Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18420 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18420 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME, nato a Zhejiang (Cina) il DATA_NASCITA NOME COGNOME, nata il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/12/2023 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo i ricorsi siano rigettati;
udita L’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME COGNOME e di Dai COGNOME, la quale si è riportata ai motivi di ricorso e ha concluso chiedendo l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27/12/2023, il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da COGNOME e da COGNOME contro il decreto del 26/10/2023 del G.i.p. del Tribunale di Roma con il quale era stato disposto, nei confronti degli stessi COGNOME e COGNOME, il sequestro preventivo, impeditivo e finalizzato alla confisca, di denaro contante degli importi di C 160.000,00, C 3.965,00 ed C 2.400,00, oltre che di una macchinetta per contare i soldi, in relazione al fumus del delitto di ricettazione di tale denaro, in quanto proveniente
da «reati di evasione fiscale, di trasferimento fraudolento di beni e/o di esercizio abusivo di attività finanziaria» (come indicato dal G.i.p. del Tribunale di Roma).
Avverso tale ordinanza del 27/12/2023 del Tribunale di Roma, hanno proposto ricorsi per cassazione, con un unico atto e per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME e COGNOME, affidati a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) , cod. proc. pen., la violazione degli artt. 63, 191 e 352 dello stesso codice, «in punto di dichiarata legittimità dell’attività di racco informazioni e perquisizione di iniziativa posta in essere dalla p.g. nei confronti degli odierni ricorrenti al tempo non indagati».
Dopo avere premesso che «il primo motivo di doglianza del decreto di sequestro concerneva la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai ricorrent alla polizia giudiziaria e dopo avere trascritto tale motivo, i ricorre rappresentano in punto di fatto che la vicenda in esame ebbe inizio dalla domanda che fu loro posta dalla polizia giudiziaria, all’esterno del locale commerciale di INDIRIZZO, in Roma, riconducibile allo COGNOME, circa il possesso, da parte loro, «di eventuali beni e/o valori», con la conseguente risposta dello COGNOME di portare con sé C 160.000,00 in contanti.
Ciò rappresentato, i ricorrenti deducono: a) l’inutilizzabilità di tutte le propr dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, «sin dalla risposta fornita agli operant seguito della richiesta se i predetti possedessero eventuali beni e/o valori», ai sensi dell’art. 63 cod. proc. pen. e anche in quanto non raccolte in un verbale e non da essi sottoscritte; b) l’illegittimità della perquisizione del menzionato local commerciale di INDIRIZZO, in Roma, eseguita d’iniziativa della polizi giudiziaria successivamente a un contatto telefonico con il pubblico ministero mai confluito in un atto del fascicolo, in quanto effettuata a seguito di «un mero “sospetto” individuato dai militari in capo agli odierni ricorrenti» e, quindi, fu dei casi previsti dall’art. 352 cod. proc. pen., con la conseguente illegittimità de sequestro eseguito in esito a tale perquisizione.
I ricorrenti rappresentano che, con riguardo alla cosiddetta prova di resistenza, l’inutilizzabilità delle proprie dichiarazioni travolgerebbe le successiv attività di perquisizione del locale di INDIRIZZO ed il conseguente sequestro.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 648 cod. pen. «in punto di necessaria individuazione del delitto presupposto del reato di ricettazione contestato».
I ricorrenti lamentano anzitutto che il Tribunale di Roma avrebbe confuso l’individuazione del reato presupposto, quale elemento costitutivo della
ricettazione, con l’istituto della confisca per sproporzione di cui all’art. 240-bis cod pen.
I ricorrenti lamentano altresì che l’individuazione del reato presupposto che era stata operata dal G.i.p. del Tribunale di Roma sarebbe «di natura meramente terminologica», lacuna, questa, che non potrebbe essere superata, come fatto dallo stesso Tribunale, «richiamando una generica fluidità dell’incolpazione provvisoria, né tantomeno la sola circostanza dell’ingente somma di denaro o i precedenti dello COGNOME o ancora il rinvenimento (illegittimo) di una macchinetta contasoldi».
2.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 274 dello stesso codice, «in punto di periculum in mora».
Nel richiamare, tra l’altro, i principi che sono stati affermati dalla sentenza Ellade delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848-01), i ricorrenti deducono che la motivazione dell’ordinanza impugnata non potrebbe «considerarsi adeguata a giustificare l’adozione del provvedimento ablatorio con funzione anticipatoria della confisca», atteso che il ritenuto relativo periculum in mora sarebbe stato fondato sulla sola considerazione della natura del bene denaro sequestrato, senza l’indicazione delle ragioni per cui si dovesse ritenere che, nelle more del giudizio, lo stesso denaro potesse essere disperso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo non è fondato.
