Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9896 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9896 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a MANDURIA il 01/06/1978
NOME nato a SAN MARZANO DI SAN GIUSEPPE il 27/11/1976
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di Taranto visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata per la Spina e l’inammissibilità del ricorso dello COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
La Sezione distaccata di Taranto della Corte d’appello di Lecce ha confermato, quanto agli odierni ricorrenti, la sentenza con cui, il 21/06/2023, il Tribunale aveva riconosciuto NOME COGNOME e NOME COGNOMEunitamente a NOME COGNOME che ha invece assoito) responsabili del delitto di ricettazìone in
concorso per avere detenuto merce di provenienza delittuosa per cui, riconosciuta la attenuante del fatto di cui al quarto comma dell’art. 648 cod. pen. stimata equivalente alla contestata recidiva per NOME COGNOME aveva condannato quest’ultimo alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 516,00 di multa, e la Spina alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 150 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;
ricorrono per cassazione sia lo COGNOME che COGNOME con ricorsi distinti, dal contenuto pressoché integralmente sovrapponibile, redatti dal medesimo difensore che deduce in entrambi i casi:
2.2 violazione di legge con riferimento alla mancata riqualificazione del fatto nella contravvenzione di cui all’art. 712 cod. pen.: segnala che la Corte d’appello, a fronte della sollecitazione difensiva, ha invertito l’onere della prova e, con ricorso a mere presunzioni, ha argomentato sulla configurabilità dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione;
2.1 contraddittorietà, mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla responsabilità per il delitto di cui all’art. 648 cod. pen.: rileva che sentenza impugnata, come quella di primo grado, si fonda su una errata valutazione dei fatti e su una inesatta interpretazione della legge; segnala che la Corte territoriale non ha sciolto il problema dell’identificazione di colui che aveva materialmente posto in atto la condotta di ricettazione non avendo centrato gli elementi su cui fondare la affermazione secondo cui proprio gli odierni ricorrenti avessero acquistato, ricevuto o occultato i beni di provenienza delittuosa; ribadisce che sia lo COGNOME che la COGNOME risultano residenti altrove non potendosi dar rilievo alle dichiarazioni rese sul punto dal teste COGNOME fondate su presunte “conoscenze dell’ufficio”; ribadisce come i giudici di merito non abbiano chiarito sulla base di quali elementi fosse stato possibile attribuire la condotta di ricettazione allo COGNOME piuttosto che alla COGNOME o all’COGNOME non potendosi evidentemente dar rilievo al silenzio serbato dagli imputati nel corso del processo; aggiunge come sia incomprensibile il motivo per il quale l’COGNOME è stato assolto mentre lo COGNOME considerato responsabile quale “primo detentore” e la COGNOME, dal canto suo, in quanto “a conoscenza” dei beni, ovvero tenendo costei una condotta qualificabile al più in termini di mera connivenza; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3 contraddittorietà, mancanza o manifesta illogicità della motivazione in punto di determinazione della pena e di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: lamenta l’omessa esplicitazione dei criteri che avevano portato alla individuazione della pena inflitta e, per altro verso, la assolut mancanza di motivazione – pur a fronte della sollecitazione difensiva formulata con l’atto di gravame – sul diniego delle circostanze attenuanti generiche;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata quanto alla posizione della Spina e limitatamente all’omesso riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale; per l’inammissibilità del ricorso nei resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Rileva il collegio che le due sentenze di merito hanno restituito una ricostruzione della vicenda che, invero, nella sua dimensione puramente fattuale è rimasta incontestata tanto da essere stata espressamente richiamata nel primo motivo dei due ricorsi: era emerso, infatti, che, in data 18/10/2016, personale dei CC della Stazione di San Marzano di San Giuseppe, nel corso di una perquisizione domiciliare diretta alla ricerca di armi eseguita presso l’abitazione dello Zaccaria, alla presenza anche degli altri due imputati, moglie e fidanzato della figlia del predetto, tutti ivi residenti, aveva rinvenuto, all’interno di un locale pertinenzial il materiale dettagliatamente descritto nell’imputazione e di cui sarebbe stata accertata la (pacifica) provenienza furtiva.
