Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2269 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2269 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/02/2023 della Corte d’appello di Napoli
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che i primi due motivi di ricorso, in punto di sussistenza e di procedibilità del reato presupposto dell’attribuito delitto di ricettazione, son manifestamente infondati, atteso che, da un lato, il suddetto reato presupposto è costituito non, come mostra di ritenere il ricorrente, dalla falsificazion dell’assegno ma dal furto o dall’appropriazione indebita dello stesso («provento di furto ovvero di appropriazione indebita») e che, dall’altro lato, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, il delitto di ricettazione sussiste anche quando il reato presupposto non sia punibile per difetto di querela (Sez. 2, n. 29449 del 18/06/2019, Raso, Rv. 276668-01);
ritenuto che il terzo motivo, in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, è anch’esso manifestamente infondato, atteso che la Corte d’appello di Napoli si è attenuta al consolidato orientamento della Corte di cassazione (per tutte, tra le moltissime: Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, Rv. 270120; Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, Alotta, Rv. 268713) secondo cui la
prova dell’elemento soggettivo della ricettazione può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e, quindi, anche dall’omessa o non attendibile indicazione, da parte del soggetto che ne abbia il possesso, della provenienza della cosa ricevuta, ciò che costituisce prova della conoscenza dell’illiceità della stessa provenienza – il che, come è stato altresì chiarito (Sez. 2, n. 20193 del 2017, cit.; Sez. 2, n. 53017 del 2016, cit.), non costituisce una deroga ai principi in materia di onere della prova, e neppure un vulnus alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice dell’art. 648 cod. pen. ch richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza della provenienza illecita della res, il necessario accertamento sulle modalità di acquisizione della stessa – e ha anche del tutto logicamente evidenziato, nella prospettiva della prova del dolo, l’alterazione dell’assegno con l’apposizione su di esso del nominativo dell’imputato (si veda la pag. 3);
ritenuto che il quarto motivo, con il quale si censura l’applicazione della recidiva contestata, è privo dei requisiti di specificità previsti, a pena inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen., in quanto si prospettano doglianze generiche, non scandite dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata con la quale i giudici del merito hanno adeguatamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici, le doglianze difensiv dell’appello (si vedano, in particolare, le pagg. 3-4);
ritenuto, infine, che la contestazione «dell’aumento applicato» appare aspecifica in quanto, dalla sentenza impugnata, non risultano applicati aumenti della pena base, commisurata nel minimo edittale;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 12 dicembre 2023.