Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 288 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 288 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), nato a Berat (Albania) il DATA_NASCITA COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), nato a Fier (Albania) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/05/2024 della Corte d’appello di Genova visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME e di NOME, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, il quale ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30/05/2024, la Corte d’appello di Genova confermava la sentenza del 20/10/2022 del Tribunale di Imperia, emessa in esito a giudizio ordinario, con la quale NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati alla pena di quattro anni di reclusione ed C 4.000,00 di multa ciascuno per il reato di ricettazione della somma di denaro di C 292.130,00.
Avverso la menzionata sentenza del 30/05/2024 della Corte d’appello di Genova, hanno proposto ricorsi per cassazione, con un unico atto e per il tramite
dei propri difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidati a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e/o l’illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione della loro responsabilità e, in particolare, con riguardo alla ritenuta provenienza delittuosa del denaro di cui è stata loro attribuita la ricettazione.
Il COGNOME e il COGNOME lamentano che la Corte d’appello di Genova, nell’affermare tale provenienza delittuosa, avrebbe ignorato l’orientamento espresso da Sez. 2, n. 25221 del 18/05/2022, COGNOME (non massimata), relativamente alla necessità, ai fini della configurabilità anche solo del fumus dei reati contro il patrimonio che presuppongono la consumazione di un altro reato, «che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle relative fattispecie, sia individuato quantomeno nella sua tipologia, pur non essendone necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali».
Ciò posto, i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe censurabile sotto vari aspetti.
Essa, anzitutto, non sarebbe «idonea a scalfire le doglianze difensive», in quanto si sarebbe «limitata sostanzialmente a confermare la sentenza di primo grado» e, facendo ciò, avrebbe «sostanzialmente invertito l’onere della prova», atteso che avrebbe «in pratica […] ammesso che le circostanze del fatto non consentano l’individuazione della provenienza del denaro rinvenuto, e che di conseguenza mancando una plausibile spiegazione sul punto la stessa debba necessariamente essere illecita».
In secondo luogo, i ricorrenti contestano la valorizzazione, da parte della Corte d’appello di Genova, degli elementi costituiti dal «non aver richiesto la restituzione del denaro, nonché non aver fornito indicazioni circa la [sua] provenienza», e deducono in proposito che, poiché la disposizione incriminatrice dell’art. 708 cod. pen., che sanzionava il possesso ingiustificato del denaro (da parte di soggetti in determinate condizioni personali), è stata dichiarata incostituzionale, ne discenderebbe che «l’attuale quadro normativo richiede all’organo inquirente di effettuare ogni possibile indagine al fine di certificare la provenienza illecita del bene con margine di assoluta certezza».
Secondo i ricorrenti, tale accertamento della provenienza illecita del denaro sarebbe stato fatto dalla Corte d’appello di Genova «senza peraltro ottenere alcun esito, neppure indiziario», atteso che la stessa Corte si sarebbe «re[sa] conto evidentemente della mancanza di un elemento costitutivo del reato contestato, ma ciononostante con artifizi poco giuridici arriva ad emettere un giudizio di penale responsabilità», «cercando di adattare al caso di specie i principi espressi dalla
Suprema Corte in relazione a situazioni decisamente differenti, ignorando o sminuendo ciò che invece per attuale e costante giurisprudenza è richiesto venga accertato e dimostrato».
La Corte d’appello di Genova si sarebbe infine «illogicamente dilungata nell’evidenziare il comportamento degli imputati come se la loro strategia processuale potesse essere ritenuta un elemento probatorio a sfavore».
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 62-bis cod. pen. e, quindi, con riguardo alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
I ricorrenti contestano che la Corte d’appello di Genova avrebbe in proposito «stigmatizza[to]» la mancata partecipazione degli imputati al dibattimento, il che sarebbe «paradossale, nel senso che sotto un primo punto di vista la Corte territoriale ha fondato il proprio giudizio di colpevolezza anche sulla mancata spiegazione da parte degli imputati, della provenienza del denaro sequestrato, salvo poi negare, sempre in gran parte per il medesimo argomento, la concessione delle circostanze attenuanti generiche».
Il diniego della concessione di tali circostanze attenuanti non sarebbe condivisibile «laddove si consideri essere in presenza di una persona incensurata che la stessa Corte qualifica quale “autista”, regolare sul territorio italiano co permesso di soggiorno per motivi di lavoro ed altro individuo con un unico e risalente precedente penale».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo non è fondato.
1.1. Il principio di riferimento in tema di responsabilità ex art. 648 cod. pen. nel caso di possesso di consistenti somme di denaro è quello, più volte ribadito dalla Corte di cassazione, secondo cui integra il delitto di ricettazione la condotta di chi sia sorpreso nel possesso di una rilevante somma di denaro, di cui non sia in grado di fornire plausibile giustificazione, qualora, per il luogo e le modalità occultamento della stessa, possa, anche in considerazione dei limiti normativi alla detenzione di contante, ritenersene la provenienza illecita (Sez. 2, n. 43532 del 19/11/2021, COGNOME, Rv. 282308-01, relativa a una fattispecie concernente il rinvenimento della somma complessiva di oltre € 153.000,00 in contanti, occultata in luoghi diversi nella disponibilità dell’imputato, privo di stabile occupazione, che non aveva saputo indicarne la provenienza. Nello stesso senso: Sez. 2, n. 5616 del 15/01/2021, COGNOME, Rv. 280883-02).
