Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6823 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 6823  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/05/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del COGNOME NOME COGNOME Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso
Depositata in Cancelleria
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza del 4 maggio 2023 la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma di quella emessa dal Tribunale di Locri il 23 marzo 2018, ha assolto NOME dal reato ex art. 171-ter, comma 2, lett. a), I. n. 633 del 1941 di cui al capo A); previa concessione della circostanza attenuante ex art. 648, comma 4, cod. pen., applicati gli aumenti per la recidiva reiterata, specifica infraquinquennale e la continuazione con il reato ex art. 171-ter, comma 1, lett. d), I. n. 633 del 1941, di cui al capo A), ha rideterminato la pena in 10 mesi di reclusione ed € 1.000,00 di multa, ritenuto più grave il reato ex art. 648 cod. pen., sub capo B).
1.1. NOME COGNOME è stato condannato per il reato ex art. 171-ter, comma 1, lett. d), I. n. 633 del 1941 – perché deteneva per la vendita n. 165 CD e DVD, di cui n. 90 CD musicali, n. 72 DVD video e n. 3 giochi illecitamente riprodotti, contraffatti in quanto privi del marchio RAGIONE_SOCIALE e della custodia originale – e per reato ex art. 648, comma 4, cod. pen., per aver acquistato o ricevuto la stessa merce di cui gli era nota la provenienza illecita (in Siderno il 17 novembre 2015).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Con il primo motivo si deducono la violazione ed erronea applicazione dell’art. 648 cod. pen. e la mancanza di motivazione sulla consapevolezza dell’imputato della contraffazione dei supporti magnetici.
Nel ricorso (pag. 2) si richiamano Sez. 2, n. 16915 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, non massimata, sul concorso tra il reato di ricettazione e quello di «commercio di prodotti con segni falsi», e Sez. U, n. 22225 del 19/01/2012, COGNOME, Rv. 252453-01, che avrebbero escluso che l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto risponda del reato di ricettazione, poiché si configurerebbe unicamente l’illecito amministrativo ex art. 1, comma 7, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla I. 14 maggio 2005, n. 80, come successivamente riformato dalla I. 23 luglio 2009, n. 99.
2.2. Con il secondo motivo si deducono la violazione ed erronea applicazione degli art. 648 cod. pen. e 171-ter, comma 1, lett. d), e comma 2, lett. a), I. n. 633 del 1941, ed il vizio della motivazione.
In sintesi, non sussisterebbe il reato di ricettazione, in ragione della non configurabilità della fattispecie contestata al capo A) dell’imputazione.
Non si sarebbe proceduto all’ascolto o all’analisi del contenuto dei supporti magnetici sequestrati per accertare se sugli stessi fossero incisi fotogrammi o video, né l’unico testimone escusso in dibattimento ne avrebbe riferito.
Al momento dell’accertamento del fatto, l’imputato non avrebbe posto in essere alcun atto da cui desumere la detenzione per la vendita dei CD e DVD né tali beni sarebbero stati messi in commercio ma sarebbero stati destinati ad un uso esclusivamente personale, come emergerebbe dal loro numero esiguo e dell’assenza di accertamento sul loro contenuto; mancherebbe la prova che i beni riguardassero opere riprodotte in serie o diverse tra loro.
Le modifiche legislative succedutesi tra gli anni 2000 e 2005, volte a ampliare la fattispecie di reato di cui all’art. 171-ter, comma 1, I. n. 633 del 1941, intervenendo sul dolo specifico, mediante la sostituzione del sintagma «a fini di lucro», con quello «per trarne profitto», e, da ultimo, a restringerla reintroducendo la precedente formulazione, testimonierebbero la volontà legislativa di escludere dalla norma incriminatrice le condotte non finalizzate all’immissione in commercio degli oggetti contraffatti, ma all’uso esclusivamente personale. Non sussistendo, dunque, il delitto ex art. 171-ter, comma 1, I. n. 633 del 1941, non sarebbe configurabile neppure il reato di ricettazione.
