Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17843 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17843 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
NOME NOMECOGNOME nato a Vicenza il 26/12/1963
avverso la sentenza del 10/06/2024 della Corte di appello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Trieste ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 10 novembre 2021 dal Tribunale di Udine nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 81-648 cod. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ribadita affermazione di responsabilità, fatta discendere automaticamente dall’ipotizzato esercizio abusivo dell’attività di Compro Oro da cui sono stati acquistati i monili oggetto di contestazione. Posto che il fine di profitto dovrebbe in astratto discendere proprio dalla provenienza delittuosa della
cosa, la semplice mancata iscrizione della gioielleria nel registro degli operatori di settore non avrebbe rilevanza quanto all’integrazione del fatto tipico e alla consapevolezza del rispetto da parte del venditore della normativa fiscale e, in genere, dell’origine delle res .
2.2. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ribadita sussistenza del dolo, sia pure eventuale, omettendo di considerare i cospicui elementi di segno contrario (la sede dell’esercizio commerciale, nella piazza centrale del paese; il congruo prezzo corrisposto; l’oggetto delle trattative, sempre incentrate sul mero peso dell’oro; la contestazione avvenuta solo in relazione ad alcuni acquisti; la logica presunzione della regolarità amministrativa dell’impresa venditrice).
2.3. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata revoca del sequestro del denaro, in difetto di riscontri della ipotizzata provenienza illecita e sulla base di semplici congetture, a fronte dell’allegata disponibilità di redditi leciti.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile, in quanto articolato con motivi meramente reiterativi, prettamente fattuali e, comunque, manifestamente infondati.
Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente.
L’illiceità dell’attività di RAGIONE_SOCIALE ( rectius , la penale rilevanza: art. 8, d.lgs, 25 maggio 2017, n. 92, «Chiunque svolge l’attività di compro oro, in assenza dell’iscrizione al registro degli operatori compro oro di cui all’articolo 3, Ł punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 2.000 euro a 10.000 euro») Ł ampiamente chiarita nella sentenza impugnata (pp. 5-6), e non risulta, in sØ, contestata dal ricorrente, nonostante la contestazione l’avesse correttamente indicata come reato presupposto. Peraltro, per quanto attiene ai fatti contestati al capo B, la provenienza delittuosa dei monili derivava – ulteriormente e preliminarmente, rispetto al citato delitto dall’essere, almeno in parte, l’accertata refurtiva di plurimi furti, dettagliatamente accertati (e, quanto al capo A, la natura di refurtiva poteva parimenti desumersi dal chiarissimo analogo contesto, non essendo necessario accertare tutti gli estremi storici e fattuali del reato presupposto, nØ la sua esatta tipologia, potendosene affermare l’esistenza sulla base di congrue prove logiche; cfr. Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277334-01; Sez. 1, n. 29486 del 26/06/2013, COGNOME, Rv. 256108-01; Sez. 6, n. 28715 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 257206-01; Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, COGNOME, Rv. 251028-01). Con tutti tali elementi, l’imputato non si misura, evidenziando così, in parte qua , un primo profilo di aspecificità.
Premesso, poi, che il fine di profitto, disegnato dalla norma incriminatrice sub specie di dolo specifico, prescinde – con ogni evidenza e al contrario della coscienza e volontà di ogni elemento della fattispecie, postulata invece dal sottostante dolo generico – dal fatto che la cosa acquistata o ricevuta sia provento di delitto (Sez. 2, n. 45071 del 14/10/2021, COGNOME, Rv. 282508-01; Sez. 2, n. 15680 del 22/03/2016, COGNOME, Rv. 266516-01, secondo cui il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione, può avere anche natura non patrimoniale. Conforme, in tema di furto, Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145-01), il ricorrente, reiterando sul punto censure, perlopiø schiettamente fattuali, già proposte con l’atto di gravame e puntualmente disattese dai giudici di appello, tralascia un effettivo confronto con l’ampio e solido apparato argomentativo.
La conoscenza dell’assoluta irregolarità dell’intero contesto di compravendita Ł stata esplicitata in maniera piø che adeguata dai giudici di merito, richiamando la qualità di professionista esperto in capo all’imputato, gli orari degli incontri sempre nei momenti di chiusura al pubblico della gioielleria, il costante e totale mancato rispetto degli obblighi di legge da parte dei venditori, il contenuto delle conversazioni intercettate (pp. 6-8). Rispetto a ciò, le censure difensive non solo si pongono in un’ottica meramente confutativa, ma tralasciano di contrastare gli opposti argomenti già spesi contra reum , con preciso riferimento a specifiche emergenze istruttorie: il prezzo convenuto, assai inferiore a quello di mercato; le trattative che talora ebbero ad oggetto non soltanto l’elemento ponderale ma anche particolari tipologie o lavorazioni dei preziosi; il timore espresso per le operazioni della Guardia di Finanza.
Quanto al terzo motivo, la conferma del sequestro – poi consolidatosi in confisca – del denaro, rinvenuto occultato sulla persona dell’imputato al momento dell’arresto in flagranza e presso la sua abitazione, Ł stata fondata sulla duplice ragione, per parte della somma, della sua evidente destinazione all’attività di ricettazione, quale residuo della provvista (non interamente utilizzata, all’esito della contrattazione) per acquisti clandestini, e, per altra parte, della parallela applicabilità delle norme in tema di confisca allargata, avuto riguardo al titolo di reato e all’evidente sproporzione tra la consistenza complessiva delle somme sottoposte a vincolo e le ridottissime lecite capacità reddituali dell’imputato (sentenza di primo grado, p. 16; sentenza di appello, p. 8).
Il ricorrente, soffermandosi su circostanze schiettamente di merito, contesta solo la affermata provenienza illecita del denaro, con ciò implicitamente concentrando le proprie doglianze (non consentite nel giudizio di legittimità, a fronte di motivazione congrua e priva di vizi logico-giuridici), senza prendere posizione in ordine alla distinta fattispecie processuale di cui all’art. 240, primo comma, cod. pen., da sØ sola sufficiente a giustificare, almeno in parte, l’ablazione.
Le censure sono, dunque, in parte non consentite e in parte generiche.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/03/2025.
Il Presidente NOME COGNOME