’appello all’eccezione difensiva è assolutamente corretta: i giudici d’appello hanno spiegato che, indipendentemente dall’indubbia erroneità del riferimento temporale contenuto nel capo di imputazione, è certo che “… la fattispecie risulta dettagliatamente descritta con indicazione del numero seriale del computer oggetto del reato mentre, come nella gran parte delle ricettazioni, non risulta indicato il giorno in cui avvenne la ricettazione …”, aggiungendo che “… è presente in atti querela sporta dal responsabile della sicurezza della base di Sigonelia in data 6 maggio 2016, relativa al furto del computer …”.
Va ricordato, allora, che in tema di correiazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza
sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (cfr., in questi termini, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 – 01).
Deve inoltre essere esclusa la violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e decisione adottata nel caso in cui nell’imputazione risulti una data del commesso reato diversa da quella effettiva, a condizione che dagli atti emerga il tempo di consumazione del reato e che l’imputato abbia avuto modo di difendersi e di conoscere tutti i termini della contestazione mossagli (cfr., Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, COGNOME, Rv. 260009 – 01).
Per altro verso, è consolidato il principio per cui la piena e corretta conoscenza dell’imputazione può intervenire non solo per il tramite del capo d’imputazione ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale e che consentano all’imputato di avere piena contezza degli elementi strutturali e sostanziali del fatto (cfr., da ultimo Sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, dep. 2024, P., Rv. 286023 – 01; cpnf., Sez. 5, n. 16993 del 02/03/2020, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 279090 GLYPH 01; Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, GLYPH Ioghà, GLYPH Rv. 269455 GLYPH 01; Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265825 – 01).
Nel caso di specie, pertanto, correttamente la Corte d’appello ha evocato, a conforto della piena ed effettiva conoscenza del fatto ascritto all’imputato, non soltanto le caratteristiche del computer quali descritte nel capo di imputazione ma anche ia denuncia di furto in atti che consentiva di collocare la vicenda in un ambito temporale diverso da quello indicato nella contestazione ma, comunque, non equivocabile.
2.2 Manifestamente infondato, inoltre, è il rilievo con cui la difesa, a dimostrazione della insussistenza dell’elemento soggettivo, sottolinea come la denuncia di furto del computer fosse intervenuta a distanza di mesi dalla sua ricezione da parte del COGNOME e della successiva rivendita a! COGNOME.
La Corte d’appello ha osservato, dal canto suo, che il dato fattuale della ricezione del computer di provenienza delittuosa da parte dell’odierno ricorrente fosse del tutto pacifico.
Quanto al dolo di fattispecie, i giudici di merito hanno correttamente segnalato che il ricorrente non soltanto non era stato in grado di esibire alcuna
documentazione circa l’acquisto del computer ma aveva fornito una versione del tutto generica avendo riferito di averlo acquistato da tale NOME COGNOME sulla cui identità non ha saputo addurre alcun elemento utile; ha aggiunto che nemmeno la (ri)vendita del computer al COGNOME era stata corroborata e documentata dalla emissione dello scontrino fiscale.
Legittimamente, pertanto, dal complesso di questi elementi la Corte d’appello ha potuto trarre il convincimento della sussistenza dell’elemento psicologico del delitto in esame, conformandosi, così, al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente con la precisazione per cui ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un “vulnus” alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della “res”, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (cfr., così, Cass. Pen., 2, 22.11.2016 n. 53.017, Alotta; Cass. Pen., 2, 27.10.2010 n. 41.423, Ienne; Cass. Pen., 2, 19.4.2017 n. 20.193, P.G. in proc. Kebe; Cass. Pen., 2, 22.11.2016 n. 53.017, COGNOME; Cass. Pen., 2, 10.11.2016 n. 52.271, COGNOME; Cass. Pen., 2, 26.11.2013 n. 50.952, COGNOME; Cass. Pen., 1, 13.3.2012 n. 13.599, Pomella).
Altrettanto correttamente, inoltre, i giudici catanesi hanno ribadito il discrimine, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, tra il delitto di ricettazione, punibile come è noto anche a titolo di dolo eventuale, e la contravvenzione di incauto acquisto, sta nel fatto che, nella ricettazione (con dolo eventuale), l’agente, pur rappresentandosi chiaramente la possibilità che il bene acquistato o ricevuto abbia una provenienza delittuosa, avendo colto gli elementi di allarme che lo abbiano effettivamente messo in guardia, decide ciò non di meno di riceverlo o acquistarlo, accettando consapevolmente il rischio di concretizzare una condotta delittuosa (cfr., Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246323 – 01); nella contravvenzione, invece, ciò che si rimprovera all’agente è di non aver colto quegli elementi di fatto (individuati dal legislatore nella natura del bene acquistato o ricevuto, nella qualità della persona che lo abbia offerto ovvero nella entità del prezzo) che avrebbero dovuto allarmarlo circa la provenienza del bene di cui si discute e che, invece, siano stati colpevolmente ignorati (cfr., Sez. 2, n. 51056 del 11/11/2016, Rv. 268945 – 01 in cui la Corte ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato contravvenzionale di cui all’art. 712, comma primo cod. pen., non è necessario che l’acquirente abbia effettivamente nutrito
dubbi sulla provenienza della merce, dovendosi invece ritenere che il reato sussista ogni qualvolta l’acquisto avvenga in presenza di condizioni che obiettivamente avrebbero dovuto indurre al sospetto, indipendentemente dal fatto che questo vi sia stato o meno).
2.3 La sentenza impugnata va tuttavia corretta laddove ha ritenuto che il Tribunale avesse riqualificato il fatto nella “fattispecie autonoma” di cui al comma secondo (in realtà, ora, comma quarto a partire dall’entrata in vigore del D. Ig.vo 08/11/2021 n. 195) dell’art. 648 cod. pen.; il primo giudice, in realtà, si era limitato a ricondurre il fatto “nella fattispecie penale di cui al comma 2 dell’art. 648 c.p.” (cfr., dal dispositivo, a pag. 7).
Ed è pacifico che l’ipotesi attenuata prevista dall'(ora) quarto comma dell’art. 648 cod. pen. non costituisce una autonoma previsione incriminatrice, ma una circostanza attenuante speciale; ne consegue che, ai fini dell’applicazione della prescrizione, deve aversi riguardo alla pena stabilita dal primo comma del predetto articolo (cfr., Sez. 2, Sentenza n. 14767 del 21/03/2017, Aquaro, Rv. 269492 01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 18/02/2025