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Ricettazione di foto: quando il reato non sussiste

Due soggetti, dopo aver messo in vendita un’auto online, ottengono la foto di un vaglia postale da una potenziale acquirente e ne creano una versione falsa per incassarlo. La Corte di Cassazione li assolve dal reato di ricettazione, stabilendo che non vi è stato possesso del bene illecito, ma solo la creazione di un falso da una fotografia, condotta che rientra nel tentativo di truffa. Quest’ultimo reato è stato poi dichiarato estinto per prescrizione.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricettazione e Truffa: la linea sottile tra possesso e falsificazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15725 del 2025, offre un importante chiarimento sui confini del reato di ricettazione. La pronuncia stabilisce che ricevere la semplice fotografia di un titolo di credito, per poi falsificarlo e tentare di incassarlo, non integra la ricettazione, ma rientra piuttosto nello schema del tentativo di truffa. Questa decisione analizza la differenza cruciale tra l’entrare in possesso di un bene di provenienza illecita e l’utilizzare una sua riproduzione per commettere un raggiro.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla vendita di un’autovettura su un noto portale online. I due imputati, venditori del veicolo, avevano convinto una potenziale acquirente a inviare loro la fotografia di un vaglia postale come prova della disponibilità economica. A loro dire, la foto era necessaria per effettuare delle ‘verifiche sul titolo’.

Una volta ottenuta l’immagine, i due soggetti hanno proceduto ad alterarla, creando un falso vaglia postale. Successivamente, si sono presentati presso un ufficio postale nel tentativo di riscuotere la somma, ma l’operazione non è andata a buon fine. Per questi fatti, sono stati condannati in primo e secondo grado per ricettazione del vaglia postale (che si presumeva di provenienza illecita) e per tentata truffa ai danni dell’ufficio postale.

I Motivi del Ricorso e la questione della ricettazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali. In primo luogo, ha sostenuto l’insussistenza del reato di ricettazione perché il reato presupposto (la falsificazione di una scrittura privata, art. 485 c.p.) sarebbe stato depenalizzato. In secondo luogo, ha contestato il reato di tentata truffa, affermando che non vi era stato alcun vantaggio economico per gli imputati né alcuna diminuzione patrimoniale per la parte offesa.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto in parte le tesi difensive, ma giungendo a conclusioni basate su un ragionamento giuridico differente e più approfondito.

Sull’Insussistenza della Ricettazione

Il punto centrale della decisione riguarda la ricettazione. I giudici hanno chiarito che, per configurare tale reato (art. 648 c.p.), è necessario che l’agente acquisti, riceva o occulti denaro o cose provenienti da un delitto. Nel caso di specie, gli imputati non hanno mai ricevuto un vaglia postale di provenienza illecita. Il vaglia originale è sempre rimasto nella legittima disponibilità della donna interessata all’acquisto dell’auto.

Ciò che gli imputati hanno ottenuto è stata una semplice fotografia di un titolo di credito perfettamente lecito. La successiva alterazione della foto e la creazione del falso documento non costituiscono un’azione di ricettazione, ma rappresentano il ‘raggiro’ congegnato per commettere la truffa. In altre parole, mancava l’oggetto materiale della ricettazione, ovvero un bene proveniente da un reato presupposto. La condotta degli imputati era finalizzata a creare ex novo un documento falso, non a ricevere un bene già ‘sporco’ all’origine.

Sulla Tentata Truffa e la Prescrizione

Per quanto riguarda la tentata truffa, la Corte ha giudicato infondato il motivo del ricorso. La difesa sosteneva che il reato non sussistesse per l’assenza di un danno patrimoniale. Tuttavia, i giudici hanno sottolineato che proprio l’assenza del danno e del profitto è ciò che caratterizza la forma ‘tentata’ del reato rispetto a quella ‘consumata’.

Nonostante ciò, la Corte ha dovuto prendere atto dell’intervenuta prescrizione. Il reato, commesso il 19 giugno 2017, si è estinto per il decorso del tempo massimo previsto dalla legge (sette anni e sei mesi, tenendo conto delle interruzioni) prima della pronuncia della sentenza definitiva. Di conseguenza, il reato di tentata truffa è stato dichiarato estinto.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza viene annullata senza rinvio. Gli imputati sono stati assolti dall’accusa di ricettazione perché il fatto non sussiste e il procedimento per la tentata truffa è stato archiviato per prescrizione. La decisione è di notevole importanza pratica perché traccia una netta linea di demarcazione: la manipolazione di una copia o di una fotografia di un documento per creare un falso è un’attività che rientra nella frode, non nella ricettazione, per la quale è indispensabile la ricezione materiale di un bene di provenienza delittuosa.

Ricevere la fotografia di un assegno o di un vaglia e falsificarla costituisce ricettazione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non si tratta di ricettazione perché l’agente non entra in possesso materiale del bene di provenienza illecita, ma utilizza una sua riproduzione per commettere un altro reato, come la truffa. La condotta di falsificazione della foto è parte del raggiro.

Perché il reato di tentata truffa è stato dichiarato estinto pur essendo stato ritenuto sussistente?
Il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione. Sebbene la Corte abbia ritenuto infondate le argomentazioni della difesa sulla sua insussistenza, è trascorso il tempo massimo previsto dalla legge (in questo caso, sette anni e sei mesi) dalla commissione del fatto senza che fosse intervenuta una sentenza definitiva.

Qual è la differenza fondamentale tra la condotta degli imputati e il reato di ricettazione?
La differenza fondamentale sta nell’oggetto dell’azione. Nella ricettazione, si riceve un bene che è già il prodotto di un reato (es. un assegno rubato). Nel caso esaminato, gli imputati hanno ricevuto l’immagine di un bene lecito e hanno poi creato essi stessi il documento falso. L’illecito non era nell’oggetto ricevuto, ma nell’azione successiva di falsificazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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