2.3. Con il terzo motivo si deducono la violazione ed erronea applicazione dell’art. 648 cod. pen. ed il vizio di motivazione. La ricettazione non sarebbe sussistente, in ragione dell’assenza di prova del reato di cui al capo A): non vi sarebbe agli atti del giudizio la prova che tutti i supporti magnetici fossero incisi né di quale fosse il loro effettivo contenuto, se relativo a dati personal dell’imputato, oppure ad opere coperte da diritto d’autore.
2.4. Con il quarto motivo si deducono la violazione ed erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e il vizio della motivazione. La Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la non punibilità dell’imputato per particolare tenuità del fatto, applicabile anche a reati che prevedono soglie di punibilità, quale sarebbe quello oggetto di imputazione. Sarebbe stata tempestivamente formula la richiesta ma il «Giudice di Pace» (pag. 7 del ricorso) non si sarebbe pronunciato sulla stessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. NOME COGNOME è stato condannato per i reati di ricettazione, in ragione della provenienza illecita dei supporti magnetici detenuti dall’imputato, illecitamente riprodotti e privi del marchio RAGIONE_SOCIALE ed ex art. 171-ter, comma 1, lett. d), I. n. 633 del 1941: non per la diversa fattispecie incriminatrice di cui all’ 474 cod. pen. Non è pertinente la citazione della giurisprudenza sul concorso tra il reato di ricettazione e di commercio di prodotti con segni falsi.
1.2. Secondo la giurisprudenza, i reati ex artt. 648 cod. pen. e 171-ter, comma 1, I. n. 633 del 1941 concorrono ove l’agente, oltre ad acquistare o ricevere
la merce contraffatta, la detenga a fine di commercializzazione (Sez. 3, n. 16153 del 09/01/2019, COGNOME, Rv. 275400-01; nonché Sez. 2, n. 53054 del 07/12/2016, COGNOME, Rv. 268969-01).
1.3. Nel caso in esame, poi, l’imputato correttamente non è stato considerato «acquirente finale» – cui, in forza del principio di specialità di cui all’art. 9, comm 1, I. n. 689 del 1981, si applica solo l’illecito amministrativo ex art. 1, comma 7, d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla I. 14 maggio 2005, n. 80 – in applicazione del principio espresso da Sez. U, n. 22225 del 19/01/2012, COGNOME, Rv. 252453-02, citata nel ricorso, secondo cui l’ambito applicativo di tale illecito è quello dell’acquisto di prodotti «provenienti» dalla violazione di diritt privativa industriale e non – come il pur parallelo art. 174-ter I. n. 633 del 1941 l’acquisto di prodotti provenienti da violazioni del diritto di proprietà intellettua
1.4. Il motivo, nella parte in cui deduce la mancanza di motivazione sulla consapevolezza del ricorrente del carattere contraffatto dei supporti magnetici in suo possesso, è inammissibile ex art. 606, comma 3, e 609 cod. proc. pen. in quanto la questione del dolo non è stata proposta con l’atto di appello.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la lettura coordinata degli artt. 609 e 606, comma 3, cod. proc. pen. impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, quale rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti, è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale (in tal senso cfr. Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794, in motivazione).
Per altro, il Tribunale ha esplicitamente motivato, in base alle prove acquisite sulla sussistenza della «consapevolezza della illecita provenienza del materiale in oggetto» (pag. 4) e tale punto della decisione non è stato impugnato, sicché la Corte territoriale non aveva l’onere di motivare sul punto.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Il ricorrente, con argomentazioni generiche, sostiene che il reato di ricettazione non sarebbe sussistente, in ragione della non configurabilità del reato ex art. 171-ter, comma 1, lett. d), I. n. 633 del 1941 – dovendosi considerare irrilevanti i riferimenti all’ipotesi ex ar . 171-ter, comma 2, lett. a), I. n. 633 del 1941, per cui è intervenuta l’assoluzione in appello – in quanto, mancherebbe la prova del contenuto dei supporti magnetici sequestrati e gli stessi sarebbero stati detenuti dall’imputato per uso esclusivamente personale.
