Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31307 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31307 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Margherita di Savoia il 12/06/1975
avverso la sentenza del 12/02/2025 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/02/2025, la Corte d’appello di Bari confermava la sentenza del 09/03/2022 del Tribunale di Foggia con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni di reclusione ed C 400,00 di multa per il reato di ricettazione di tre assegni bancari di proprietà di NOME
Avverso la menzionata sentenza del 12/02/2025 della Corte d’appello di Bari, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione e applicazione dell’art. 159 cod. proc. pen. e dell’art. 9, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67.
Dopo avere riportato quanto scritto dalla Corte d’appello di Bari, in punto di fatto processuale, al secondo e al terzo capoverso della pag. 4 della sentenza impugnata, il Forte deduce che, poiché la sentenza di primo grado era stata pronunciata prima dell’entrata in vigore della riforma cosiddetta “Cartabia”, «la fattispecie dell’irreperibilità dell’imputato doveva essere sottoposta al diverso regime normativo ex art. 9 Legge n. 67 del 28.04.2014».
Dopo avere esposto tale normativa (in particolare, il contenuto degli artt. 420quater e 420-quinquies cod. proc. pen., come sostituiti dall’art. 9, commi 3 e 4, della legge n. 67 del 2014), il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Bari, «omettendo l’applicazione dell’art. 9 Legge n. 67 del 28.04.2014, ha pronunciato una sentenza affetta da nullità assoluta e insanabile, in quanto stante l’irreperibilità dell’imputato non avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 159 c.p.p. modificato dalla legge Cartabia, ma sulla scorta del precedente regime normativo, sospendendo il processo per un anno e con rinnovazione, alla scadenza annuale, delle ricerche dell’imputato irreperibile, salvo che le ricerche non avessero avuto esito positivo o nelle more l’imputato avesse nominato un difensore di fiducia o fossero maturati i presupposti per la pronuncia di una sentenza ex art. 129 c.p.p.».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione e applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
Sostiene che, contrariamente a quanto deciso dalla Corte d’appello di Bari, nella specie sarebbero esistiti tutti i presupposti per la pronuncia di una sentenza di assoluzione per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod pen., atteso che: 1) «la pena detentiva era nel massimo inferiore ad anni 2, ai sensi dell’art. 648, 2^ comma, c.p.»; 2) egli era incensurato, con la conseguente non abitualità del comportamento; 3) l’offesa era di particolare tenuità, in quanto «il carnet degli assegni ha un ridotto valore intrinseco, oltre alla circostanza che gli importi degli assegni negoziati erano di contenuto valore economico» (C 935,00, C 965,00 ed C 415,00) «e, soprattutto, non costituendosi parte civile nel procedimento penale, la parte offesa non ha fornito alcuna prova dei danni effettivamente subiti dalla condotta dell’imputato. Peraltro, considerato che, gli assegni indicati nel capo di imputazione, sono stati oggetto di denuncia di smarrimento ai CC di Margherita di Savoia da parte della P.O., non è nemmeno incorso nelle sanzioni amministrative da parte del Prefetto; così come la notifica della denuncia di smarrimento alla banca emittente ha escluso ogni tipo di sanzione a livello bancario», con la conseguenza che, «tante l’assenza di qualsiasi danno della parte offesa, la Corte Territoriale è incorsa nel palese errore di interpretazione ed applicazione dell’art 131 bis c.p.».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione e applicazione dell’art. 133 cod. pen.
Sostiene che la motivazione della Corte d’appello di Bari sulla determinazione della misura della pena sarebbe frutto di un’errata interpretazione e applicazione di detta disposizione codicistica in quanto la stessa Corte d’appello «ha omesso di considerare che la pena minima per il reato di ricettazione ex art. 648 c.p. è in anni 2 di reclusione e che, nel capo d’imputazione, all’imputato non veniva contestata alcuna circostanza aggravante, che potesse giustificare una pena base di anni 3 di reclusione; così come non vi era alcuna prova della gravità del danno cagionato alla persona offesa, atteso che non si costituiva parte civile nel procedimento penale e l’aver denunciato lo smarrimento degli assegni, escludeva qualsiasi tipo di sanzione amministrativa da parte del Prefetto. A tutto questo è necessario aggiungere, come riconosciuto in sentenza, il comportamento collaborativo dell’imputato, nel corso del giudizio di primo grado, che, costituiva unitamente al difetto di prova del danno subito dalla parte offesa, circostanza sufficiente per la quantificazione della pena partendo dal minimo edittale di anni 2 e ridotta di 1/3, per il riconoscimento delle attenuanti generiche, con irrogazione di una pena detentiva di anni 1 e mesi 4 di reclusione».
