Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4967 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4967 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME, ritenuto che il primo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità in relazione al delitto di ricettazione non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché costituito da mere doglianze in punto di fatto e riproduttive dei motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
invero dalla lettura della sentenza impugnata risultano indicati convergenti elementi di prova logicamente dimostrativi della penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di ricettazione ascritto;
peraltro, la vicenda ricostruita dalla Corte d’appello rappresenta una situazione di fatto univocamente dimostrativa dell’illecito possesso;
invero, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio di diritto in forza del quale risponde del reato di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso (Sez. 2, Sentenza n. 20193 del 19/04/2017, Rv. 270120 – 01);
peraltro, la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, si è adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del resto questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, COGNOME, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, COGNOME, Rv. 248265). Nella sentenza impugnata
l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione del bene si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha affermato (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, COGNOME, Rv. 246324; Sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010, COGNOME, Rv. 247718) l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta la violazione di legge e la correttezza della motivazione in relazione alla determinazione della pena non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 4 della sentenza impugnata);
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2024
Il Consigliere est nsore
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La Presidente