Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22824 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22824 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a TORINO il 07/09/1978
COGNOME NOME COGNOME nata a TORINO il 19/06/1976
avverso la sentenza del 17/09/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
udite le conclusioni del difensore dei ricorrenti, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del 17/09/22024, ha parzialmente riformato la sentenza del 26/11/2018, pronunciata ad esito di rito abbreviato dal G.u.p. presso il Tribunale di Reggio Calabria, dichiarando non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo b) della rubrica perché estinto per prescrizione, rideterminando conseguentemente la pena allo stesso ascritta al capo a) della rubrica (art. 648 cod. pen., confermando nel resto la condanna per lo stesso capo a) nei confronti di NOME COGNOME).
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, articolando motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio della motivazione perché mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in relazione all’art. 648 cod. pen.; la Corte di appello ha affrontato, errando in diritto, il tema posto dalla difesa in ordine al mancato accertamento del delitto presupposto, richiamando una giurisprudenza datata e non pacifica, a fronte di diverso orientamento, caratterizzato da maggiore rigore, che ha ritenuto necessaria quanto meno una identificazione delle tracce del reato presupposto; in tal senso appariva del tutto destituita di fondamento giuridico la affermazione relativa alla sussistenza di una corposa prova logica sulla base dei plurimi elementi indicati in sentenza (e precisati a pag. 7 del ricorso, ovvero entità del denaro, modalità di occultamento dello stesso, confezionamento, mancata comunicazione delle disponibilità di ingente somma di denaro, mancanza di plausibile giustificazione, violazione della disciplina in materia di detenzione di denaro contante, le condizioni economiche dei ricorrenti e gli accertamenti patrimoniali sugli stessi). In conclusione, il mero possesso di denaro contante in mancanza di un qualsiasi riscontro investigativo in ordine al delitto presupposto non poteva giustificare una affermazione di responsabilità. Nell’ambito dello stesso motivo di ricorso la difesa ha poi rilevato l’omessa motivazione in ordine alla posizione della COGNOME, avendo il giudice di appello ripreso in modo pedissequo la decisione di primo grado in assenza di qualsiasi
valutazione autonoma; la motivazione sul punto si appalesa anche come illogica e contraddittoria nel non ritenere utili e attendibili le giustificazioni fornite dalla COGNOME, con particolare riferimento alle fatture, alla data delle stesse ed alla presenza di operazioni non tracciabili, atteso che qualunque possesso di denaro contante sarebbe non tracciabile. Infine, si è sostenuta la apoditticità della motivazione nelle sue conclusioni, attesa la affermazione resa dalla Corte di appello secondo la quale pur non essendo stato identificato il reato presupposto comunque il denaro )i doveva ritenere di provenienza illecita.
2.2. Violazione di legge, erronea applicazione della legge penale ed omessa motivazione in relazione agli artt. 110, 648 cod. pen. in ordine alla affermata responsabilità della COGNOME a titolo di concorso; le spiegazioni rese dalla COGNOME sono state puntuali e specifiche (separata di fatto dal 2003 dal COGNOME vacanza come tentativo di riconciliazione, non coinvolta nella detenzione delle altre somme di denaro da riferire al solo NOME, proprietà delle sole somme rinvenute nella sua borsetta come emergente dalle fatture allegate). Poteva al massimo essere ritenuta una forma di connivenza, ma era da escludere un concorso e sul punto la Corte di appello ha omesso di motivare.
2.3. Violazione di norme processuali in relazione all’art. 64, comma 3 -bis cod. proc. pen., per avere i giudici di merito ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese dai ricorrenti in assenza dei prescritti avvisi; la motivazione resa sul punto è erronea attesa la inutilizzabilità patologica di tali dichiarazioni, non apparendo sufficiente a tal fine il richiamo alla scelta di accedere al rito abbreviato.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati per le ragioni che seguono.
Prima di esaminare separatamente i motivi di ricorso dei ricorrenti è opportuno richiamare alcuni principi di diritto, inerenti ad alcuni dei motivi di ricorso proposti. In tal senso si deve precisare come ci si trovi di fronte ad una affermazione conforme di responsabilità da parte dei due giudici di merito a seguito di richiesta di rito abbreviato formulata dai ricorrenti in primo grado.
