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Ricettazione di beni smarriti: l’ordinanza chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19852/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per ricettazione. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: impossessarsi di un bene smarrito, che conserva ancora i segni di un legittimo possesso, costituisce furto. Di conseguenza, chi riceve tale bene commette il reato di ricettazione. L’ordinanza ha inoltre confermato l’impossibilità di far prevalere le attenuanti generiche sulla recidiva reiterata, come previsto dal codice penale.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricettazione di beni smarriti: quando trovare un oggetto diventa reato?

Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione (n. 19852/2024) torna a fare luce su un tema delicato e spesso frainteso: la differenza tra un bene smarrito e un bene rubato, e le conseguenze penali per chi entra in possesso di tali oggetti. La decisione chiarisce che l’impossessamento di un oggetto smarrito ma palesemente di proprietà altrui non è una banale appropriazione, bensì un furto, aprendo la strada al più grave reato di ricettazione per chi lo riceve successivamente. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato in Corte d’Appello per il reato di ricettazione. La difesa dell’imputato si basava su due argomenti principali. In primo luogo, si contestava la stessa affermazione di responsabilità, sostenendo che il bene in questione fosse stato semplicemente smarrito e non provenisse da un delitto, presupposto essenziale per la configurabilità della ricettazione. In secondo luogo, si criticava la decisione dei giudici di merito di considerare equivalenti le circostanze attenuanti generiche e l’aggravante della recidiva reiterata, chiedendo invece che le prime venissero considerate prevalenti per ottenere una riduzione di pena.

La Ricostruzione dei Fatti e il Rischio di Ricettazione

Il primo motivo di ricorso mirava a una completa rivalutazione dei fatti, un’operazione che, come noto, è preclusa in sede di legittimità. La Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma un organo che valuta la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. I giudici hanno quindi respinto la richiesta, definendola un tentativo inammissibile di ottenere una “rilettura” degli elementi di fatto. La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio giuridico consolidato: lo smarrimento di un bene che conserva i segni esteriori di un legittimo possesso (come un telefono, un portafoglio o un documento) non fa venir meno il potere di fatto del proprietario su di esso. Di conseguenza, chiunque si impossessi di tale bene commette il reato di furto. L’ulteriore circolazione del bene, tramite trasferimento a terzi, integra il delitto di ricettazione a carico dei successivi possessori.

Il Bilanciamento tra Attenuanti e Recidiva Reiterata

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. L’imputato chiedeva che le attenuanti generiche venissero considerate prevalenti sull’aggravante della recidiva reiterata. Tuttavia, la Corte ha ricordato che tale operazione è esplicitamente vietata dalla legge. L’articolo 69, quarto comma, del codice penale stabilisce infatti il divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata. In questi casi, il giudice può al massimo dichiarare l’equivalenza tra le circostanze, come correttamente avvenuto nel caso di specie, ma non può far prevalere le attenuanti per diminuire la pena.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su due pilastri. Il primo riguarda i limiti del proprio sindacato: la Cassazione non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella, logicamente argomentata, del giudice di merito. Il secondo, di natura sostanziale, è la riaffermazione che la linea di demarcazione tra appropriazione di cose smarrite (depenalizzata) e furto risiede nell’apparenza del bene. Se un oggetto appare chiaramente come “perduto” e non “abbandonato”, chi lo prende commette furto. Di conseguenza, chi lo riceve, consapevole della sua provenienza illecita, è responsabile di ricettazione. Per quanto riguarda il bilanciamento delle circostanze, la motivazione è puramente normativa, basata sul chiaro divieto imposto dall’art. 69 c.p.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ha importanti implicazioni pratiche. Anzitutto, serve da monito: la condotta di chi trova un bene e decide di tenerlo per sé può avere conseguenze penali molto serie. Non si tratta di un comportamento innocuo, ma di un vero e proprio furto, che a sua volta diventa il reato presupposto per la ricettazione. In secondo luogo, la pronuncia conferma la rigidità del sistema sanzionatorio nei confronti dei recidivi reiterati, per i quali il legislatore ha previsto un trattamento più severo, escludendo la possibilità che le attenuanti possano prevalere e quindi neutralizzare l’aumento di pena previsto per la recidiva.

Se trovo un oggetto smarrito e me ne impossesso, commetto un reato?
Sì. Secondo l’ordinanza, se l’oggetto conserva segni esteriori che indicano un legittimo proprietario (es. un cellulare, un portafoglio), impossessarsene integra il reato di furto. Il semplice smarrimento non estingue il legame di possesso tra il bene e il suo titolare.

Cosa rischia chi acquista un bene che è stato smarrito e poi preso da un’altra persona?
Commette il reato di ricettazione. La Corte chiarisce che la successiva circolazione del bene, trasferito a terzi, configura il delitto di ricettazione per i possessori successivi, a condizione che siano consapevoli della sua provenienza illecita.

È possibile che le attenuanti generiche siano considerate più importanti della recidiva reiterata?
No. L’ordinanza ribadisce che l’articolo 69, quarto comma, del codice penale vieta espressamente al giudice di dichiarare le attenuanti prevalenti sulla recidiva reiterata. Al massimo, le circostanze possono essere considerate equivalenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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