Al fine della affermazione della penale responsabilità di tutti e tre gli imputati, il primo giudice aveva valorizzato la comune disponibilità di quel materiale in quanto custodito nell’abitazione ove gli imputati, legati da rapporti di coniugio e parentela, avevano ormai da tempo stabilito la loro dimora; per altro verso, ed a fronte di questo dato obiettivo, il Tribunale aveva attribuito rilievo a silenzio da costoro sempre serbato nel corso del processo da cui erano rimasti assenti e che aveva portato ad argomentare sull’impossibilità di ricondurre la vicenda nella ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 712 cod. pen. di stampo colposo laddove la condotta di “latitanza” processuale degli imputati militava, invece, per il fondamento doloso della condotta di ricezione dei beni di incontestata provenienza delittuosa.
Dal canto suo, la Corte d’appello (cfr., pag. 4) ha ribadito che la dislocazione dei beni – che, per le loro natura e quantità non poteva che essere destinato alla vendita e non già alla diretta fruizione – escludeva che alcuno degli imputati, ivi residenti, potesse ignorarne l’esistenza.
Ha sostenuto, pertanto, che lo COGNOME doveva rispondere del delitto di ricettazione quale “primo detentore” in quanto “… diversamente i beni non sarebbero stati depositati presso quell’abitazione …” (cfr., pag. 5 della sentenza in verifica) laddove la COGNOME doveva ritenersi egualmente responsabile in quanto a “… a conoscenza di detti beni” (cfr., ivi).
Ha invece escluso la responsabilità dell’COGNOME, fidanzato della figlia dei due in quanto, benché convivente con costoro, “… non gli si può certo addebitare la disponibilità della casa” sicché “pur nella consapevolezza della provenienza delittuosa di tali merci non aveva alcuna possibilità di opporsi alle condotte illecite altrui” (cfr., ivi, pag. 7).
3.1 Il ricorso di NOME COGNOME.
Il ricorso dello COGNOME è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate.
3.1.1 I giudici di merito, infatti, hanno congruamente motivato in ordine alla riferibilità della ricezione, da parte dell’imputato, del materiale di provenienza delittuosa ed hanno a tal fine valorizzato, in termini logicamente ineccepibili, la disponibilità, in capo al medesimo, del luogo in cui esso era stato ricoverato; ed è proprio alla luce di questo dato fattuale che i giudici di merito hanno potuto attribuire rilievo significativo al silenzio serbato dallo COGNOME che mai ha ritenuto di fornire una qualsivoglia spiegazione dell’esistenza di beni provento di furto presso la sua abitazione.
Ed è allora utile ribadire che nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tes difensiva (cfr., Sez. 2 , n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese Virginia, Rv. 278373 01; Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, Weng ed altro, Rv. 255916 – 01; Sez. 2, n. 7484 dei 21/01/2014, PG e PC in proc. Baroni, Rv. 259245 01; Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu Rv. 261657 – 01; Sez. 4, n. 12099 del 12/12/2018, Fiumefreddo, Rv. 275284 – 01).
3.1.2 Manifestamente infondato è anche il secondo motivo del ricorso: è appena il caso di ribadire che il discrimine, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, tra il delitto di ricettazione, punibile come è noto anche a titolo di dol eventuale, e la contravvenzione di incauto acquisto, sta nel fatto che, nella ricettazione (con dolo eventuale), l’agente, pur rappresentandosi chiaramente la possibilità che il bene acquistato o ricevuto abbia una provenienza delittuosa, avendo colto gli elementi di allarme che lo abbiano effettivamente messo in guardia, decide ciò non di meno di riceverlo o acquistarlo, accettando consapevolmente il rischio di concretizzare una condotta delittuosa (cfr., Sez. U, n. 12433 dei 26/11/2009, Nocera, Rv. 246323 – 01); nella contravvenzione, invece, ciò che si rimprovera all’agente è di non aver colto quegli
elementi di fatto (individuati dal legislatore nella natura del bene acquistato o ricevuto, nella qualità della persona che lo abbia offerto ovvero nella entità del prezzo) che avrebbero dovuto allarmarlo circa la provenienza del bene di cui si discute e che, invece, siano stati colpevolmente ignorati (cfr., Sez. 2, n. 51056 del 11/11/2016, Rv. 268945 – 01 in cui la Corte ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato contravvenzionale di cui all’art. 712, comma primo cod. pen., non è necessario che l’acquirente abbia effettivamente nutrito dubbi sulla provenienza della merce, dovendosi invece ritenere che il reato sussista ogni qualvolta l’acquisto avvenga in presenza di condizioni che obiettivamente avrebbero dovuto indurre al sospetto, indipendentemente dal fatto che questo vi sia stato o meno).