1.1. GLYPH La Corte di appello ha pienamente condiviso, con motivazione logica e persuasiva, la decisione del giudice di primo grado, ricostruendo analiticamente la posizione e le condotte direttamente imputabili ai ricorrenti. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 19122901; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615-01; Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME). Pertanto, in presenza di una doppia conforme anche nell’iter motivazionale, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 26084101; Sez. 3, n. 13266 del 19/02/2021, Quatrini). Neppure la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, determina la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa, comunque, essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-01): ciò è riscontrabile nella sentenza impugnata, che ha esaminato ed espressamente confutato le deduzioni difensive negli aspetti fondamentali per ciascun ricorrente.
In sede di legittimità, quindi, non è censurabile la sentenza per il silenzio su una specifica doglianza prospettata con il gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente
considerata, essendo sufficiente escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., che essa evidenzi una ricostruzione dei fatti che implicitamente conduca alla reiezione della prospettazione difensiva, senza lasciare spazio a una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500-01; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643-01; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, dep. 2014, COGNOME Rv. 256879-01).
1.2. Occorre, inoltre, rilevare come i motivi proposti dai ricorrenti si caratterizzino per l’avere nella maggior parte della loro articolazione reiterato argomenti già introdotti con l’atto di appello. I ricorrenti hanno riproposto le proprie argomentazioni difensive al fine di giungere ad una lettura alternativa del merito, senza realmente confrontarsi con la motivazione logica e persuasiva della Corte di appello, che ha analiticamente ricostruito le condotte poste a base della condanna degli stessi. Le difese hanno, di fatto, sollecitato una rilettura delle prove acquisite in dibattimento, in contrasto con il diritto vivente. Deve essere, in tal senso, sottolineato che è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01).
Da ciò consegue l’inammissibilità di tutte le doglianze che criticano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto ciò una non ammissibile interferenza con la
valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965-01).
Ciò premesso, occorre in ordine logico affrontare previamente la eccezione processuale proposta con il terzo motivo di ricorso in ordine alla asserita inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai ricorrenti. Il motivo è generico e reiterativo, sicché il ricorso sul punto si deve considerare inammissibile. I ricorrenti difatti non si confrontano con la motivazione, che ha esplicitamente disatteso la medesima censura proposta in appello, evidenziando, quale ratio decidendi, come la affermazione di responsabilità non si basi affatto sulle dichiarazioni dei ricorrenti (pag. 8). Tale considerazione non è stata in alcun modo confutata dai ricorrenti e, dunque, il motivo sul punto si deve ritenere generico ed aspecifico, atteso che, a prescindere dalla natura della inutilizzabilità eccepita (in assenza anche di qualsiasi accenno alla prova di resistenza, Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416-01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262011-01) la Corte di appello non ha ritenuto tali dichiarazioni elemento necessario per giungere alla affermazione di responsabilità, così oggettivamente escludendole dal compendio probatorio posto alla base della decisione.
Il primo motivo di ricorso è infondato. La argomentazione difensiva proposta, secondo la quale sarebbe elemento risolutivo per escludere la responsabilità dei ricorrenti, il mancato riscontro giudiziale, quanto meno in ordine all’accertamento delle relative tracce, del delitto presupposto della ricettazione contestata, non coglie nel segno e non si confronta con il principio di diritto, correttamente evocato dalla Corte di appello, che qui si intende ribadire secondo il quale l’affermazione di responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudiziale GLYPH della commissione del delitto presupposto, né i suoi autori, né dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche, come avvenuto nel caso in esame (Sez. 2, n. 16012 del 14/03/2023, Scordamaglia, Rv. 284522-01; Sez. 2, n. 43532 del 19/11/2021, COGNOME, Rv. 282308-01; Sez. 2, n. 5616 del 15/01/2021, Grumo, Rv. 280883-02; Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277334-01; Sez. 1, n. 29486 del 26/06/2013, COGNOME, Rv. 256108-01; Sez. 2, n.