2.2. È ben vero, che, a seguito delle modifiche normative intervenute sull’art. 171-ter, comma 1, I. n. 633 del 1941, è richiesto per la sua configurabilità il fine di lucro consistente in un guadagno economicamente apprezzabile o, comunque, in un incremento patrimoniale e non in un qualsiasi vantaggio di altro genere (Sez. 3, n. 1652 del 28/09/2018, dep. 2019, Pradolin, Rv. 275461-01); però, la Corte territoriale ha correttamente motivato in ordine al fine di lucro e alla destinazione alla vendita che caratterizzava la detenzione dei supporti sequestrati.
2.3. Il motivo è poi manifestamente infondato perché le argomentazioni non sono in linea con i principi della giurisprudenza. Deve sottolinearsi che, in tema di tutela del diritto d’autore, la mancanza del contrassegno S.I.A.E. non può valere come indizio dell’avvenuta consumazione dell’illecito di abusiva duplicazione o riproduzione dei supporti audiovisivi, ma la prova di tale fatto può essere comunque raggiunta sulla base di una pluralità di elementi, come il rilevante numero di supporti posti in vendita, le modalità dell’offerta al pubblico, l’utilizzo d copertine fotocopiate o contraffatte, il confezionamento, nonché l’assenza di loghi o marchi del produttore, non essendo necessario l’espletamento di una perizia o di un accertamento tecnico (Sez. 3, n. 45450 del 08/07/2014, COGNOME, Rv. 260865-01; nonché, Sez. 3, n. 37598 del 09/06/2021, NOME, non massimata, in motivazione).
Nessun ascolto o analisi del contenuto dei supporti informatici era, dunque, necessario per provarne la natura di riproduzioni abusive, in quanto; benché il ricorrente non fosse stato colto nell’atto di vendere la merce, la Corte territoriale ha correttamente motivato sull’assenza sui prodotti del contrassegno S.I.A.E., ma sulla loro non modesta quantità – n. 165, di cui n. 90 CD musicali, n. 72 DVD video e n. 3 giochi – nonché sulla presenza di copertine contraffatte e la mancata esibizione di un qualsivoglia documento attestante la lecita provenienza.
Tali elementi, considerati in maniera unitaria, sono idonei a dimostrare la destinazione alla vendita dei supporti magnetici. Il ricorrente non si confronta con tale motivazione e non contesta neppure la sussistenza degli elementi di fatto indicati dalla Corte di appello.
Anche il terzo motivo è manifestamente infondato, alla luce di quanto sopra esposto ai par. 2.2.-2.3., cui si rinvia, poiché non era necessario l’accertamento sul contenuto dei supporti magnetici sequestrati, a fronte delle plurime circostanze di fatto dimostrative della natura di riproduzioni abusive dei CD e DVD.
Il quarto motivo è manifestamente infondato.
4.1. L’art. 131-bis cod. pen., in base al testo in vigore al momento del fatto e della sentenza di primo grado, non era applicabile, tenuto conto dei limiti edittali del reato ex art. 648 cod. pen., anche nell’ipotesi attenuata di cui al comma 4.
Il ricorso, per quanto redatto il 16 giugno 2023, fa riferimento al testo dell’art. 131-bis cod. pen. in vigore prima della riforma Cartabia in quanto indica il limite edittale massimo di 5 anni di reclusione per l’applicabilità dell’istituto.
Del tutto inconferente è il richiamo alla giurisprudenza sul rapporto tra soglia di punibilità e particolare tenuità del fatto, posto che i reati di ricettazione ed ex art. 171-ter, comma ‘1, lett. d), I. n. 633 del 1941, non prevedono alcuna c.d. soglia di punibilità.
