Ricettazione Elemento Soggettivo: Quando il Silenzio Diventa Prova
Il reato di ricettazione è uno dei più diffusi nel panorama penale italiano e la sua corretta qualificazione dipende spesso da un aspetto cruciale: la prova dell’elemento soggettivo. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna a fare chiarezza su come possa essere dimostrata la consapevolezza, da parte dell’agente, della provenienza illecita dei beni. La decisione sottolinea come anche elementi indiretti e il comportamento dell’imputato possano assumere un valore probatorio decisivo.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di ricettazione. L’imputato lamentava, in primo luogo, un vizio di motivazione riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sostenendo che non fosse stata adeguatamente provata la sua consapevolezza circa l’origine delittuosa della merce (nello specifico, numerosi bancali).
In secondo luogo, il ricorrente contestava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e riteneva eccessiva la pena inflittagli.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno respinto entrambe le censure mosse dalla difesa, confermando integralmente l’impianto logico-giuridico della sentenza di secondo grado e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Motivazioni
La Corte ha basato la propria decisione su consolidati principi giurisprudenziali, offrendo una spiegazione chiara e netta delle ragioni del rigetto.
Prova dell’Elemento Soggettivo nella Ricettazione
Sul primo motivo di ricorso, la Cassazione ha ricordato che la prova del ricettazione elemento soggettivo non deve necessariamente derivare da prove dirette, come una confessione. Al contrario, può essere desunta da qualsiasi elemento, anche indiretto. Tra questi, assume un’importanza fondamentale l’omessa o palesemente non attendibile giustificazione sulla provenienza del bene da parte di chi ne viene trovato in possesso. In sostanza, se una persona viene trovata con merce di dubbia origine e non è in grado di fornire una spiegazione plausibile e verificabile, tale comportamento costituisce un forte indizio della sua consapevolezza dell’illecita provenienza. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva correttamente applicato questo principio, basando la condanna su argomenti logici e coerenti.
Diniego delle Attenuanti Generiche e Dosimetria della Pena
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. I giudici hanno chiarito che, per negare le attenuanti generiche, non è necessario che il giudice di merito analizzi ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole. È sufficiente che la motivazione si concentri sugli aspetti negativi ritenuti decisivi. Nel caso esaminato, la Corte d’Appello aveva legittimamente valorizzato due elementi: l’ingente valore dei beni ricettati e, soprattutto, i numerosi e gravi precedenti penali dell’imputato. Questi fattori, secondo la Cassazione, giustificano ampiamente sia il diniego delle attenuanti, sia la misura della pena inflitta, che rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, non risulta arbitraria o illogica.
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento ribadisce un insegnamento di grande rilevanza pratica: nel reato di ricettazione, chi viene trovato in possesso di beni di provenienza sospetta ha l’onere di fornire una spiegazione credibile sulla loro origine. Il silenzio o una versione dei fatti inverosimile possono essere legittimamente interpretati dal giudice come prova della malafede. La decisione conferma inoltre la limitata possibilità di contestare in Cassazione le valutazioni di merito, come quelle relative alla concessione delle attenuanti e alla quantificazione della pena, quando queste siano sorrette da una motivazione adeguata e priva di vizi logici.
Come si può provare l’intenzione colpevole nel reato di ricettazione?
La prova dell’elemento soggettivo (cioè la consapevolezza della provenienza illecita del bene) può essere raggiunta attraverso qualsiasi elemento, anche indiretto. In particolare, costituisce una prova valida l’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte dell’agente.
Il giudice è obbligato a considerare tutti gli argomenti della difesa per negare le attenuanti generiche?
No. Nel motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, ma è sufficiente che faccia riferimento agli elementi negativi ritenuti decisivi, come ad esempio i gravi precedenti penali dell’imputato e la consistenza dei beni ricettati.
La Corte di Cassazione può modificare la quantità della pena decisa da un altro giudice?
Generalmente no. La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare tale decisione, a meno che non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico e non sia supportata da una motivazione sufficiente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 930 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 930 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORRE DEL GRECO il 09/05/1977
avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME Vincenzo;
considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di motivazione in alla ritenuta sussistenza in capo all’imputato dell’elemento soggettivo del reato contes meramente riproduttivo di profili di censura, schiettamente fattuali, già adeguatamente vagl disattesi dalla Corte territoriale a pagina 2, con corretti argomenti logici e in conformità al c orientamento della giurisprudenza di legittimità a mente del quale, ai fini della configurabilità di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, a indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ri da parte del soggetto agente (Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713)
considerato che il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta il mancato riconoscim delle circostanze attenuanti generiche e l’eccessività del trattamento sanzionatorio irro manifestamente infondato poiché, nel motivare il diniego delle predette circostanze, non è necess che il giudice di merito prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli ded parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente un congruo riferimento agli elementi negat decisivi o rilevanti, come avvenuto nella specie (cfr. p. 2, ove si sottolinea il valore dei pancali ricettati e i numerosi e gravi precedenti);
che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la eser aderenza ai principi enunciati negli artt. 132-133 cod. pen., e sfugge al sindacato di legittimità come nel caso in esame, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorre sufficiente motivazione (si veda, in proposito, pag. 2);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Ca delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 19 novembre 2024
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