29685 del 05/07/2011, COGNOME, Rv. 251028-01). In tema di ricettazione tale orientamento è assolutamente costante ed è chiaramente fondato sulla portata della prova logica e dunque sull’insieme di elementi probatori acquisiti in giudizio al fine di ritenere, anche in considerazione al tipo di bene oggetto di accertamento (estremamente significativo nel caso di specie), se ricorra una adeguata giustificazione o meno in ordine al possesso del bene, tenuto conto della ricorrenza di una serie di elementi probatori che nel caso in esame sono stati ritenuti estremamente significativi. La Corte di appello ha difatti motivatamente disatteso le censure difensive sul punto (che il ricorrente analizza in modo parcellizzato, articolando conseguentemente una censura in parte generica in fatto) richiamando una serie di circostanze significative e riferibili (anche quanto al concorso della COGNOME) al caso concreto in modo inequivoco (vettura di proprietà terzi, quantità della somma di denaro occultata in diversi modi tra i beni riferibili ai ricorrenti, sproporzione della somma di denaro in considerazione della situazione di fatto che portava ad un ordinario controllo in sede di passaggio dalla Sicilia alla Calabria, possesso di un documento falso da parte del COGNOME, indagini patrimoniali, mai contestate, che evidenziavano la mancanza di validi elementi a sostegno e per giustificare una così consistente disponibilità di denaro contante, irrilevanza e non univocità del dato derivante dalle fatture provenienti dalla ricorrente in quanto documento unilateralmente formato e comunque non univoco, mancanza di redditi tali da giustificare la titolarità da parte della stessa di un cospicuo numero di immobili in diverse zone del Piemonte) in assenza di una valida giustificazione da parte dei ricorrenti.
4. La Corte di appello ha dunque fatto buon governo dell’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità secondo il quale risponde del reato di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità di beni di qualsiasi natura e di chiara provenienza non lecita, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del reato presupposto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso (Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, PG/ Kebe, Rv. 270120-01, Sez., n. 13599 del 13/03/2012, COGNOME, Rv. 252285-01, Sez.2, n. 50952 del 10/11/2016, COGNOME, Rv. 268643-01, Sez.2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713-01 tra le molte). Né coglie nel segno
l’osservazione difensiva con la quale è stata richiamata giurisprudenza di questa Corte, asseritamente caratterizzata da maggior rigore, in ordine alla valutazione relativa alla provenienza illecita del bene ricettato. In tal senso, occorre considerare che – a parte la fase procedimentale alla quale si riferiscono le decisioni evocate, cautelare, in tema di sequestro preventivo, del tutto diversa dalla fase dibattimentale affrontata nel caso in esame sulla base di plurimi elementi di fatto specificamente considerati dalla Corte di appello in assenza di aporie – il tema che viene posto è sempre relativo alla portata della prova logica, declinato in relazione al caso di specie.
Tale giurisprudenza ha ritenuto indicativi della provenienza illecita del bene alcuni elementi significativi ed in particolare: – il possesso di oggetti strumentali alla perpetrazione di altri reati (Sez.2, n. 28587 del 03/07/2024, Peritore, Rv. 286727-01), come avvenuto anche nel presente procedimento in considerazione della disponibilità in capo al ricorrente di un documento falso con la propria effigie ed ancora quanto all’essere il denaro trasportato su una vettura di proprietà di terzi; – la mancanza di redditi correlati alla disponibilità di somma di denaro o le particolari modalità di occultamento (Sez. 2, n. 10344 del 13/12/2024, COGNOME, Rv. 287719-01), come riscontrato nell’ambito della decisione impugnata, elemento questo integrato dall’esito delle indagini patrimoniali realizzate a carico di entrambi i ricorrenti (non coerenti con una disponibilità di denaro contante così elevata), che rendevano evidente una disponibilità di patrimonio immobiliare non correlata alla situazione economico finanziaria della COGNOME. Deve dunque essere ribadita la portata risolutiva, quanto alle contestazioni sollevate, della prova logica, resa nell’ambito di una motivazione chiara e priva di aporie, che non si presta a censure in questa sede.
5. Il secondo motivo di ricorso in ordine alla compartecipazione della COGNOME a titolo di concorso non è consentito, sia per la sua reiteratività, che per il mancato confronto con l’esplicita motivazione del giudice di appello, che ha pienamente condiviso la motivazione del giudice di primo grado sul punto (in particolare pag. 8 e 9 dove è stata evidenziata l’anomalia della detenzione in borsa da donna di una somma così rilevante di denaro, così come la presenza della maggior parte del denaro sequestrato in una valigia contente sia indumenti maschili che femminili e dunque alla stessa riferibili, oltre alla irrilevanza delle fatture dalla stessa prodotte, attesa la loro
provenienza unilaterale, non indicativa della effettiva sussistenza della causa ivi richiamata). Il motivo non si confronta dunque con la
motivazione dei giudici di merito e tende ad introdurre una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede.
6. I ricorsi devono in conclusione essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/05/2025.