Ricettazione elemento soggettivo: come si prova la consapevolezza?
La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 36247 del 2024, offre un importante chiarimento sul tema del ricettazione elemento soggettivo. La Suprema Corte ha ribadito che la prova della consapevolezza dell’origine illecita di un bene può derivare anche da elementi indiretti, come la mancata o inverosimile giustificazione sulla sua provenienza da parte di chi ne viene trovato in possesso. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni.
Il Caso: la contestazione dell’elemento soggettivo nella ricettazione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di ricettazione, previsto dall’art. 648 del codice penale. L’unico motivo di ricorso si concentrava sul vizio di motivazione relativo alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. In altre parole, la difesa sosteneva che non fosse stata adeguatamente provata la consapevolezza, da parte dell’imputato, che il bene in suo possesso provenisse da un delitto.
La Prova del Dolo e l’onere di allegazione
Il cuore della questione giuridica ruota attorno a come il giudice possa accertare che l’imputato fosse a conoscenza della provenienza illecita del bene. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo consolidato un principio fondamentale in materia, applicabile anche nei procedimenti con rito abbreviato.
Secondo questo orientamento, la prova del dolo nella ricettazione non richiede necessariamente una confessione o prove dirette. Essa può essere raggiunta attraverso qualsiasi elemento, anche di natura indiretta. Tra questi, assume un’importanza cruciale la condotta stessa dell’imputato.
La Decisione della Cassazione sul Ricettazione elemento soggettivo
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, lo ha dichiarato inammissibile. I giudici hanno sottolineato come la Corte territoriale avesse correttamente applicato il principio secondo cui la prova del ricettazione elemento soggettivo può essere desunta anche “dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente”.
Questo significa che, di fronte al possesso di un bene di cui non si sa spiegare l’origine in modo credibile, il giudice può logicamente dedurre che l’agente fosse consapevole della sua natura illecita.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si basano su un orientamento giurisprudenziale consolidato (richiamando, tra le altre, la sentenza n. 53017 del 2016). La logica è semplice: una persona che entra in possesso di un bene in modo lecito è normalmente in grado di fornire spiegazioni plausibili e verificabili sulla sua acquisizione. L’incapacità di farlo, o il fornire versioni palesemente false o inverosimili, costituisce un forte indizio a carico dell’imputato. Non si tratta di un’inversione dell’onere della prova, ma di una valutazione logica degli elementi indiziari a disposizione del giudice. Il silenzio o la menzogna dell’imputato diventano, in questo quadro, elementi che, uniti ad altre circostanze, contribuiscono a formare il convincimento del giudice sulla sua colpevolezza.
Conclusioni
La decisione in commento conferma un punto fermo nella giurisprudenza sulla ricettazione. Per chi viene trovato in possesso di beni di dubbia provenienza, non è sufficiente rimanere in silenzio o fornire spiegazioni fantasiose per evitare una condanna. La mancata giustificazione plausibile del possesso è un fattore che il giudice valuterà attentamente per desumere l’esistenza del ricettazione elemento soggettivo. L’ordinanza si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a sottolineare la palese infondatezza del ricorso.
Come si prova l’elemento soggettivo nel reato di ricettazione?
La prova dell’elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza della provenienza illecita del bene, può essere raggiunta tramite qualsiasi elemento, anche indiretto. Non è necessaria una prova diretta.
La mancata spiegazione sulla provenienza di un bene può portare a una condanna per ricettazione?
Sì. Secondo la Corte, l’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta è un elemento indiziario significativo dal quale il giudice può desumere la consapevolezza dell’origine illecita del bene e quindi l’esistenza del reato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito. Inoltre, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36247 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36247 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE nato a ANDRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/03/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRMO
Letto il ricorso di COGNOME, considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si contesta vizio di motivazione in ordine al profilo di responsabilità ex art. 648 cod. pen., con specifico riguardo all’elemento soggettivo ed agli oneri di allegazione dell’accusa è manifestamente infondato, dal momento che la Corte territoriale ha correttamente applicato il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimit applicabile anche quando si procede con il rito abbreviato secondo cui: ai fini del configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo p essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anch dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente (ex plurimis, Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, Alotta, Rv. 268713 – 01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 2 Luglio 2024
Il Consigliere Estensore
Il Presidente