Ricettazione Etichette Contraffatte: La Cassazione Conferma la Condanna
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità di un ricorso in materia di ricettazione etichette contraffatte. La decisione sottolinea come la semplice riproposizione di argomentazioni già respinte in appello non sia sufficiente per ottenere una revisione del giudizio di colpevolezza, specialmente quando la prova della consapevolezza illecita si basa su elementi concreti come il possesso di merce illegale senza alcuna giustificazione documentale.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un individuo per il reato di ricettazione. L’imputato era stato trovato in possesso di etichette contraffatte, destinate presumibilmente ad essere apposte su capi di abbigliamento per farli apparire come prodotti di marca. La Corte di merito aveva ritenuto provata la sua colpevolezza, valorizzando due elementi chiave: il possesso fisico delle etichette e la totale assenza di documentazione fiscale o amministrativa che potesse giustificarne la legittima provenienza.
Il Ricorso in Cassazione e la questione della ricettazione etichette contraffatte
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, contestando la logicità e la coerenza della motivazione della sentenza d’appello. Nello specifico, la difesa sosteneva che la Corte non avesse adeguatamente provato l’elemento soggettivo del reato, ovvero la consapevolezza da parte dell’imputato dell’origine illecita delle etichette. Secondo il ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata era manifestamente illogica e contraddittoria.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno evidenziato che il motivo di ricorso non introduceva nuove e specifiche critiche giuridiche alla sentenza impugnata, ma si limitava a riproporre le stesse censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Un ricorso con tali caratteristiche è considerato ‘riproduttivo’ e, come tale, non ammissibile.
Nel merito, la Suprema Corte ha confermato la correttezza del ragionamento seguito dai giudici d’appello. La motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata lineare, coerente e basata su un’esauriente disamina delle prove. La valorizzazione congiunta del possesso delle etichette contraffatte e dell’assenza di qualsiasi documento di acquisto o trasporto è stata considerata un argomento giuridico solido e sufficiente per dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo della ricettazione. In altre parole, chi viene trovato in possesso di merce palesemente illegale, senza poter fornire alcuna pezza d’appoggio documentale, si presume essere a conoscenza della sua provenienza delittuosa.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel contrasto ai reati legati alla contraffazione. La decisione della Cassazione chiarisce che il possesso di beni di provenienza illecita, unito all’incapacità di fornire una giustificazione documentale plausibile, costituisce una prova sufficiente per fondare una condanna per ricettazione. Per gli operatori del diritto, ciò significa che un ricorso per Cassazione deve andare oltre la semplice contestazione dei fatti già accertati, concentrandosi su vizi di legittimità specifici e ben argomentati. Per i cittadini, il messaggio è chiaro: l’assenza di documentazione fiscale o amministrativa per beni sospetti non è una mera formalità, ma un elemento che può avere conseguenze penali molto gravi.
Perché il ricorso per ricettazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non presentava nuove argomentazioni giuridiche, ma si limitava a riproporre le stesse critiche già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, risultando quindi manifestamente infondato.
Su quali elementi si è basata la condanna per ricettazione?
La condanna si è basata su due elementi probatori principali: il possesso fisico delle etichette contraffatte da parte dell’imputato e la totale assenza di documentazione fiscale o amministrativa che potesse giustificare tale possesso.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11439 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11439 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/02/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di ricettazione contestato al ricorrente al capo B dell’imputazione, non è consentito poiché riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici da parte del giudice di merito e perciò non scandito da specifica critica analisi delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata (nella sentenza impugnata, con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo, è stato valorizzato il possesso da parte dell’imputato delle etichette contraffatte e la circostanza che non era in possesso di documentazione fiscale o amministrativa);
che tale motivo è altresì manifestamente infondato, poiché inerente ad asserito difetto o contraddittorietà o palese illogicità della motivazione, che non emerge dalla lettura del provvedimento impugnato, connotata da lineare e coerente logicità conforme all’esauriente disamina dei dati probatori (si vedano le pagine 4 e 5 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M..
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 06/02/2024
Il Consigliere Estensore