Ricettazione e Favoreggiamento: la Cassazione traccia la linea di confine
Capita spesso che nel linguaggio comune i termini “ricettazione” e “favoreggiamento” vengano usati in modo intercambiabile. Tuttavia, nel diritto penale, rappresentano due reati distinti con presupposti e conseguenze molto diverse. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per chiarire questa importante distinzione, mettendo in luce come l’intento dell’agente sia l’elemento cruciale per qualificare la condotta. Approfondiamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
Il caso in esame
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte d’Appello per un reato contro il patrimonio. L’imputato contestava la sua responsabilità penale, sostenendo che la sua condotta dovesse essere qualificata, al più, come favoreggiamento reale e non come ricettazione. A suo avviso, mancava la prova del cosiddetto elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza e la volontà di agire per trarre un profitto dalla merce di provenienza illecita.
La difesa lamentava che i giudici di merito non avessero valutato correttamente le sue argomentazioni, limitandosi a riproporre le censure già sollevate e respinte in secondo grado. Il ricorso si fondava essenzialmente su due punti: la carenza di motivazione riguardo la sussistenza dell’intento di profitto e un’errata interpretazione giuridica della differenza tra i due reati contestati.
La decisione della Corte sulla distinzione tra ricettazione e favoreggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo infondato sotto ogni profilo. In primo luogo, i giudici hanno osservato che i motivi del ricorso erano generici e meramente riproduttivi di questioni già adeguatamente esaminate e risolte dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, con argomentazioni logiche e giuridicamente corrette, aveva già dimostrato l’esistenza di elementi che provavano la consapevolezza dell’imputato, o quantomeno la sua accettazione del rischio, circa la provenienza illecita della merce.
Le motivazioni
Il punto centrale della decisione riguarda la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso. La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire il consolidato orientamento giurisprudenziale sulla linea di demarcazione tra ricettazione e favoreggiamento reale. La distinzione, spiegano i giudici, non risiede nella condotta materiale (che può essere simile, come l’occultamento di un oggetto), ma nel diverso “atteggiamento psicologico” dell’agente.
Si configura il favoreggiamento reale quando una persona agisce nell’interesse esclusivo dell’autore del reato principale, con il solo scopo di aiutarlo a mettere al sicuro il profitto del suo crimine, senza trarre per sé o per altri alcuna utilità. L’azione è, per così dire, altruistica nei confronti del criminale.
Al contrario, si ha ricettazione quando l’agente agisce successivamente alla commissione del reato presupposto, mosso da un “dolo specifico”, ovvero con lo scopo preciso di trarre un profitto, per sé o per altri, dalla propria condotta ausiliatrice. Questo profitto non deve essere necessariamente di natura economica, ma può consistere in qualsiasi vantaggio o utilità.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il comportamento dell’imputato, alla luce delle prove raccolte, rientrasse pienamente nella fattispecie della ricettazione, in quanto la sua condotta era finalizzata a un tornaconto personale.
Le conclusioni
L’ordinanza in commento consolida un principio fondamentale del diritto penale: per distinguere tra ricettazione e favoreggiamento è indispensabile un’accurata indagine sull’intento che ha mosso l’agente. Se l’azione è volta a ottenere un vantaggio personale, si ricade nella più grave fattispecie della ricettazione. La decisione sottolinea, inoltre, l’inammissibilità dei ricorsi in Cassazione che si limitano a riproporre le stesse doglianze già respinte nei gradi di merito, senza introdurre elementi di critica specifici contro la logica della sentenza impugnata. Infine, la condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende funge da deterrente contro la proposizione di ricorsi palesemente infondati.
Qual è la differenza fondamentale tra il reato di ricettazione e quello di favoreggiamento reale?
La differenza risiede nell’atteggiamento psicologico dell’agente. Nel favoreggiamento, si agisce nell’interesse esclusivo dell’autore del reato per aiutarlo a conservare il profitto illecito, senza alcun vantaggio personale. Nella ricettazione, invece, si agisce con lo scopo specifico di trarre un profitto, per sé o per altri, dalla detenzione o occultamento della merce di provenienza illecita.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi erano privi di specificità, si limitavano a ripetere censure già respinte dalla Corte d’Appello e, soprattutto, proponevano un’interpretazione della legge in palese contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza sulla distinzione tra i due reati.
Cosa si intende per “dolo specifico” nel reato di ricettazione secondo questa ordinanza?
Per “dolo specifico” si intende l’intenzione precisa e diretta di trarre un profitto o un’altra utilità, per sé stessi o per terzi, attraverso la condotta di acquisto, ricezione o occultamento di un bene che si sa provenire da un delitto. È questo fine di lucro che qualifica il reato come ricettazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22365 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22365 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Torre Annunziata il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/11/2023 della Corte d’appello di Salerno
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo e il secondo motivo di ricorso, con i quali si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato per il delitto contestato con particolare riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo e in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, sono privi di specificità poiché meramente riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte di appello con corretti argomenti logici e giuridici (si vedano, in particolare, le pagg. 5 6 sugli elementi che provano la consapevolezza o, quantomeno, l’accettazione del rischio, della provenienza illecita della merce in capo all’imputato);
che il secondo motivo di ricorso è altresì manifestamente infondato poiché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, congruamente richiamato dai giudici di merito, secondo cui la distinzione tra il delitto di favoreggiamento reale e quello di ricettazione, nel caso di occultamento di un oggetto costituente
provento di reato, è individuabile nel diverso atteggiamento psicologico dell’agente, il quale opera, nel favoreggiamento, nell’interesse esclusivo dell’autore del reato, per aiutarlo ad assicurarsene il prezzo, il prodotto o il profit senza trarre per sé o per altri alcuna utilità e, invece, nella ricettazione successivamente alla commissione del reato presupposto, con il dolo specifico di trarre profitto, per sé o per terzi, dalla condotta ausiliatrice (Sez. 2, n. 10980 de 22/01/2018, COGNOME, Rv. 272370-01), come avvenuto nella specie alla luce del compendio probatorio agli atti;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 16 aprile 2024.