Si sostiene poi che il «giudice di pace» non si sarebbe pronunciato sulla «richiesta di assoluzione» per particolare tenuità del fatto mentre la Corte di appello ha esplicitamente motivato il rigetto della richiesta formulata con l’appello; tale motivazione non è stata neanche esaminata. Si cita ancora, in modo del tutto inconferente, un testo della dottrina del 2021, laddove l’istituto è stato introdotto nel 2015 ed una sentenza sulla grossolanità dei capi di abbigliamento.
Deve rilevarsi, a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., che, nel caso in esame, è stata disposta nei confronti dell’imputato una pena illegale (cfr. Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689-01).
5.1. La pena base è stata determinata per il più grave reato di ricettazione sia dal Tribunale che dalla Corte di appello; per quanto il Tribunale non abbia esplicitamente applicato la circostanza attenuante di cui al comma 4 dell’art. 648 cod. pen., la pena base è stata determinata in primo grado in misura inferiore al minimo edittale di cui all’art. 648, comma 1, cod. pen.; di fatto, il Tribunale ha ritenuto applicabile la circostanza attenuante.
La Corte di appello ha, invece, esplicitamente ritenuto sussistente la circostanza attenuante del fatto di speciale tenuità ex art. 648, comma 4, cod. pen. ma   ha anche applicato, sulla pena base di 6 mesi di reclusione ed € 600 di multa, l’aumento di 3 mesi di reclusione ed € 300 di multa per la recidiva reiterata, specifica e infra-quinquennale.
Il Tribunale e la Corte territoriale non hanno effettuato il giudizio di comparazione fra la circostanza attenuante e la recidiva, nonostante l’intervenuta declaratoria di incostituzionalità dell’art. 69, comma 4, cod. pen. – con sentenza del 14-18 aprile 2014, n. 105 della Corte costituzionale – nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648, comma 2, cod. pen., vigente ratione temporis (attuale art. 648, comma 4, cod. pen.) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Secondo la giurisprudenza, in tema di ricettazione, l’ipotesi del fatto di speciale tenuità non costituisce una autonoma figura di reato, ma una circostanza attenuante, che deve essere inclusa nel giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen., sicché l’applicazione dell’aumento per la recidiva, ex art. 99, comma primo e secondo, n. 1), cod. pen. sulla pena attenuata di cui all’art. 648, comma secondo, cod. pen., determina l’illegalità della pena per eccesso in ordine alla sua quantità, emendabile dal giudice dell’impugnazione, anche in mancanza di uno specifico motivo di gravame, in forza del principio costituzionale di legalità della sanzione (Sez. 2, n. 25121 del 13/05/2021, COGNOME, Rv. 281675-01).
5.2. Avendo il Tribunale e la Corte territoriale stabilito la pena base applicando la pena prevista dall’art. 648, comma 4, cod. pen., deve ritenersi che tale circostanza sia stata ritenuta prevalente sulla contestata recidiva e, dunque, può procedersi all’eliminazione dell’aumento di pena disposto per quest’ultima.
La pena da infliggersi all’imputato per il reato di cui al capo B) – che questa Corte di legittimità può direttamente rideterminare ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen. – sarà, dunque, pari alla pena base stabilita dalla Corte di appello (6 mesi di reclusione ed C 600,00 di multa), eliminando l’aumento per la recidiva reiterata, specifica e infra-quinquennale.
A tale pena per il reato di ricettazione, ritenuto più grave dai Giudici di merito, deve, infine, aggiungersi l’aumento per la continuazione, in relazione al capo A), già disposto dalla Corte di appello (1 mese di reclusione ed C 100,00 di multa).
Si ridetermina la pena finale in 7 mesi di reclusione ed C 700,00 di multa.
5.3. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con l’eliminazione dell’aumento di 3 mesi di reclusione ed C 300,00 di multa, erroneamente applicato dalla Corte di appello per la recidiva; di conseguenza, si ridetermina la pena finale in 7 mesi di reclusione ed C 700,00 di multa.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in sette mesi di reclusione ed euro 700,00 di multa.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 24/10/2023.