Da ciò l’asserita «palese violazione dell’art. 133 c.p. nella quantificazione della pena».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La disciplina che, secondo il Forte, avrebbe dovuto essere applicata dalla Corte d’appello di Bari, cioè quella degli artt. 420-bis, 420-quater e 420-quinquies cod. proc. pen., nel testo sostituito dall’art. 9, commi 2, 3 e 4, della legge n. 67 de 2014, applicabile ratione temporis al procedimento di primo grado svoltosi davanti al Tribunale di Foggia, è infatti una disciplina che riguardava l’instaurazione del processo di primo grado e non, come invece mostra di ritenere il ricorrente, anche del giudizio di appello.
La Corte di cassazione ha infatti chiarito che, in base alla medesima disciplina, invocata dal ricorrente, nel giudizio di appello non era prevista una nuova verifica dei presupposti di cui all’art. 420-bis cod. proc. peri., la quale è stata introdott per lo stesso giudizio, soltanto con l’art. 598-ter cod. proc. pen., inserito dall cosiddetta riforma “Cartabia” (precisamente, dall’art. 34, comma 1, lett. d, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), peraltro limitatamente alle ipotesi che sono specificamente indicate in tale articolo (Sez. 7, n. 7612 del 2961/2025, COGNOME, non massimata).
Nel giudizio di appello, si applicava pertanto la disciplina che era per esso prevista e, quindi, nel caso di irreperibilità dell’imputato, la notificazione decreto di citazione era correttamente eseguita mediante consegna di copia al difensore.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nella conforme sentenza di primo grado, il Tribunale di Foggia, nel ricostruire il fatto, ha evidenziato come il Forte avesse acquistato o comunque ricevuto più moduli di assegni in bianco provenienti dallo stesso carnet (ultimo capoverso della pag. 5), il che integrava un unico reato di ricettazione (Sez. 2, n. 23406 del 06/04/2017, COGNOME, Rv. 270522-01; Sez. 5, n. 19372 del 17/04/2013, COGNOME, Rv. 256504-01).
Il Tribunale di Foggia aveva anche sottolineato come i tre assegni di cui al capo d’imputazione fossero stati presentati per degli importi non trascurabili (C 935,00, C 965,00 ed C 415,00).
Quanto alla Corte d’appello di Bari, essa ha fatto corretta applicazione del principio, costantemente affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, nel caso di ricettazione avente a oggetto moduli in bianco di assegni o di documenti di identità, non è configurabile la circostanza attenuante della particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 648, quarto comma, cod. pen. (né quella di cui all’art. 62, 4, cod. pen.), poiché il valore da considerare per la valutazione del danno non è quello dello stampato, ma quello, non determinabile, derivante dalla sua potenziale utilizzabilità, anche per commettere ulteriori reati (Sez. 2, n. 14895 del 18/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279194-01; Sez. 2, n. 24075 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 264115-01; Sez. 2, n. 39825 del 22/05/2009, COGNOME, Rv. 245235-01; Sez. 2, n. 10139 del 27/02/1987, COGNOME, Rv. 176735-01).
Il Collegio ritiene che, in tale modo, i giudici del merito abbiano adeguatamente esposto, senza incorrere in alcuna contraddizione né illogicità, e facendo corretta applicazione degli indicati principi affermati dalla Corte di cassazione, le ragioni per le quali hanno reputato che, in considerazione delle indicate modalità della condotta ed entità del danno e del pericolo, l’offesa non si potesse ritenere di particolare tenuità, così correttamente disattendendo la richiesta del Forte di applicazione dell’esimente invocata per difetto del presupposto di essa costituito, appunto, dalla particolare tenuità dell’offesa.
Il terzo motivo non è consentito.
La giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nell’affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simil
nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (tra le tante, S 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283-01).
Anche successivamente, è stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolver al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01).
Nel caso di specie, la pena base irrogata di tre anni di reclusione ed C 600,00 di multa è di gran lunga al di sotto della media edittale della pena per il delitto d ricettazione (che è pari a cinque anni di reclusione ed C 5.422,50 di multa), con la conseguenza che l’obbligo di motivazione ben può ritenersi assolto dalla Corte d’appello di Bari mediante il riferimento alla gravità del fatto e del danno da esso cagionato alla persona offesa COGNOMEil quale, in conseguenza delle condotte dell’imputato, aveva anche ricevuto dal Prefetto di Foggia due contestazioni per l’illecito amministrativo di cui all’art. 2 della legge 15 dicembre 1990, n. 386), atteso che con tale motivazione la stessa Corte d’appello ha dato adeguatamente conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
Da ciò il carattere non consentito delle doglianze relative alla determinazione della misura della pena.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa dì inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
mm COGNOME Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle 00 GLYPH spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle cole·? 4 » COGNOME ammende.
Così deciso il 12/09/2025.
F CnC/ ryti r r g a i E