Tale principio deve essere ribadito anche in quanto esso costituisce applicazione del più generale principio secondo cui l’affermazione della
responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudizial della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche (Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, COGNOME, Rv. 251028-01; Sez. 2, n. 10101 del 15/01/2009, COGNOME, Rv. 243305-01; Sez. 4, n. 11303 del 07/11/1997, COGNOME, Rv. 209393-01. In termini sostanzialmente analoghi: Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277334-01; Sez. 1, n. 29486 del 26/06/2013, Cavalli, Rv. 256108-01).
Né il suddetto principio si può ritenere in contrasto con l’affermazione della stessa Corte di cassazione secondo cui, ai fini della configurabilità del fumus dei reati contro il patrimonio che presuppongono la consumazione di un altro reato (artt. 648, 648-bis, 648-ter, 648-ter.1 cod. pen.), è necessario che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle relative fattispecie, pur non occorrendone la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali, s individuato quantomeno nella sua tipologia (Sez. 2, n. 25221 del 18/05/2022, COGNOME, non massimata, richiamata anche dai ricorrenti; Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, Cremonese, Rv. 282629-01; Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 277020-01). Tale orientamento, infatti, ha evidenziato l’impossibilità dell’apposizione di un vincolo cautelare che sia fondato sulla sola quantità di denaro contante rinvenuto in possesso di un soggetto, ma non ha escluso la possibilità di ritenere la sussistenza del menzionato fumus commissi delicti qualora, oltre a tale dato, si aggiungano ulteriori circostanze tali da suffragare la prova logica della provenienza delittuosa del denaro.
Da ciò discende che l’integrazione del delitto di ricettazione potrà essere riconnessa all’individuazione non soltanto di particolari modalità di occultamento del denaro contante, significative della volontà di occultarlo, ma, altresì, i presenza di accertati contatti con esponenti criminali, del coinvolgimento dell’agente in fatti di reato e, comunque, di ulteriori elementi che si possano ritenere significativi della provenienza del denaro da reato.
1.2. Ciò detto, il Collegio ritiene che la Corte d’appello di Genova abbia senz’altro evidenziato, con una motivazione non mancante né manifestamente illogica, plurimi elementi che convergevano univocamente nel senso della provenienza delittuosa della somma di denaro contante rinvenuta in possesso dei due imputati, segnatamente: la rilevanza di tale somma, geometricamente superiore rispetto ai limiti normativi previsti per i pagamenti in contanti, a front di un’assolutamente non coerente capacità reddituale sia del COGNOME (in Italia senza fissa dimora) sia del COGNOME (sprovvisto di leciti mezzi di sostentamento); l’occultamento del denaro, suddiviso in mazzette confezionate in modo rudimentale, all’interno dell’autovettura nella disponibilità degli imputat
l’intestazione della stessa autovettura a un terzo, il che avrebbe consentito, nel caso in cui in essa fosse stata oggetto di controllo in assenza degli occupanti, di non ricondurla ai medesimi; le circostanze che il COGNOME, in occasione di controlli da parte delle forze dell’ordine, era aduso declinare generalità sempre diverse (come risultava dai precedenti dattiloscopici agli atti) ed era stato fotosegnalato in Svizzera per traffico internazionale illecito di sostanze stupefacenti, sicché s doveva ritenere avere avuto quanto meno dei contatti con ambienti criminali di rilievo; il fatto che il denaro fosse stato trasportato, per essere evidentemente consegnato a terzi – come emergeva chiaramente dai fatti che: i due imputati erano risultati partiti da Torino ed erano stati sorpresi mentre si trovavano fermi, in una condizione di attesa, all’interno dell’autoporto di Ventimiglia, nel quale non vi era un’alternativa ragione per trattenersi; il COGNOME aveva in tasca una mazzetta da C 1.000,00, la quale appariva costituire il compenso per essersi prestato a fare da autista per il trasporto del denaro -, con le modalità che si sono dette e nel luogo convenuto di cui pure si è detto.
La Corte d’appello di Genova ha quindi legittimamente e logicamente rilevato come, a fronte degli indicati plurimi elementi che convergevano univocamente nel senso della provenienza delittuosa della somma di denaro, né alcuno dei due imputati aveva fornito qualsivoglia spiegazione alternativa circa l’origine della stessa somma né alcuno ne aveva rivendicato la legittima proprietà.
Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, pertanto, la Corte d’appello di Genova non ha basato l’affermazione di responsabilità sulla mera mancanza di giustificazioni della provenienza del denaro né ha «sostanzialmente invertito l’onere della prova» o inammissibilmente censurato la strategia processuale degli imputati, ma, anzitutto, ha indicato elementi che ha del tutto logicamente ritenuto dimostrativi della provenienza delittuosa del denaro e, poi, si è limitata a evidenziare, in modo, come si è detto, del tutto legittimo e parimenti logico, come, a fronte degli stessi elementi, gli imputati non avessero fornito alcuna ricostruzione alternativa.
Il secondo motivo non è consentito.
2.1. In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione dell attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fa riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare allo scopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163-01).
2.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello di Genova ha confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivo e prevalente, a tale fine, l’elemento della gravità della condotta delittuosa, e rilevando, comunque, l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo – come è del tutto legittimo fare, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62 -bis disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv. con modif. dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensurato dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986-01; Sez. 3 n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610-01) -, che gli imputati, anche in quanto non avevano partecipato al dibattimento, non avevano offerto (sicché, contrariamente a quanto mostrano di ritenere i ricorrenti, ciò che la Corte d’appello ha negativamente valorizzato non è la legittima scelta degli imputati di non partecipare al dibattimento ma l’assenza di elementi di segno positivo, che, anche – ma non solo – in ragione di detta scelta, non erano emersi).
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità che si sono sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/12/2024.