Ricettazione compro oro: quando il ricorso in Cassazione è solo una perdita di tempo
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il caso di ricettazione compro oro, fornendo importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità del ricorso e sulla valutazione della condotta dell’imputato. La decisione conferma che la mera riproposizione dei motivi già respinti in appello, senza una critica puntuale alla sentenza impugnata, conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e i principi espressi dalla Suprema Corte.
I fatti del caso: la gestione irregolare dei preziosi
Il caso ha origine dalla condanna inflitta al titolare di un’attività commerciale di ‘compro oro’, ritenuto responsabile del reato di ricettazione. La Corte d’Appello aveva confermato la sua colpevolezza, basando la decisione su elementi oggettivi che dimostravano la sua malafede. In particolare, era emerso che i beni di provenienza illecita, una volta ricevuti, non venivano né iscritti nell’apposito registro di carico-scarico, né conservati nei locali del negozio. Al contrario, venivano venduti singolarmente e a più riprese, una modalità operativa che, secondo i giudici di merito, denotava la piena consapevolezza della loro origine delittuosa e la volontà di reintrodurli sul mercato in modo occulto.
La decisione della Cassazione sulla ricettazione compro oro
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, articolandolo su due motivi principali: un presunto vizio di motivazione sulla sua responsabilità e l’eccessività della pena inflitta. La Suprema Corte ha rigettato entrambe le censure, dichiarando il ricorso inammissibile.
Il primo motivo: la genericità del ricorso
La Corte ha qualificato il primo motivo come inammissibile per aspecificità. Gli argomenti presentati dall’imputato non erano altro che una ‘pedissequa reiterazione’ di quelli già esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. Un ricorso in Cassazione, per essere ammissibile, deve contenere una critica specifica e argomentata contro la decisione impugnata, evidenziandone i vizi logici o giuridici, e non limitarsi a ripetere le stesse difese. Mancando questa specificità, il motivo è stato ritenuto solo ‘apparente’ e quindi inidoneo a superare il vaglio di ammissibilità.
Il secondo motivo: la discrezionalità sulla pena
Anche il secondo motivo, relativo alla presunta eccessività della pena, è stato respinto. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la graduazione della pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Tale potere deve essere esercitato nel rispetto dei principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale. In questo caso, la Corte d’Appello aveva correttamente motivato la sua decisione, escludendo anche l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) in ragione della gravità della condotta e del danno patrimoniale arrecato alla vittima.
Le motivazioni della Corte
La motivazione della Cassazione si fonda sulla distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. La ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove, così come la determinazione della pena, sono compiti esclusivi dei giudici di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito, ma solo verificare la correttezza logico-giuridica del loro ragionamento. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza d’appello è stata ritenuta adeguata, logica e congrua. I giudici avevano spiegato chiaramente perché la gestione irregolare dei beni da parte di un operatore professionale come il titolare del ‘compro oro’ costituisse un solido indizio della sua malafede.
Conclusioni: implicazioni pratiche della pronuncia
Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, ribadisce l’inutilità di presentare ricorsi in Cassazione che si limitano a ripetere argomenti già sconfessati nei gradi di merito, senza una critica specifica e pertinente. In secondo luogo, evidenzia come, nel reato di ricettazione compro oro, la condotta professionale dell’operatore sia un elemento centrale per la valutazione del dolo. La corretta tenuta dei registri e la trasparenza nella gestione dei beni non sono meri adempimenti burocratici, ma presidi di legalità la cui violazione può fondare una condanna per ricettazione.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è inammissibile per aspecificità quando si limita a una ‘pedissequa reiterazione’ dei motivi già dedotti e respinti in appello, senza formulare una critica argomentata e specifica contro la sentenza impugnata.
Come viene provata la malafede nella ricettazione per un operatore ‘compro oro’?
La malafede (cioè la consapevolezza della provenienza illecita dei beni) può essere desunta da elementi oggettivi e modalità della condotta, come la mancata iscrizione dei beni nel registro di carico-scarico, la loro conservazione fuori dai locali commerciali e la rivendita singola e ripetuta, che nel complesso indicano la volontà di occultarne l’origine.
La Corte di Cassazione può ridurre una pena ritenuta eccessiva?
No, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare questa valutazione, a meno che la motivazione del giudice sia manifestamente illogica o del tutto assente, cosa che non si è verificata nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19853 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19853 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a FERRARA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME,
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, è inammissibile per aspecificità, perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
considerato che il giudice del merito ha adeguatamente illustrato le ragioni della decisione, avendo spiegato alla pagina 3 della sentenza impugnata che la sussistenza dell’elemento soggettivo si desume chiaramente dalle modalità di custodia delle res consegnate al COGNOME, le quali non venivano né appositamente iscritte nel registro di carico-scarico, né conservate nei luoghi del negozio, ma vendute singolarmente a più riprese, costituendo tutti questi elementi indicativi dello stato di malafede dell’imputato e Vi 2 a conseguente consapevolezza della provenienza delittuosa degli oggetti;
Considerato che il secondo motivo di ricorso, che contesta l’eccessività della pena non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché si risolve in valutazioni di merito; esso è anche manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
rilevato che nella specie l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, così come si evince a pagina 4 della sentenza impugnata, nella parte in cui il giudice di appello esclude l’applicazione dell’istituto di cui all’art.13 bis cod. pen. in virtù di un fatto non considerabile di particolare tenuità in ragione della lesione al patrimonio del soggetto derubato delle res e della gravità della condotta del COGNOME, il quale, titolare di un’attività professionale di ‘compro oro’, si è adibito alla reintroduzione nel mercato di beni di provenienza delittuosa;
Rilevato che la richiesta deve essere dichiarata inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 6 marzo 2024.