Dal verbale di perquisizione d’iniziativa della polizia giudiziaria e di sequestro, sempre d’iniziativa della polizia giudiziaria, risulta che la somma ci C 160.000,00 fu mostrata alla polizia giudiziaria dallo stesso COGNOME, cosicché, come si afferma anche nel ricorso, il medesimo denaro fu «spontaneamente consegnato dallo COGNOME».
Ne discende che nessuna violazione di norme processuali è stata commessa dalla polizia giudiziaria col procedere al sequestro preventivo d’iniziativa, anzitutto, della suddetta somma di denaro di C 160.000,00, atteso che, non essendo ancora intervenuto il pubblico ministero, lo stato di urgenza legittimava lo stesso sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321, comma 3-bis, secondo periodo, cod. proc. pen.
Quanto al sequestro delle ulteriori somme di C 3.965,00 e di C 2.400,00, oltre che della macchinetta per contare i soldi, eseguito a seguito della perquisizione del locale di INDIRIZZO, in Roma riconducibile allo COGNOME, si deve rammentare che la Corte di cassazione ha da tempo chiarito che, in tema di
sequestro, l’accertata illegittimità della perquisizione non invalida il conseguente sequestro, qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reato o a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro, in quanto riferito a cose obiettivamente sequestrabili, non dipende dalle modalità con le quali queste sono state reperite, ma è condizionato unicamente all’acquisibilità del bene e all’insussistenza di divieti probatori espliciti o univocamente enucleabili dal sistema (Sez. 6, n. 6842 del 09/01/2004, COGNOME, Rv. 227880-01, con la quale la Corte ha precisato che le cose sequestrate nel corso di una perquisizione illegittima si devono comunque considerare apprese in forza del potere dovere attribuito alla polizia giudiziaria dall’art. 354, comma 2, cod. proc. pen.). Tale principio è stato successivamente ribadito, tra le altre, da: Sez. 2, n. 15784 del 23/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269856-01; da Sez. 2, n. 26819 del 23/04/2010, COGNOME, Rv. 247679-01.
Pertanto, atteso il carattere di corpo del reato e di cosa pertinente al reato, rispettivamente, del denaro e della macchinetta per contare i soldi, tali cose si devono comunque considerare legittimamente apprese in forza del potere dovere che è attribuito alla polizia giudiziaria dall’art. 354, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen.
Ciò detto, si deve rilevare come il Tribunale di Roma abbia ritenuto la sussistenza del fumus del reato di ricettazione delle menzionate somme di denaro anche a prescindere dalle dichiarazioni che erano state rese alla polizia giudiziaria dai due ricorrenti – e, quindi, anche a prescindere dall’utilizzabilità o no delle stesse dichiarazioni – sulla scorta degli «elementi oggettivi», i quali erano emersi dai sequestri operati dalla polizia giudiziaria: a) dell’ingente somma in contanti di C 160.000,00 che era trasportata nell’automobile dei ricorrenti in assenza di alcuna giustificazione; b) delle non trascurabili somme, sempre in contanti, di C 3.695,00 ed C 2.400,00 che erano state rinvenute nel locale riconducibile allo COGNOME, nel quale era apparentemente venduta della minutaglia per casalinghi, cioè merce di poco valore, e che non era neppure dotato di registratore di cassa; c) del rinvenimento, nello stesso locale, della macchinetta per contare i soldi, cioè di uno strumento improprio rispetto alla vendita al dettaglio della menzionata merce di poco valore e, invece, strumentale alla commissione di condotte delittuose collegate alla disponibilità di denaro contante nella considerevole quantità suddetta.
2. Il secondo motivo non è fondato.
2.1. Il principio di riferimento in tema di responsabilità ex art. 648 cod. pen. nel caso di possesso di consistenti somme di denaro è quello, più volte ribadito dalla Corte di cassazione, secondo cui integra il delitto di ricettazione la condotta di chi sia sorpreso nel possesso di una rilevante somma di denaro, di cui non sia
in grado di fornire plausibile giustificazione, qualora, per il luogo e le modalità d occultamento della stessa, possa, anche in considerazione dei limiti normativi alla detenzione di contante, ritenersene la provenienza illecita (Sez. 2, n. 43532 del 19/11/2021, COGNOME, Rv. 282308-01, relativa a una fattispecie concernente il rinvenimento della somma complessiva di oltre C 153.000,00 in contanti, occultata in luoghi diversi nella disponibilità dell’imputato, privo di stabile occupazione, ch non aveva saputo indicarne la provenienza. Nello stesso senso: Sez. 2, n. 5616 del 15/01/2021, Grumo, Rv. 280883-02).
