Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10962 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10962 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ADRANO il 07/04/1966
avverso la sentenza del 12/06/2023 della CORTE di APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 12 giugno 2023 la Corte d’Appello di Messina confermava la sentenza emessa il 4 marzo 2022 dal Tribunale di Patti, con la quale l’imputato COGNOME NOME era stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione e condannato alle pene di legge, reato contestatogli per avere, l’imputato, acquistato o comunque ricevuto due anfore di terracotta del valore di euro 500,00, provento di furto.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva violazione di legge in relazione agli artt. 74, 76 e 539 cod. proc. pen.
Deduceva, in particolare, la carenza di legittimazione attiva della parte civile, assumendo che la stessa non aveva subito alcun danno riconducibile alla condotta contestata all’imputato poiché non era il proprietario delle anfore descritte nell’imputazione, come dalla stessa parte civile dichiarato in sede di esame testimoniale, nel corso del quale il teste aveva anche precisato che le anfore gli erano state restituite.
Con il secondo motivo deduceva violazione di legge in relazione agli artt. 192, 533 e 648 cod. pen., assumendo che nel corso del processo erano emersi elementi che inducevano a ritenere che il COGNOME fosse coinvolto nel reato presupposto di furto delle anfore, e richiamando in particolare la testimonianza della parte civile, che aveva affermato di aver notato il COGNOME intento a caricare su un veicolo alcune giare dello stesso tipo di quelle oggetto della ricettazione e di avere, in una occasione, ritratto la scena in un video.
Evidenziava che la Corte d’appello aveva ritenuto che la testimonianza della parte civile avesse fatto riferimento a un comportamento generalizzato del Santangelo, non potendosi ritenere provato al di là di ogni ragionevole dubbio che il ricorrente si fosse appropriato proprio delle anfore menzionate nell’imputazione, in tal modo travisandola prova testimoniale.
Concludeva sul punto affermando che il fatto doveva essere più correttamente riqualificato nel delitto di furto.
In data 28 novembre 2024 la difesa del ricorrente depositava memoria con la quale insisteva nelle deduzioni già rassegnate con i motivi di ricorso; in data 25 novembre 2024 la parte civile costituita NOME COGNOME depositava comparsa conclusionale con la quale concludeva per la condanna dell’imputato al risarcimento del danno e alla rifusione del!e spese processuali del grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ed invero, secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, espresso dalle Sezioni Unite e condiviso da questo Collegio, il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo
clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela (in tal senso Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 255975 – 01; in applicazione del principio, la Corte ha riconosciuto al responsabile di un supermercato la legittimazione a proporre querela).
Nel caso di specie la parte civile costituita è risultata pacificamente essere il possessore delle anfore oggetto della ricettazione, in quanto addetto alla vendita delle stesse nell’esercizio nel quale era avvenuta la loro sottrazione, circostanza che, in applicazione del principio sopra richiamato, vale a conferirle la legittimazione contestata dal ricorrente.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo, avendo la Corte territoriale dato conto del fatto che la testimonianza resa dalla parte civile era risultata affetta da genericità quanto all’indicazione delle condotte, poste in essere dal COGNOME, di impossessamento di anfore del tipo di quelle descritte nell’imputazione, e avendo, la stessa Corte, tratto in maniera logica le conseguenze di tale ritenuta genericità della dichiarazione testimoniale, che non aveva consentito di attribuire con certezza al COGNOME la specifica condotta di sottrazione delle due anfore oggetto del presente processo.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Non si fa luogo alla liquidazione delle spese in favore della parte civile, non avendo la stessa, con la comparsa depositata, articolato in maniera utile alla decisione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Nulla per le spese di parte civile.
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Così deciso in Roma il 11/12/2024 Il Consigliere estensore
Il Presidente