3.1.3 II terzo motivo del ricorso dello COGNOME è, a sua volta, manifestamente infondato: la Corte d’appello, nel respingere la sollecitazione difensiva articolata in punto di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha dato rilievo alla personalità del ricorrente, già gravato da precedenti penali; ed è noto che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli da lui ritenuti decisivi comunque rilevanti, rimanendo in tal modo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr., Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, COGNOME, Rv. 275509 03;
Del tutto congruamente, pertanto, i giudici di merito hanno desunto, dal silenzio sempre serbato dall’imputato, la prova del dolo (ovvero della consapevolezza, diretta o indiretta, della provenienza delittuosa della res), così ctarain conformandosi al consolidato orientamento secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente con la precisazione per cui ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un “vulnus” alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della “res”, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (cfr., così, Cass. Pen., 2, 22.11.2016 n. 53.017, Alotta; Cass. Pen., 2, 27.10.2010 n. 41.423, Tenne; Cass. Pen., 2, 19.4.2017 n. 20.193, P.G. in proc. Kebe; Cass. Pen., 2, 22.11.2016 n. 53.017, COGNOME; Cass. Pen., 2, 10.11.2016 n. 52.271, Agyemang; Cass. Pen., 2, 26.11.2013 n. 50.952, Telli; Cass. Pen., 1, 13.3.2012 n. 13.599, Pomella); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 271269 GLYPH 01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826 – 01).
3.2 II ricorso di NOME COGNOME.
Il ricorso è fondato.
Come accennato, infatti, la Corte d’appello ha ritenuto di poter ascrivere all’imputata il delitto in esame sul rilievo secondo cui costei, moglie coabitante dello COGNOME, era “a conoscenza” dei beni ricoverati nella comune dimora.
Si tratta, evidentemente, di una motivazione inadeguata a fondare la responsabilità dell’imputato per delitto in esame.
È pacifico, infatti, che il delitto di ricettazione sia di natura istantanea, c si consuma, cioè, nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa di provenienza delittuosa (cfr., così, Sez. 2, n. 26106 del 21/03/2019, COGNOME, Rv. 276057 – 01, in cui la Corte ha spiegato che, proprio in considerazione della natura istantanea del reato, ai fini della determinazione della competenza per territorio non può essere attribuito alcun rilievo ai luogo in cui è stata accertata l detenzione della cosa, ma occorre, invece, verificare l’esistenza di dati indicativi del luogo in cui la cosa può essere venuta in possesso del reo; conf., Sez. 2, n. 23406 del 06/04/2017, COGNOME, Rv. 270522 – 01).
Questa Corte ha pertanto ripetutamente affermato che non risponde del reato colui che, non avendo preso parte alla commissione del fatto, si limiti a fare uso del bene unitamente agli autori dei reato, pur nella consapevolezza della illecita provenienza, non potendosi da questa sola successiva condotta desumere l’esistenza di una compartecipazione quanto meno d’ordine morale, atteso che il reato di ricettazione ha per l’appunto natura istantanea e non è ipotizzabile una compartecipazione morale “susseguente”, per adesione psicologica, ad un fatto criminoso da altri commesso (cfr,, così, ad esempio, Sez. 5, n. 42911 del 24/09/2014, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 260684 GLYPH 01; Sez. 2, n. 51424 del 05/12/2013, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 258582 GLYPH 01; Sez. 2, n. 23395 del 13/04/2011, COGNOME, Rv. 250689 – 01; cfr., ancora, Sez. 2, n. 29561 del 20/07/2020, COGNOME, Rv. 279969 – 01, in cui la Corte, dopo aver ribadito che il delitto di ricettazione ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa, ha sottolineato che a nulla rileva, al fine di configurare differenti ipotesi di ricettazione in relazione allo ste bene, la condotta successiva alla ricezione volta al conseguimento di un ingiusto profitto, che non rappresenta un elemento costitutivo del reato).
La sentenza impugnata va pertanto annullata, senza rinvio, nei confronti della COGNOME per non aver commesso il fatto.
L’inammissibilità del ricorso dello COGNOME comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod., proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME Cosimo che condanna ai pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME perché l’imputata non lo ha commesso.
Così è deciso, 14/02/2025
GLYPH
Il Consigliere est hsore
Il Presidente
NOME COGNOME
GLYPH NOME COGNOME COGNOME