Tale principio deve essere ribadito anche in quanto esso costituisce applicazione del più generale principio secondo cui l’affermazione della responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche (Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, COGNOME, Rv. 251028-01; Sez. 2, n. 10101 del 15/01/2009, COGNOME, Rv. 243305-01; Sez. 4, n. 11303 del 07/11/1997, Bernasconi, Rv. 209393-01).
Né il suddetto principio si può ritenere in contrasto con l’affermazione della stessa Corte di cassazione secondo cui, ai fini della configurabilità del fumus dei reati contro il patrimonio che presuppongono la consumazione di un altro reato (artt. 648, 648-bis, 648-ter, 648-ter.1 cod. pen.), è necessario che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle relative fattispecie, pur occorrendone la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali, sia individuat quantomeno nella sua tipologia (Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, Cremonese, Rv. 282629-01; Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 277020-01). Tale orientamento, infatti, ha evidenziato l’impossibilità dell’apposizione di un vincolo cautelare che sia fondato sulla sola quantità di denaro contante rinvenuto in possesso di un soggetto, ma non ha escluso la possibilità di ritenere la sussistenza del menzionato fumus commissi delicti qualora, oltre a tale dato, si aggiungano ulteriori circostanze tali da suffragare la prova logica della provenienza delittuosa del denaro, nei limiti, ovviamente, della valutazione che è propria della fase cautelare.
Da ciò discende che il fumus del delitto di ricettazione potrà essere riconnesso all’individuazione non soltanto di particolari modalità di occultamento del denaro contante, significative della volontà di occultarlo, ma, altresì, in presenza d accertati contatti con esponenti criminali, del coinvolgimento dell’agente in fatti di reato e, comunque, di ulteriori elementi che si possano ritenere significativi della provenienza del denaro da reato.
2.2. Ciò detto, il Collegio ritiene che il Tribunale di Roma abbia senz’altro evidenziato, con una motivazione né mancante, né meramente apparente – e, di
più, logica – gli elementi significativi della provenienza delittuosa (da evasione fiscale, trasferimento fraudolento di valori o esercizio abusivo dell’attivit finanziaria) delle somme di denaro contante rinvenute e sottoposte a sequestro, segnatamente, la rilevanza delle stesse somme, geometricamente superiore rispetto ai limiti normativi previsti per i pagamenti in contanti, il possesso di un macchinetta per contare i soldi, i precedenti sia giudiziari sia di polizia dello COGNOME. Nonché, a fronte di tali elementi oggettivi, l’assenza di spiegazioni, da parte degli indagati, dell’origine del possesso delle somme in questione, attesi anche la modestia dell’attività commerciale svolta dallo COGNOME e, più in generale, della capacità reddituale dei due indagati, la quale era stata oggetto di compiute indagini.
Il Tribunale di Roma ha insomma dato conto di avere effettuato una compiuta valutazione degli elementi che, in concreto, deponevano nel senso della provenienza delittuosa delle somme, con la conseguenza che tale conclusione non è sindacabile in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen.
Il terzo motivo non è fondato.
La già citata sentenza El/ade delle Sezioni unite della Corte di cassazione, nell’affermare che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, ha peraltro precisato che tale motivazione potrà «essere diversamente modulat a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre».
Ciò posto, il Collegio reputa che, tenuto conto del fatto che, nel caso in esame, l’oggetto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca era costituito da denaro, cioè da un bene che, per le sue caratteristiche, è suscettibile di un’estremamente agevole dispersione, l’evidenziazione, da parte del Tribunale di Roma, delle modalità di conservazione dello stesso denaro (all’interno di una scatola di cartone gli C 160.000,00 e all’interno di una scatola da scarpe gli C 3.965,00) e dell’attuale e pregressa inettitudine della capacità reddituale dei due indagati costituisca spiegazione sufficiente, considerato anche lo stato interlocutorio del provvedimento, della necessità di anticipazione dell’effetto ablativo prima dell’intervento del provvedimento definitorio del giudizio.
Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processu Così deciso il 22/03/2024.