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Ricettazione: inammissibile ricorso non specifico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per il reato di ricettazione. La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano una semplice riproposizione delle argomentazioni già respinte in appello, e quindi privi della specificità richiesta. La condanna per ricettazione è stata confermata poiché l’imputata, trovata in possesso di capi di abbigliamento di provenienza illecita, non ha saputo fornire alcuna giustificazione plausibile.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricettazione: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il ricorso deve contenere una critica argomentata e specifica alla sentenza impugnata, non una semplice ripetizione delle difese precedenti. La pronuncia in esame riguarda un caso di ricettazione e chiarisce perché la mancanza di giustificazione sul possesso di beni illeciti e la presentazione di un ricorso non specifico portino a una condanna definitiva e alla declaratoria di inammissibilità.

I Fatti del Caso Analizzato

Il caso ha origine dalla condanna di una persona per il reato di ricettazione, previsto dall’art. 648 del codice penale. L’imputata era stata trovata in possesso di diversi capi di abbigliamento di chiara provenienza illecita. Elemento cruciale della vicenda è stata la totale incapacità della stessa di fornire una qualsiasi giustificazione plausibile circa la provenienza e il possesso di tali beni, sia al momento del controllo sia nelle fasi successive del processo.

La Corte d’Appello aveva confermato la sua responsabilità penale, ritenendo pienamente integrati gli elementi oggettivi e soggettivi del reato. Contro questa decisione, l’imputata ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione della sentenza di secondo grado, in particolare riguardo alla sussistenza del reato presupposto.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Ricettazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’argomentazione di carattere prettamente processuale: i motivi addotti dalla ricorrente non erano altro che una “pedissequa reiterazione” di quelli già esaminati e respinti, con ampia motivazione, dalla Corte d’Appello. In altre parole, la difesa si è limitata a riproporre le stesse argomentazioni, senza muovere una critica specifica e puntuale al ragionamento seguito dai giudici di merito.

Questo vizio rende il ricorso “non specifico” e, di conseguenza, inammissibile. La funzione del ricorso in Cassazione non è quella di ottenere un terzo grado di giudizio sul fatto, ma di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

Le Motivazioni: la Mancanza di Specificità e la Prova della Ricettazione

La Corte ha evidenziato come la sentenza d’appello avesse già affrontato in modo esauriente e privo di illogicità tutte le questioni sollevate. In particolare, era stato correttamente ritenuto integrato il reato di ricettazione sia sotto il profilo materiale (il possesso di beni di provenienza delittuosa) sia sotto quello soggettivo (la consapevolezza di tale provenienza).

I giudici hanno sottolineato che la mancata fornitura di una qualsiasi giustificazione sul possesso dei capi di abbigliamento era un elemento chiave. Questo comportamento, infatti, è stato considerato un indicatore della consapevolezza dell’origine illecita dei beni, escludendo la possibilità di configurare la meno grave fattispecie dell’incauto acquisto. Quest’ultima, a differenza della ricettazione, presuppone un atteggiamento di semplice negligenza e non di dolo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La decisione in commento offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, ribadisce che chi viene trovato in possesso di beni di dubbia provenienza ha l’onere di fornire una spiegazione credibile per non incorrere nel grave reato di ricettazione. Il silenzio o giustificazioni inverosimili possono essere interpretati dal giudice come prova della consapevolezza dell’origine illecita della merce.

In secondo luogo, dal punto di vista processuale, la pronuncia è un monito per i difensori: il ricorso in Cassazione deve essere uno strumento di critica ragionata e mirata della sentenza di secondo grado. La mera riproposizione di argomenti già sconfitti, senza evidenziare specifici vizi logici o giuridici del provvedimento impugnato, è una strategia destinata all’insuccesso, che conduce a una declaratoria di inammissibilità e alla condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano una mera e letterale ripetizione delle argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Mancava quindi di quella specificità necessaria a criticare in modo argomentato la sentenza impugnata.

Qual è la differenza tra ricettazione e incauto acquisto emersa nel caso?
La Corte ha confermato il reato di ricettazione perché l’imputata non ha fornito alcuna giustificazione sul possesso di beni di provenienza illecita, dimostrando così la consapevolezza della loro origine delittuosa. L’incauto acquisto, invece, si sarebbe potuto configurare solo in presenza di un atteggiamento negligente, non doloso.

Cosa deve fare chi viene trovato in possesso di beni di origine illecita per difendersi dall’accusa di ricettazione?
Secondo quanto emerge dalla decisione, è fondamentale fornire una giustificazione plausibile e credibile circa la provenienza e il possesso dei beni. L’incapacità di dare spiegazioni valide, sia nell’immediato sia durante il processo, è un forte indizio a carico dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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