Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27135 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27135 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CUI : CODICE_FISCALE) nato in Brasile il 03/06/1993
avverso la sentenza del 14/11/2024 della CORTE di APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza resa in data 14 novembre 2024 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa il 23 aprile 2024 dal Tribunale di Verona, con la quale l’imputato NOME era stato dichiarato colpevole dei reati di cui agli artt .648 cod. pen. e 75, comma 5, del d.p.r. n. 309/1990, concedeva all’imputato la circostanza attenuante di cui all’art. 648, comma 4, cod. pen. e le circostanze attenuanti generiche, ritenute prevalenti rispetto alla contestata recidiva, con conseguente rideterminazione della pena.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva erronea applicazione degli artt. 624, 647 e 648 cod. pen. e mancanza di motivazione in ordine alla riqualificazione del reato presupposto rispetto a quello di ricettazione.
Assumeva in particolare che il reato presupposto, qualificato dalla Corte di merito nel delitto di furto, doveva essere più correttamente qualificato in quello di ci all’art. 647 cod. pen. (appropriazione di cose smarrite), abrogato nel 2016.
Dopo aver dato atto dell’esistenza di un contrasto di orientamenti giurisprudenziali, la difesa dichiarava di aderire all’orientamento minoritario secondo il quale il ritrovamento di un bene smarrito, ancorché chiaramente riferibile al soggetto proprietario (quale per esempio un documento d’identità) integrerebbe il reato di cui all’art. 647 cod. pen. e non quello di furto, ciò che farebbe venir meno, nel caso di specie, il delitto di ricettazione, stante l’assenza del reato presupposto.
Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile, se si considera che, secondo il prevalente – e consolidato ormai da molti anni, della qual cosa ha dato conto la Corte territoriale con la sentenza impugnata, così che deve ritenersi l’assenza di un contrasto di orientamenti giurisprudenziali in atto – orientamento del Giudice di legittimità, condiviso da questo Collegio, nell’ipotesi di smarrimento di cose che, come gli assegni, le carte di credito o le carte postepay, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne impossessa senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e che l’ulteriore circolazione del bene mediante il trasferimento a terzi comporta l’integrazione del reato di ricettazione da parte dei successivi possessori (cfr. ex multis, Sez. 2, n. 4132 del 18/10/2019, Slavov, Rv. 278225 – 01).
Nella specie, trattandosi di ricettazione di una carta d’identità, che evidentemente conserva chiaro il segno esteriore di un possesso altrui, deve ritenersi sussistente il delitto presupposto di furto e, di conseguenza, il contestato reato di ricettazione.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle
statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato
senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 15/05/2025